Germania tra passato e futuro: tensioni Alternative für Deutschland e il nuovo equilibrio europeo
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Germania tra passato e futuro: tensioni Alternative für Deutschland e il nuovo equilibrio europeo

Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, Georg Bätzing, in vista del voto di domenica, ha ritenuto opportuno intervenire sostenendo chiaramente che la democrazia non è negoziabile e l’Afd non è conciliabile con i valori cristiani

Germania tra passato e futuro: tensioni Alternative für Deutschland e il nuovo equilibrio europeo
Il vescovo di Limburg, Georg Bätzing, presidente della Conferenza Episcopale tedesca
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18 Febbraio 2025 - 23.31


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di Antonio Salvati

Anche il presidente della Conferenza episcopale tedesca, Georg Bätzing, in vista del voto di domenica, ha ritenuto opportuno intervenire sostenendo chiaramente che la democrazia non è negoziabile e l’Afd (Alternative für Deutschland) non è conciliabile con i valori cristiani e mettendo in guardia da pericolose polarizzazioni e lanciando un appello ai partiti democratici e alle forze sociali, Chiese incluse, affinché si uniscano per dare risposte alle paure dei cittadini di fronte a un mondo in subbuglio, paure che alimentano proprio l’estrema destra.

Per capire quanto accade in terra di Germania, non possiamo, tuttavia, soffermarci soltanto sul pericolo rappresentato da Alternative für Deutschland, formazione di ultradestra, in questo momento particolarmente apprezzata nei sondaggi e nelle urne. Occorre inoltrarsi nei sentimenti e nella storia del popolo tedesco, precisando che la Repubblica Federale è attraversata da tempo da un conflitto tra le genti che la compongono, come non capitava dal secondo dopoguerra. Infatti, tralasciando la contesa tra i partiti, in questo periodo sassoni e bavaresi insidiano il predominante gruppo renano-anseatico per il dominio dello spazio germanico. Contesa assai aggravata dalla guerra in Ucraina.

La Germania non è una nazione. Mai lo è stata, ha sottolineato Dario Fabbri nel suo recente volume Sotto la pelle del mondo (Feltrinelli 2024). «È effettivamente falso parlare di nazione tedesca», disse chiaramente Thomas Mann. Il territorio è tuttora abitato da renani, anseatici, vestfaliani, bavaresi, svevi. Più sassoni, turingi, pomerani (storicamente detti prussiani). Catalogo di matrice tribale, spiega Fabbri, confermato nei millenni. La storia della Germania unita «è avvicendamento al potere tra genti autoctone, solitamente feroce. L’unificazione di metà Ottocento fu realizzata dal ceppo prussiano, gravitante su Berlino, portatore di dottrina luterana».

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Al termine della Grande Guerra, gli austro-bavaresi accusarono i prussiani (e gli ebrei) della sconfitta, cavalcando il revanchismo della popolazione. Negli anni trenta si impadronirono del potere. Proveniente da Monaco e giunto a Berlino, il nuovo gruppo dominante elaborò il nazismo. La sciagura del Secondo conflitto mondiale produsse la partizione della Germania in territori governati da gruppi distinti e rispettivamente alle dipendenze delle due superpotenze.

La Repubblica Federale fu “affidata” dagli statunitensi ai renano-anseatici, wessi in vezzeggiativo, lontani dal militarismo dei bavaresi. La Repubblica Democratica fu assegnata dai sovietici ai sassoni (prussiani). Durante la guerra fredda, anche a causa della propaganda americana e sovietica, il divario tra autoctoni aumentò.

Con i bavaresi (temporaneamente) contenti di condurre vita a parte caratterizzata da un ampio benessere. Nel 1989, la caduta del Muro fu percepita con forti preoccupazioni dai contemporanei dell’Europa occidentale. La possibilità che con un colpo di penna la Repubblica Federale, già prima potenza economica, diventasse il paese più popoloso del continente con oltre ottanta milioni di abitanti, diciassette milioni offerti (non troppo) gentilmente dall’ex Ddr, gelò i principali governi del tempo. È di quei giorni la famosa frase di Giulio Andreotti, «amo talmente la Germania che ne vorrei sempre due». Spaventata Margaret Thatcher addirittura chiamò al telefono il russo Mikhail Gorbaciov per supplicarlo di agire contro la riunificazione, non consapevole delle difficoltà della morente Unione Sovietica.

Nel 1990 i cinque länder orientali si lasciarono accorpare alla Repubblica Federale senza fiatare. «Non è fusione tra Stati di medesima dignità», disse significativamente Wolfgang Schäuble, nativo di Friburgo in Brisgovia, allora ministro degli Interni. Negli anni Duemila gli abitanti della ex Ddr hanno cominciato a farsi sentire, reclamando maggiore riconoscimento.

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A diffonderne le loro istanze provvide il partito Alternative für Deutschland, attraverso un approccio antioccidentale che fu prussiano, centrato sulla biologia degli abitanti anziché sulla loro cultura. Nato nel 2013 e nel frattempo cresciuto esponenzialmente con un programma incentrato sull’uscita dall’Euro, sull’espulsione dei militari americani dal territorio federale, sul riarmo del paese, sull’immediata riconciliazione con Mosca e, dulcis in fundo, sulla deportazione degli immigrati, compresi i rifugiati. Tutto ciò condito dalla retorica contro la leadership renano-anseatica di ispirazione economicistica e filo-occidentale, alla testa del paese riunificato anche tramite cooptazione di figure allogene, come la sassone occidentalizzata Angela Merkel.

Nelle elezioni statali, celebrate nel 2023, Alternativa per la Germania ha rispettivamente ottenuto il 27,5%, il 23,5%, il 23,4%, il 21% dei voti nei länder orientali di Sassonia, Brandeburgo, Turingia e Sassonia-Anhalt. Inoltre, importante svolta, ha cominciato a raccogliere consensi anche in Baviera. Estromesso dalla classe dirigente perché simpatizzante del nazismo, per decenni il land di Monaco s’è limitato a coltivare la propria differenza, cattolica e alto tedesca. «Nella Berlino tedesca si respira clima antibavarese», ha inveito nel 2022 il presidente Markus Söder. Tuttavia, i länder dell’ex Germania Orientale costituiscono appena il 15% della popolazione federale, meno degli abitanti della sola Baviera, con i quali potrebbero raggiungere il 30% del totale demografico. E la maggioranza dei tedeschi occidentali vanta uno straordinario benessere e un’età media di quarantaquattro anni. Difficile abbandonare il campo d’appartenenza (statunitense) immersi in tanta lussuosa senescenza. Eppure tanto bolle in pentola favorire l’apertura di un nuovo conflitto tra le stirpi di dentro, soprattutto dopo l’elezione di Trump e l’appoggio di Musk all’Afd. Molti tedeschi sono in allerta.

Nel 2020 l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Bundesamt für Verfassungsschutz), incaricato di osservare attività politicamente illegali, ha messo sotto sorveglianza dirigenza e militanti di Alternative für Deutschland, specie l’ala oltranzista (der Flügel) capeggiata dal turingiano Björn Höcke. Nel 2022 oltre sessanta persone sono state arrestate con l’accusa d’aver progettato un assalto al Bundestag per ricostituire la monarchia. Di sicuro, la guerra in Ucraina ha aggravato lo scontro tra tedeschi. Esclusi i belligeranti, invasori e invasi, la Germania – osservano diversi analisti – è la grande sconfitta del conflitto ucraino. I bombardamenti a pochi chilometri hanno rotto l’illusione, portando la popolazione a un passo dalla realtà. Prima dell’invasione russa tre erano i pilastri dell’economia tedesca: manifattura sovradimensionata; possibilità di esportare ovunque; disponibilità di gas russo acquistato sottocosto e ricevuto su tubi esclusivi, sotto il pelo dell’acqua baltica. Con l’occupazione russa delle terre ucraine, di questi uno soltanto, la produzione industriale, resiste, gli altri risultano ridotti (i mercati d’esportazione) oppure annullati (idrocarburi siberiani).

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Assieme a Ucraina e Russia, la Repubblica Federale è l’unico soggetto ad aver subìto un’azione militare. Nel 2023 l’imposto crollo dell’importazione di gas siberiano, dal 55% al 9%, ha sprofondato l’economia tedesca in recessione, con le locali manifatture costrette a strapagare per saziare la propria fame energivora. Mentre polacchi e romeni, avanguardia nella difesa di Kiev e principali interlocutori del Pentagono, si fanno aggressivi. «Non siamo più vostri vassalli», hanno dichiarato da Varsavia all’indirizzo di Berlino. Fine dello status quo, dunque aggravamento delle già esplose divisioni interne alla Repubblica Federale. Con trepidazione aspettiamo le elezioni politiche di domenica prossima. Una cosa appare certa. Nei prossimi anni le diverse anime della Germania continueranno a combattersi per tracciare il proprio futuro. E il nostro.

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