Massacri, fosse comuni, vittime. Se questa è la fotografia che meglio riassume la Siria, c’è anche l’altra della quale bisogna tener conto, sebbene sia meno visibile: è quella di chi compie i massacri, di chi ammassa le vittime in fosse comuni, di chi spara su civili inermi. I responsabili dovrebbero avere un nome e un cognome, e invece tutto viene presentato come responsabilità di “comunità”.
Il problema si complica davanti a quale fotografia viene mostrata, visto che del primo tipo come del secondo tipo non ce ne è solo una: c’è quella del tal gruppo etnico o confessionale che come ha subito linciaggi, massacri, ha visto suoi aderenti compierne, e c’è quella del tal altro gruppo etnico che oltre ad aver subito un massacro, con alcuni esponenti ne ha anche compiuti. E poi ogni attore comunitario, etnico o confessionale, ha qualche sponsor esterno, qualche alleato, o sostenitore interessato. E anche i gruppi di pressione o di opinione nel mondo sottolineano più facilmente il lutto o il dolore di un gruppo rispetto all’altro. La filiera diviene ancor più complessa e frustrante se si tenta di stabilire la prima responsabilità: il tal gruppo ha agito per primo, provocando la reazione dell’altro ( per i più condannabile ma un po’ di meno).
Sono questi i problemi di fondo per chi cerchi di esprimersi sulla Siria. Per uscirne va detto che c’è una responsabilità prima, evidente, è quella del colonialismo francese che a inizio ‘900 stabilito questo metodo di governo. E’ infatti difficile capire la Siria (e il Libano) d’oggi senza tornare agli anni decisivi, quelli dell’inizio della pessima impresa coloniale francese, cominciata nel 1920, quando i francesi insediarono il generale Henri Gouraud a Damasco.
Nei primi giorni del suo governo il suo segretario, il diplomatico e visconte Robert de Caix de Saint‑Aymour, gli disse (stando alla ricostruzione storica di Peter Shambrook) che a suo avviso era disponibili solo due opzioni: “costruire una nazione siriana che non esiste, ammorbidendo le profonde frizioni che la dividono, o coltivare e mantenere questo fenomeno, che richiede il nostro arbitrato, ciò che queste divisioni ci offrono. Devo dirle che la seconda opzione è la sola che mi interessi”. Nasceva così il governo basato sull’astio etnico o confessionale, la creazione di protettorati da affidare alle varie minoranze presenti in un Paese in vasta maggioranza musulmano sunnita.
Questo sistema è stato sposato dal regime golpista degli Assad per oltre cinquant’anni. Assad era un contadino, un militare, appartenente alla piccola ma significativa minoranza degli alauiti. Lui elevò al rango di paradigma di governo il metodo francese abbracciando l’idea di alleanza delle minoranze contro la maggioranza sunnita, favorendo la crescita nel suo seno delle derive estremiste che tutti conoscono. I crimini compiuti dagli Assad per oltre mezzo secolo hanno reso il pozzo dell’odio, soprattutto sunnita, senza fondo.
Ecco che da quando il regime degli Assad è stato rovesciato da una coalizione di forze miliziane sunnite guidate dall’attuale presidente al-Sharaa, il timore di vendette, di pogrom, soprattutto contro gli alauiti, è stato chiaro, presente. Al-Sharaa sa bene che nella sua coalizione ci sono “soggetti” inclini alla vendetta comunitaria, non alla ricerca dei complici di Assad, che certamente vanno assicurati alla giustizia. Analogamente può dirsi che tra questi alauiti però i nostalgici del vecchio ordine ci sono.
Il tentativo di al-Sharaa di costruire un esercito nazionale è stato decisivo, ma si è scontrato con molti ostacoli: il primo lo ha creato lui, visto che ha dovuto inserire nell’esercito anche gli estremisti del suo campo, il secondo lo hanno creato le altre minoranze, i curdi innanzitutto, che essendo militarmente in gran parte curdi della Turchia, non siriani, hanno seguito un’agenda anti turca, esattamente come le milizie filo turche che ci sono in Siria e che li hanno combattuti e li combattono in quanto curdi, compiendo anche massacri di civili.
Non riuscendo il tentativo di trasformare bande miliziane (spesso di estremisti) in un esercito, sono entrati in campo gli attori esterni, Iran, Russia, Israele, tutti attenti alle loro priorità. L’Iran che vuole tornare a controllare la Siria per i suoi fini e quindi contro al-Sharaa che è filo turco e filo-saudita, la Russia che rivuole una presenza in Siria con i suoi fedeli alleati, in primis certi cristiani e poi certi alauiti, Israele che teme un blocco militare compatto e islamista, costituito da Turchia e Siria e quindi favorisce le resistenze curde e druse.
Il punto di attrito più “emotivamente” coinvolgente è quello con gli alauiti, perché gli estremisti sunniti vicini ad al-Sharaa li considerano in blocco “uomini di Assad”; anche i bambini, che infatti hanno allegramente assassinato. Quando i fedeli del deposto presidente hanno preso le armi (grazie a ingerenze iraniane) e compiuto sanguinose provocazioni, hanno risposte come è nella loro indole, con i massacri indiscriminati. Questo ha creato un grave problema ad al-Sharaa, che certamente sa che molti già indicano il presunto responsabile, sarebbe il battaglione guidato da Mohammed al-Jassem, leader militare di una di quelle milizie dette filo-turche più estremiste. Ma ha la forza per regolare i conti con tutti i suoi, subito? Forse no.
Al-Sharaa non ha interesse ad una frammentazione della Siria, mentre gli sponsor delle minoranze che lui non trova il modo per integrare nel suo governo centrale probabilmente sì: qualcuno potrebbe anche pensare a mettere insieme curdi, alauiti e drusi per un’azione militare congiunta. Al Sharaa ha davanti a sé “ la strada Assad”, cioè la repressione spietata per tentare di tenere tutti nel terrore, è quella che oggi si può chiamare anche “la strada Mohammed al-Jassem”, l’estremista che dal suo campo avrebbe guidato i massacri. Oppure quella che, almeno ufficialmente, avrebbe scelto: identificare i responsabili dei massacri e punirli, denunciando però le provocazioni altrui e chiedendo il loro disarmo. Lo farà davvero? Non lo so.
Questo strada per essere credibile richiederebbe un metodo opposto a quello indicato un secolo fa dal colonialismo ed elevato a sistema spietato da Assad. Per riuscirci occorre un metodo nuovo, e l’unico attore regionale che lo ha indicato con chiarezza e coraggio è stato il curdo Ocalan: rinuncia alla lotta armata, quindi rinuncia al tribalismo e impegno politico per la costruzione della società del vivere insieme. In questo il discorso di Ocalan è stato chiaramente sottovalutato. Gli estremismi si sconfiggono insieme, perché rispondono alla stessa visione e ognuno per riuscirci deve partire dal proprio estremismo, non da quello degli altri. I curdi che combattono in Siria non hanno avuto il coraggio di seguirlo, i filo turchi ancor di più, ma alcuni leader curdi hanno dimostrato di aver capito e si sono schierati con Ocalan. Lo stesso può dirsi per alcuni leader drusi, contrari a derive settarie, e lo stesso discorso può essere fatto per alcuni alauiti e alcuni leader sunniti, quelli ad esempio che hanno aiutato e difeso gli alauiti nelle ore della carneficina o quei gruppi che hanno spinto al Sharaa a imboccare la strada che formalmente ha scelto.
E’ questa la vera base della nuova Siria, di cui poco si parla ma che c’è. Andrebbe sostenuta dall’esterno, mentre dall’esterno i più la avversano. Le vittime oggi a cui manifestare maggiore vicinanza e attenzione sono gli alauiti e tacerlo dovrebbe essere impossibile per tutti. Ma che lo faccia chi, dalla Siria, non ha speso una parola sui massacri di ieri, è curioso. Qualche patriarca damasceno dovrebbe porsi questa domanda. Il metodo che fu dei francesi porta al disastro da un secolo, oggi il metodo nuovo può essere solo quello indicato da Ocalan.