Centinaia di ex agenti del Mossad contro Netanyahu e la ripresa della guerra a Gaza
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Centinaia di ex agenti del Mossad contro Netanyahu e la ripresa della guerra a Gaza

Centinaia di ex agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, hanno criticato la ripresa della guerra a Gaza, esprimendo crescente frustrazione per il fallimento del governo nel riportare a casa gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Centinaia di ex agenti del Mossad contro Netanyahu e la ripresa della guerra a Gaza
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14 Aprile 2025 - 17.50


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Centinaia di ex agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, hanno criticato la ripresa della guerra a Gaza, esprimendo crescente frustrazione per il fallimento del governo nel riportare a casa gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Oltre 250 ex membri del Mossad – tra cui tre ex capi – hanno firmato una lettera, inizialmente sottoscritta da veterani e riservisti dell’aeronautica, che sollecita il governo israeliano a dare priorità al ritorno degli ostaggi rispetto alla prosecuzione delle operazioni militari contro Hamas.

Secondo il governo israeliano, 24 dei 59 ostaggi ancora detenuti dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 sarebbero ancora vivi.

La lettera denuncia l’intensificarsi degli attacchi israeliani e delle operazioni di terra a Gaza, successivo al collasso del cessate il fuoco in marzo, come motivato da interessi personali del primo ministro Benjamin Netanyahu. Si accusa il governo di mettere a rischio sia la vita dei soldati sia quella degli ostaggi per fini politici.

Secondo i critici, la scelta di Netanyahu di riprendere la guerra sarebbe dettata dal bisogno di compiacere i partiti dell’estrema destra nella sua coalizione, che minacciano di far cadere l’esecutivo se Hamas non viene annientato.

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“La guerra serve principalmente interessi politici e personali, non la sicurezza del Paese”, si legge nel documento.

La lettera era stata pubblicata la settimana scorsa da quasi 1.000 riservisti e ufficiali in congedo dell’aeronautica israeliana, protagonista dei bombardamenti su Gaza. La risposta di Netanyahu è stata dura: ha definito il gruppo “una frangia estremista che cerca di dividere la società israeliana dall’interno” e ha ordinato il congedo dei riservisti in servizio che avevano firmato la lettera.

Dichiarazioni simili sono poi giunte da altre unità militari, tra cui la prestigiosa Unit 8200, il principale servizio di intelligence militare, e da centinaia di medici riservisti.

Israele e Hamas stanno intanto negoziando al Cairo, con la mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti, per un nuovo cessate il fuoco dopo quello di marzo, crollato con la ripresa degli attacchi israeliani.

Secondo quanto riportato lunedì, Israele avrebbe proposto a Hamas il rilascio di 10 ostaggi. Stando al Tikva Forum – un gruppo di destra che sostiene le famiglie degli ostaggi – Netanyahu avrebbe comunicato al padre di uno degli ostaggi, Eitan Mor, che si stava lavorando a un accordo per il rilascio di dieci prigionieri, senza però fornire dettagli sulle condizioni.

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Un funzionario di Hamas ha dichiarato al quotidiano libanese Al Mayadeen che la proposta israeliana prevederebbe un cessate il fuoco iniziale di 45 giorni, durante il quale Israele ritirerebbe le truppe dai territori conquistati da marzo e toglierebbe il blocco agli aiuti umanitari. Nella seconda fase si discuterebbe un cessate il fuoco permanente, il ritiro completo di Israele da Gaza e il disarmo di Hamas – quest’ultimo punto, tuttavia, è stato dichiarato da Hamas “non negoziabile”.

Taher al-Nunu, alto funzionario del movimento, ha accusato Israele di ostacolare i negoziati e ha ribadito la disponibilità di Hamas a rilasciare tutti gli ostaggi israeliani in cambio di uno “scambio serio di prigionieri, la fine della guerra, il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e l’ingresso degli aiuti umanitari”.

Domenica sera, centinaia di persone – tra cui decine di familiari degli ostaggi – hanno manifestato davanti alla casa del ministro degli affari strategici Ron Dermer, incaricato da Netanyahu di condurre le trattative per gli ostaggi. La protesta si è conclusa con cinque arresti.

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Alcune famiglie hanno accusato Dermer, stretto consigliere del premier, di rallentare i negoziati per ragioni politiche. Il governo ha respinto le accuse, affermando di fare tutto il possibile per liberare gli ostaggi.

Doron Zektser, padre adottivo dell’ostaggio Edan Alexander, ha dichiarato rivolgendosi a Dermer: “Esci, aggiornaci sulla situazione. È tua responsabilità. Se non sei in grado di svolgere il tuo compito, dimettiti. Non parla con le famiglie. Si corre verso la guerra, quando è chiaro che solo un accordo può riportare indietro gli ostaggi”.

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