Siria, il dopo-Assad è insanguinato.
Non c’è pace per il martoriato Paese mediorientale. Tutto è iniziato con l’uccisione di almeno 16 uomini delle forze di sicurezza in una serie di attacchi e imboscate degli insorti nella zona di Latakia,dove erano arrivati convogli militari. Una rappresaglia scattata quando le forze governative hanno cercato di trattenere un ricercato vicino a Jableh. E da lì i morti sono arrivati a 147: una giornata di sangue nelle città costiere della Siria, senza precedenti da dicembre, tra le forze che fanno capo alle nuove autorità e lealisti del regime dell’ex dittatore Bashar al-Assad.
Le vittime sono 35 uomini delle forze di sicurezza delle nuove autorità siriane, 32 lealisti di Assad e quattro civili. Decine i feriti. Ci sono segnalazioni di persone scomparse e combattenti catturati, e notizie non confermate di esecuzioni sommarie di prigionieri. L’agenzia siriana Sana spiega che “in risposta all’escalation di violenza, le autorità di Tartus hanno annunciato una proroga del coprifuoco “, che è in vigore da ieri, fino alle 10 di sabato ora locale, mentre le autorità locali assicurano che si tratta di proteggere i civili durante le operazioni militari contro i lealisti del deposto regime.
Intanto, però, cresce la paura: decine di persone si sono radunate davanti alla principale base aerea russa in Siria, vicino a Jableh, chiedendo la protezione di Mosca. Il capo dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, associazione con sede nel Regno Unito, Rami Abdurrahman, ha detto che le periferie delle città costiere di Baniyas e Jableh sono ancora sotto il controllo dei lealisti di Assad, così come la città natale di Assad, Qardaha, e molti villaggi alawiti nelle vicinanze. Secondo lo stesso osservatorio, in questi scontri “le forze della sicurezza hanno giustiziato 52 uomini appartenenti alla minoranza alawita nelle città di al-Shir e di al-Mukhtariya nelle campagne di Latakia”.
Sugli scontri in Siria si inserisce il monito della Turchia: “Non bisogna permettere che queste provocazioni diventino una minaccia per la pace della Siria e della nostra regione”, si legge in una dichiarazione diffusa via X dal portavoce del ministero degli Esteri di Ankara, Oncu Keceli. “Sono in atto sforzi intensi per stabilire sicurezza e stabilità in Siria – affermano da Ankara – In questo momento critico, le tensioni nella zona di Latakia così come gli attacchi alle forze di sicurezza potrebbero compromettere gli sforzi per portare la Siria verso un futuro di unità e solidarietà”. La Turchia ribadisce il ‘no’ a “qualsiasi azione che prenda di mira i diritti dei siriani di vivere in pace e prosperità”.
Nella provincia di Latakia si concentra la comunità alawita, una setta religiosa di cui fanno parte sia Assad sia la maggior parte dei suoi collaboratori più fedeli. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa statale siriana Sana, i gruppi coinvolti negli scontri sarebbero vicini a Suhail al Hassan, uno dei comandanti più famosi al servizio di Assad. Il nuovo governo ha inviato molti uomini e mezzi militari di sostegno da altre città e ha imposto il coprifuoco nelle aree con una presenza alawita, fra cui la città di Latakia, la città portuale di Tartus e a Homs, una delle principali città siriane
Il corrispondente di al- Jazeera da Damasco, Resul Serdar, ha detto che le forze di sicurezza hanno arrestato diverse persone. Sana ha scritto che fra queste c’è il generale Ibrahim Huweija, che è stato a capo dell’intelligence dell’aeronautica dal 1987 al 2002 durante il regime di Hafez al Assad, padre di Bashar al Assad.
Le mire d’Israele
Di grande interesse è il report per InsideOver di Claudia Carpinella.
Scrive Carpinella: “Mmentre il caos divampa nella regione occidentale del Paese, a sud Israele continua il suo programma espansionistico oltre le alture del Golan. Difatti, se è vero che sono molti gli attori interessati alla Siria, seppur per ragioni diverse, in cima alla lista vi è certamente Benjamin Netanyahu che, dall’8 dicembre scorso, ha disposto l’occupazione del sud del Paese, a seguito del regime change portato a compimento dal gruppo jihadista Hts – e che ora guida il governo, con a capo Ahmad al-Sharaa (meglio noto come al-Jolani, ovvero il nome utilizzato in veste di leader di al-Qaeda).
Frammentare la Siria
Le intenzioni del Primo ministro israeliano, dopo le sue recenti dichiarazioni, fugano ogni dubbio. La scorsa settimana, durante una cerimonia militare, Netanyahu ha delineato la strategia del suo Paese dopo la caduta di Assad: “Israele – ha dichiarato – non permetterà al nuovo governo siriano di schierare forze a sud di Damasco”, aggiungendo che si chiede la totale smilitarizzazione dell’area, in particolare delle province di Quneitra, Daraa e Sweida.
Inoltre, ha dichiarato che Israele si assumerà la responsabilità di proteggere la minoranza drusa, allineandosi alle recenti dichiarazioni del ministro della Difesa, Israel Katz, sull’intenzione di rafforzare i legami con le “popolazioni amiche” nel sud della Siria. Infine, Netanyahu ha ribadito l’impegno di Israele a mantenere il controllo sui territori siriani presso il monte Ermon, occupati subito dopo il crollo di Assad, dichiarando che l’Idf rimarrà “a tempo indeterminato” nella zona, estendendo di fatto l’occupazione israeliana ben oltre le Alture del Golan, annesse da Tel Aviv dopo la guerra del 1967 (annessione, tra l’altro, condannata e dichiarata nulla dall’Onu).
Posizioni, queste, che rafforzano l’agenda di espansione territoriale di Israele. L’obiettivo strategico di Netanyahu, ora non più sottaciuto, sembra essere “l’indebolimento e la frammentazione sistematica della Siria”, scrive Middle East Eye, affinché Damasco resti sotto l’influenza israeliana, priva di un governo centrale e intrappolata in un conflitto settario.
Una strategia rodata
Questa strategia non è nuova, infatti rappresenta “un elemento costante della politica israeliana sin dalla fondazione dello Stato”, applicata in diversi contesti e regioni, Libano compreso.
La smilitarizzazione dell’area a sud di Damasco limita, di fatto, sia l’autorità del governo siriano che la sovranità dello stato stesso. Allo stesso tempo, Israele punta anche a incoraggiare alcuni gruppi minoritari della Siria a sfidare il governo centrale, contribuendo alla frammentazione del paese.
Il riferimento esplicito alla comunità drusa riflette la cosiddetta “dottrina dell’alleanza delle minoranze”, attraverso la quale Israele cerca di creare alleanze con gruppi minoritari nella regione contro la maggioranza sunnita. Questa strategia del “divide et impera” alimenta ostilità, sospetti e tensioni, utilizzando le minoranze come leva per provocare reazioni violente della controparte”.
Così l’annalista di InsideOver.
Con buona pace di quanti, anche nella stampa mainstream di casa nostra, avevano visto nella tardiva cacciata del “macellaio di Damasco”, l’inizio della tanto agognata pacificazione. Così non è. La Siria resta un campo di battaglia per una guerra per procura che non è mai cessata.