Storia di Artemis, cristiana fuggita dall'Iran per motivi religiosi e deportata da Trump se fosse una criminale

La conversione di Artemis Ghasemzadeh dall’islam al cristianesimo avvenne nell’arco di diversi anni, a partire dal 2019, attraverso una rete iraniana di chiese clandestine e lezioni segrete online. Tre anni fa fu battezzata e “rinasce"

Storia di Artemis,  cristiana fuggita dall'Iran per motivi religiosi e deportata da Trump se fosse una criminale
Artemis Ghasemzadeh
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25 Febbraio 2025 - 16.39


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di Farnaz Fassihi e Hamed Aleaziz*

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La prima volta che entrò in una chiesa fu durante una visita in Turchia. Ricorda di aver provato una sensazione di calma così travolgente da spingerla a comprare una piccola Bibbia. La avvolse nei suoi vestiti e la portò di nascosto nella sua città natale, Isfahan, nel cuore dell’Iran.

La conversione di Artemis Ghasemzadeh dall’islam al cristianesimo avvenne nell’arco di diversi anni, a partire dal 2019, attraverso una rete iraniana di chiese clandestine e lezioni segrete online. Tre anni fa fu battezzata e, come lei stessa afferma, “rinasce”.

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Convertirsi è stato un rischio enorme. Sebbene i cristiani nati nella fede siano liberi di praticarla, abbandonare l’islam per un’altra religione è considerato blasfemia secondo la legge della sharia iraniana e può essere punito con la morte. Alcuni membri del suo gruppo di studio della Bibbia sono stati arrestati.

Così, lo scorso dicembre, Ghasemzadeh è partita per gli Stati Uniti.

“Volevo vivere liberamente, senza paura, senza che qualcuno volesse uccidermi”, ha raccontato in una serie di interviste telefoniche.

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Il suo viaggio l’ha portata fino a un centro di detenzione per migranti ai margini della giungla del Darién, a Panama. Lei e altri nove cristiani convertiti iraniani, tra cui tre bambini, si trovano tra le decine di persone detenute nel campo di San Vicente. Il loro destino è incerto.

Di norma, chi fugge da persecuzioni religiose violente può richiedere asilo. Tuttavia, si sono ritrovati intrappolati nella campagna di espulsioni del governo Trump, che ha cercato di mantenere la promessa elettorale di chiudere il confine meridionale.

“Non ci meritiamo questo. Ci troviamo in un luogo dove ci sentiamo impotenti”, ha dichiarato Ghasemzadeh. “Sto aspettando che la nostra voce venga ascoltata, che qualcuno ci aiuti”.

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Panama, sotto la pressione del governo statunitense per il controllo del Canale, è diventata una sorta di area di accoglienza per migranti che altrimenti sarebbero stati trattenuti negli Stati Uniti o addirittura rilasciati. Le autorità panamensi hanno dichiarato che alcune agenzie delle Nazioni Unite stanno aiutando i migranti a tornare nei loro paesi d’origine o a cercare asilo in altre nazioni, compresa Panama.

Una conversione pericolosa

Ghasemzadeh è cresciuta in una famiglia della classe media-alta di Isfahan. Suo padre, un imprenditore di rigide convinzioni religiose, era molto severo con lei e i suoi tre fratelli. Non ha mai saputo della sua conversione.

Ha raccontato di essersi avvicinata al cristianesimo perché il suo messaggio le sembrava più pacifico e le sue regole meno rigide rispetto alla versione dell’islam vissuta in Iran.

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Le riunioni della chiesa clandestina si svolgevano con estrema cautela. I fedeli ricevevano password usa e getta per accedere agli incontri virtuali, mentre i sermoni e le lezioni in presenza si tenevano in luoghi sempre diversi. Ghasemzadeh si era profondamente affezionata alla sua comunità cristiana. Anche suo fratello maggiore, Shahin, 32 anni, si è convertito.

Nel 2022, un movimento di protesta guidato dalle donne si è diffuso in Iran, scatenato dalla morte di Mahsa Amini mentre era sotto custodia della polizia morale, accusata di aver violato le regole sul velo. Ghasemzadeh ha raccontato di aver partecipato quasi ogni giorno alle manifestazioni, ripetendo lo slogan: “Donna, vita, libertà”.

Come molte donne iraniane che hanno smesso di indossare il velo in segno di ribellione, lasciava sciolti i suoi lunghi capelli scuri in pubblico. Ha ricevuto messaggi dal governo che la convocavano in tribunale, ma ha ignorato le chiamate. Se giudicate colpevoli di violare la legge sul velo, le donne possono essere multate.

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Il viaggio verso gli Stati Uniti

A fine dicembre, Ghasemzadeh e suo fratello Shahin hanno lasciato l’Iran con l’intenzione di raggiungere gli Stati Uniti. Conosceva la promessa di Trump di inasprire le misure contro i migranti, ma credeva che fosse rivolta solo ai criminali.

Sono passati per Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, poi per la Corea del Sud, fino a raggiungere Città del Messico. Lì, in un hotel, hanno trovato un trafficante di esseri umani che ha chiesto loro 3000 dollari a testa per portarli a Tijuana.

Nei pressi del muro di confine, nel cuore della notte, il trafficante ha indicato loro una scala.

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“Vai”, le ha detto. “Scala il muro e vattene, in fretta”.

Quando i suoi piedi hanno toccato il suolo americano, è scoppiata in lacrime. “È finita”, ha detto al fratello. “Siamo finalmente qui”.

Ma l’euforia è durata poco. Dopo pochi minuti, sono stati circondati dagli agenti di frontiera, arrestati e separati. Da allora, non ha più visto né sentito suo fratello. Sua madre le ha riferito che è stato trasferito in un centro di detenzione in Texas.

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Ghasemzadeh ha ripetutamente detto alle autorità di essere una cristiana convertita in fuga dall’Iran e in cerca di asilo.

Una portavoce del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ha dichiarato che “nessuno di questi stranieri ha mai espresso timore di tornare nel proprio paese durante la detenzione o la procedura di espulsione”. Ghasemzadeh, però, sostiene di non essere mai stata interrogata sulla sua richiesta di asilo.

“Dicevano sempre ‘non è il momento’, ‘torna domattina’”, ha raccontato.

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Alla fine, è stata ammanettata e caricata su un aereo militare diretto a Panama il 12 febbraio. Il motore ruggiva così forte che le ronzavano le orecchie, mentre le turbolenze le provocavano nausea.

Era il giorno del suo ventisettesimo compleanno.

Deportati

Sull’aereo ha incontrato altri nove iraniani, tutti cristiani convertiti, con storie sorprendentemente simili alla sua. Da allora, il gruppo è rimasto unito.

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Per circa una settimana sono stati trattenuti in un hotel, sorvegliati da guardie armate. The New York Times è in contatto con lei quotidianamente da quando è arrivata a Panama.

Ghasemzadeh, esperta di tecnologia come molti giovani iraniani, ha registrato un video raccontando la sua situazione e lo ha condiviso con i media persiani all’estero. Il video è diventato virale.

Dopo essersi rifiutati di firmare i documenti per la loro deportazione in Iran, sono stati trasferiti in un campo nella giungla.

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Ali Herschi, avvocato iraniano-statunitense specializzato in diritti umani, sta rappresentando gratuitamente il gruppo. Ha dichiarato che la priorità è impedire il loro rimpatrio in Iran e successivamente chiedere alle autorità statunitensi di rivedere il caso, permettendo loro di entrare negli Stati Uniti per motivi umanitari.

Nel campo, Ghasemzadeh vive in una grande gabbia recintata, con giacigli umidi e senza coperte. Ha raccontato che le hanno dato una bottiglia d’acqua e le hanno detto di riempirla con l’acqua del bagno.

Ogni sera scrive citazioni cristiane su un piccolo quaderno. In una pagina, ha lasciato un messaggio per Gesù in persiano: “Sono sicura che puoi sentire la mia voce da lassù. Ti prego, aiutami”. Accanto, ha disegnato un piccolo cuore rosso. *

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  • Articolo pubblicato sul New York Times
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