"Campo di sterminio", "inferno in terra", realtà post-apocalittica": per Gaza sono finite le definizioni ma non i morti

Un “campo di sterminio”. Una “realtà post-apocalittica” nella quale c’è una “situazione drammatica, catastrofica, vergognosa, dove la dignità delle persone, di quei 2,3 milioni di persone, non è tenuta in minima considerazione”.

"Campo di sterminio", "inferno in terra", realtà post-apocalittica": per Gaza sono finite le definizioni ma non i morti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Aprile 2025 - 21.29


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Un “campo di sterminio”. Una “realtà post-apocalittica” nella quale c’è una “situazione drammatica, catastrofica, vergognosa, dove la dignità delle persone, di quei 2,3 milioni di persone, non è tenuta in minima considerazione”.

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Le definizioni su ciò che è diventata Gaza sono esaurite. Campo di sterminio, inferno in terra, il più grande cimitero al mondo…

“La realtà a Gaza è una realtà post-apocalittica: tutto è stato distrutto, i combattimenti continuano, la zona è diventata una specie di zona di morte per la popolazione e stiamo sostanzialmente assistendo all’emergere di una sorta di interruzione post-apocalittica della guerra”: lo ha dichiarato il Commissario generale dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, in un’intervista all’emittente tv Al Jazeera.

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Nella Striscia di Gaza sotto il fuoco di Israele c’è una “situazione drammatica, catastrofica, vergognosa, dove la dignità delle persone, di quei 2,3 milioni di persone, non è tenuta in minima considerazione. Non possiamo pensare che siano tutti collusi col terrorismo e con il crimine”. A dirlo in un’intervista a Tv2000 è monsignor Pierbattista Pizzaballa, cardinale e patriarca cattolico di Gerusalemme. “È molto difficile prevedere cosa accadrà a Gaza, vediamo cosa sta accadendo ora. C’è molto non detto perché pochi sono presenti nel territorio e quindi sanno esattamente cosa sta accadendo”, denuncia Pizzaballa. “Dobbiamo essere aperti a tutte le prospettive, tenendo alta comunque l’attenzione nostra, ma anche quella di tutte le chiese del mondo, di tutti quelli che ci vogliono ascoltare sulla gravità di quello che sta accadendo”, afferma.

Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, venerdì i raid israeliani hanno ucciso almeno 15 persone, dieci di loro appartenenti alla stessa famiglia, la cui abitazione a Khan Younis – nel centro della Striscia – è stata distrutta. Altri tre civili sono stati uccisi – e diversi altri feriti – in un bombardamento di droni nella zona di Al-Atatra, a ovest di Beit Lahia, al confine nord dell’enclave. Secondo Hamas, il movimento islamico che governa la Striscia, dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023 hanno perso la vita 50.886 persone. Una condanna degli attacchi israeliani è arrivata dall’Onu: “Tra il 18 marzo e il 9 aprile 2025, si sono verificati circa 224 attacchi israeliani contro edifici residenziali e tende per sfollati. In circa 36” di questi, “le vittime registrate finora sono state solo donne e bambini“, ha comunicato l’Alto Commissariato per i diritti umani.

“Alla luce dell’impatto della condotta delle Forze Armate israeliane nella Striscia di Gaza”, l’Ufficio dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani “è seriamente preoccupato che Israele appaia infliggere ai palestinesi di Gaza condizioni di vita sempre più incompatibili con la loro continua esistenza come gruppo a Gaza”. Questo l’allarme lanciato oggi dalla portavoce dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasani, sottolineando in una nota che i continui “ordini di evacuazione” emessi dalle Forze armate israeliane, “che sono, di fatto, ordini di sfollamento, hanno portato al trasferimento forzato dei palestinesi di Gaza in spazi sempre più ristretti, dove hanno scarso o nessun accesso a servizi salvavita, tra cui acqua, cibo e riparo, e dove continuano a essere soggetti ad attacchi”.”A peggiorare ulteriormente le condizioni disperate dei civili palestinesi – ha aggiunto – la chiusura israeliana dei valichi di frontiera nella Striscia di Gaza è entrata nella sua sesta settimana, impedendo l’ingresso di cibo, acqua potabile, medicinali e altri aiuti o forniture essenziali”. “Funzionari israeliani hanno rilasciato dichiarazioni in cui si lascia intendere che l’ingresso di aiuti umanitari sia direttamente collegato al rilascio degli ostaggi, sollevando serie preoccupazioni riguardo a una punizione collettiva e all’uso della fame nei confronti della popolazione civile come metodo di guerra, entrambi crimini di diritto internazionale”, ha sottolineato Shamdasani.

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Inferno in terra

La presidentedel Comitato Internazionale della Croce Rossa (Cicr), Mirjana Spoljaric, ha definito ieri la Striscia di Gaza un “inferno in terra”, denunciando alla Bbc che quanto sta accadendo a Gaza rappresenta uno “svilimento estremo” del diritto internazionale. Le dichiarazioni di Spoljaric arrivano nel giorno in cui l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha ammonito sul fatto che le azioni israeliane rendono le condizioni di vita dei palestinesi “sempre più incompatibili con la loro continua esistenzacome gruppo a Gaza”

L’Ufficio Onu per gli aiuti umanitari ha segnalato l’aumento di episodi di violenza in Cisgiordania nei confronti dei palestinesi. “In sole due settimane – ha dichiarato Stephane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite nel corso dell’incontro quotidiano con i media – le forze israeliane hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due bambini, e ferito almeno 130 persone”.   In questo periodo, ha aggiunto, “l’Ufficio per gli aiuti umanitari ha documentato la demolizione di più di cento strutture a causa della mancanza dei permessi edilizi emessi da Israele, i quali sono quasi impossibili da ottenere”.  Questa situazione, ha continuato il portavoce, ha “portato al trasferimento di più di 120 palestinesi, in gran parte bambini, e colpito in altro modo più di duecento persone”

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A Gaza non ci sono più “zone sicure”: gli attacchi israeliani uccidono decine di civili in aree dichiarate tali.

La denuncia di Oxfam

“A Gaza uccidono le bombe. E anche la fame e la sete.

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Oltre 1 milione di persone, tra cui migliaia di bambini, stanno letteralmente morendo di fame, costretti a mangiare piante selvatiche.

Centinaia di migliaia di famiglie sono costrette a vivere in condizioni disumane, a bere acqua sporca e contaminata, con la costante paura di morire da un momento all’altro sotto i bombardamenti.

La situazione sanitaria è al collasso, con ospedali e strutture mediche che faticano a fornire cure essenziali, con strutture apparecchi, medicinali e personale assolutamente insufficienti per un numero di pazienti altissimo.

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Oltre il 70% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie sono state distrutte o danneggiate a causa dei bombardamenti israeliani e hanno lasciato la popolazione senza accesso a fonti di acqua pulita.

In questo momento, mentre le temperature aumentano, le strade sono invase di rifiuti e liquami, con migliaia i casi di epatite A, malattie gastrointestinali e respiratorie registrati nelle ultime settimane.

Dobbiamo rispondere con urgenza per salvare bambini, donne, uomini che stanno vivendo in condizioni terribili”.

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La fame miete vittime innocenti

Nella Striscia si aggrava di giorno in giorno la situazione umanitaria per gli oltre 2milioni di civili: le Nazioni Unite segnalano che sono oltre 60mila i bambini colpiti dalla malnutrizione per la carenza di cibo, mentre le cucine da campo stanno esaurendo carburante e rifornimenti. Gli operatori delle agenzie Onu e i loro partner lanciano l’allarme per la mancanza di acqua pulita e l’esaurimento delle scorte nei centri che ospitano gli sfollati. Solo nella settimana ancora in corso sono stati trovati più di una dozzina di bambini non accompagnati. “Non si sa che fine abbiano fatto i genitori o altri parenti. Gli operatori – ha spiegato un portavoce dell’Onu – stanno facendo tutto il possibile per ritrovare le famiglie dei piccoli”. L’organizzazione mondiale della Sanità fa sapere che sono almeno 12.500 i pazienti che hanno bisogno di lasciare le strutture ospedaliere locali e uscire dalla Striscia. L’Oms ha chiesto una pausa dei combattimenti per permettere di condurre in salvo i malati.

Testimonianze dal campo

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I medici degli ospedali gestiti da Al-Awda, partner di ActionAidaGaza, hanno segnalato un netto aumento dei casi di malnutrizione grave tra donne in gravidanza, madri che allattano e bambini piccoli, mentre il blocco totale degli aiuti continua e le scorte alimentari rimaste stanno per esaurirsi. Da quaranta giorni, nessun alimento, acqua potabile, medicinale o altro bene essenziale è entrato a Gaza, dopo che le autorità israeliane hanno chiuso tutti i valichi di frontiera e impedito l’ingresso di qualunque tipo di aiuto, in quella che equivale a una strategia di fame e punizione collettiva della popolazione. La grave carenza di cibo ha costretto alla chiusura forni e cucine comunitarie, mentre i mercati sono quasi del tutto vuoti: le persone soffrono la fame e la loro salute sta rapidamente peggiorando.

«Abbiamo osservato un fortissimo aumento del numero di casi di donne incinte e in allattamento con malnutrizione grave e moderata», afferma Wesal Abu Laban, pediatra e neonatologa, responsabile della nutrizione terapeutica presso l’ospedale Al-Awda. «Tutto questo è il risultato dell’ultimo mese di assedio e della chiusura dei valichi. Tutte le donne in gravidanza soffrono di anemia e carenza di ferro, a causa della mancanza di cibo o integratori nutrizionali. Questo ha effetti negativi sulla gravidanza, perché la maggior parte dei neonati nasce con un peso inferiore alla norma, ovvero sotto i 2,5 kg. Ovviamente, tutto ciò è strettamente legato alla nutrizione della madre stessa. Si registrano anche casi di aborto spontaneo e sanguinamenti, che avvengono proprio perché le donne sono anemiche durante la gravidanza».

Un’indagine recente condotta dal Nutrition Cluster ha rilevato che tra il 10% e il 20% delle donne in gravidanza e in allattamento è malnutrito, mentre un terzo delle circa 55mila donne incinte presenti a Gaza è a rischio di complicazioni. I medici nella Striscia stanno effettuando circa 130 parti al giorno, ma le forniture mediche essenziali – tra cui anestetici per il parto e la gestione del dolore, antibiotici e sacche di sangue necessarie per i parti complessi – stanno rapidamente esaurendosi, secondo l’Oms.

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«Circa un mese fa, abbiamo iniziato a notare un aumento dei casi di malnutrizione grave e moderata nei bambini tra i sei mesi e i cinque anni», sottolinea ancora la dottoressa Abu Laban. «Da allora, la situazione è peggiorata: anche i casi che in precedenza avevamo monitorato, e che mostravano miglioramenti, hanno cominciato a peggiorare nuovamente. Anche i ricoveri presso il centro di nutrizione terapeutica hanno cominciato ad aumentare».

Mentre crescono i bisogni sanitari della popolazione, il sistema sanitario di Gaza (già al collasso) continua a ricevere ogni giorno decine di feriti a seguito degli attacchi militari israeliani. Le offensive intense hanno colpito scuole adibite a rifugi, edifici residenziali e accampamenti di fortuna: sono state uccise più di 1.500 persone in poco più di tre settimane, portando il bilancio totale delle vittime a oltre 50mila – e almeno 100 bambini uccisi o feriti ogni giorno, secondo le Nazioni Unite. Quasi 400mila persone sono state nuovamente sfollate, nonostante a Gaza non esista un luogo sicuro dove rifugiarsi, né dove sia possibile trovare cibo, riparo adeguato o beni essenziali per la sopravvivenza.

«A quasi sei settimane dal blocco totale e deliberato degli aiuti verso Gaza, le conseguenze di questa decisione stanno diventando evidenti in maniera devastante», commenta Riham Jafari, responsabile advocacy e comunicazione per ActionAid Palestina. «La malnutrizione grave è in aumento tra le donne in gravidanza, mettendo a rischio la loro vita e quella del bambino, con effetti disastrosi e permanenti sulla loro salute. Ogni giorno in più di blocco peggiora ulteriormente questa realtà terrificante. La comunità internazionale deve agire subito per porre fine in modo permanente a questa guerra, e per garantire il pieno ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, come stabilito dagli accordi di cessate il fuoco. Gli aiuti salvavita devono poter entrare immediatamente e su larga scala per evitare che questa catastrofe umanitaria peggiori ulteriormente».

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La conquista prosegue

L’esercito israeliano annuncia intanto di aver preso il controllo completo del corridoio Morag nel sud di Gaza, isolando la città di Rafah da Khan Younis.

Rafah è ora completamente circondata dall’esercito, con la 36ma divisione dell’Idf che controlla il Morag e la divisione Gaza che opera nel Corridoio Filadelfia, la zona di confine tra Egitto e Gaza. 

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Durante la notte, fa sapere l’Idf , si sono unite la 188ma brigata corazzata della 36ma divisione che si era spinta nel corridoio Morag da nord-ovest e la brigata di fanteria Golani, entrata dal confine a sud-est. Le truppe del genio militare stanno ora costruendo una strada lungo il corridoio, simile agli altri corridoi di Gaza conquistati dall’Idf durante la guerra.

L’esercito ora opererà all’interno di aree di Rafah in cui non è ancora entrato. Secondo l’Idf, alla fine delle operazioni, la zona cuscinetto nella Striscia di Gaza meridionale si estenderà dal confine egiziano fino alla periferia di Khan Younis, a più di 5 chilometri di distanza, e includerà l’intera città di Rafah, circa il 20% della Striscia. 

Gaza, verso la soluzione finale. E il mondo sta a guardare.

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