La liberazione di Almasri e la menzogna dei 700 mila migranti pronti a partire dalla Libia

In Libia ci sono 700 mila migranti irregolari pronti a partire“, hanno titolato alcune agenzie e ripreso alcuni quotidiani. Ma non è vero.

La liberazione di Almasri e la menzogna dei 700 mila migranti pronti a partire dalla Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Febbraio 2025 - 21.57


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Rieccoli. L’Istituto Luce 2.0 è tornato in azione. Per fare grancassa mediatica del governo su un tema scottante, su cui la Corte penale internazionale de l’Aja ha aperto un fascicolo, sull’Itlia: la liberazione del torturatore, stupratore, assassino Almasri.  Ecco allora ritirare fuori l’incubo dell’invasione dei migranti. Una forzatura strumentale che Franz Baraggino smonta con sapienza documentale su Il Fatto quotidiano.

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Annota Baraggino: “In Libia ci sono 700 mila migranti irregolari pronti a partire“, hanno titolato alcune agenzie e ripreso alcuni quotidiani, interpretando un dato, quello della presenza straniera in Libia, che la relazione del Copasir non trasforma in alcun modo nella minaccia spesso paventata. Da ultimo nella vicenda del torturatore libico Almasri, che il governo avrebbe liberato anche per evitare “un’improvvisa ondata di partenze” via mare…

Migranti internazionali sarebbero oggi 787.326, dato raccolto dall’Oim tra agosto e ottobre 2024 e coerente con quello raccolto dal Copasir. “Secondo quanto riferito nelle audizioni svolte, sono presenti circa 700 mila immigrati irregolari in Libia”, si legge nel documento approvato il 5 febbraio dal Comitato, che in base agli elementi raccolti sviluppa poi una serie di raccomandazioni al Parlamento. Ma nemmeno qui si parla di migranti “pronti a partire”. E non a caso. Ancora una volta, il dato è sovrapponibile a quelli dell’Oim, che evidenziano come “nove migranti su dieci (87%) in Libia hanno dichiarato di non possedere un permesso di lavoro“. Niente di strano in un Paese che non offre alcuna garanzia di tutela dei diritti fondamentali e dei potenziali richiedenti asilo, non avendo neppure ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati. Per questo non è sbagliato parlare di “700mila immigrati irregolari”, senza però dimenticare che il 79% degli stranieri lavora, soprattutto nelle costruzioni e nell’agricoltura, e che la Libia rimane anche e soprattutto un Paese di destinazione.

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⁠ Quello che però disinnesca l’allarme dei 700mila irregolari pronti a imbarcarsi è il confronto tra l’origine degli stranieri in Libia e le principali nazionalità di chi sbarca in Italia. Il 26% degli immigrati oggi in Libia viene dal Sudan, il 24% dal Niger, il 21% dall’Egitto, il 10% dal Ciad e il 4% dalla Nigeria. Al contrario e coerentemente con il 2024, i 4.144 migranti sbarcati dall’inizio provengono da Bangladesh (32%), Pakistan (21%), Siria (12%) ed Egitto (8%), mentre un ulteriore 11% viene da altri Paesi. Egitto a parte, Paese confinante con un’alta percentuale di occupati in Libia (93%), nessuna delle altre principali nazionalità presenti in Libia compare tra le prime dieci che sbarcano in Italia. Inoltre, per il 70% di sudanesi, nigerini e non solo, il denaro che inviano a casa è la fonte primaria di reddito per le loro famiglie, che utilizzano le rimesse per coprire i bisogni alimentari. Per la maggior parte, insomma, interrompere l’invio di denaro per rischiare la vita in mare semplicemente non è un’opzione. Quanto ai Paesi d’origine di chi arriva in Italia via mare, secondo la rilevazione Oim i bangladesi in Libia sono 19.820, i Pakistani 4.442 e non tutti quelli intervistati hanno espresso l’intenzione di proseguire verso altri Paesi, Europa compresa.”.

Così stanno le cose. Ma per la comunicazione mainstream l’importante è portare l’acqua al mulino del potente di turno.

Ma nella Relazione al Parlamento non c’è solo l’immigrazione. 

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La Russia, sostiene il Copasir, continua a fare dalle Libia terra di traffici per le sue armi e di interessi per le milizie che hanno raccolto l’eredità della Wagner: il Comitato parla di “formazioni mercenarie maggiormente collegate al Cremlino…le armi che arrivano attraverso la Libia, avrebbero come destinazione anche il Mali e il Burkina Faso, dove la Russia ha legami con i golpisti”. Più in generale l’Africa sembra essere terra di interesse per Mosca ma anche per Pechino, che puntano ad allargare la loro influenza su quel continente. 

“La Federazione Russa – scrivono i parlamentari – fornisce formazione militare a numerosi paesi africani a fronte dello sfruttamento di miniere e terre in modo particolarmente spregiudicato”. Il Copasir non manca anche di sottolineare gli effetti dirompenti che avrebbe una tregua forzata imposta all’Ucraina come quella che va immaginando in queste ore il neopresidente Trump. Di qui la proposta del Comitato di una nuova missione permanente Nato in Africa, per non lasciare “maggiore libertà di manovra proprio ad attori statali non alleati, specie alla Russia”.

La Relazione omette di rimarcare un “piccolo” particolare. Alle dipendenze di Mosca ci sono anche criminali di guerra che l’Italia ha ricevuto in pompa magna, come fossero capi di Stato con cui stringere rapporti e fare affari. Uno su tutti, l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar.

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Le fosse comuni

Negli ultimi giorni in Libia sono state trovate due fosse comuni con i corpi di 49 persone migranti. Le autorità giudiziarie libiche e la Mezzaluna Rossa, l’equivalente della Croce Rossa nei paesi islamici, hanno detto che una prima fossa comune con 19 corpi era stata trovata giovedì nei pressi di una fattoria a Jikharra, città nel nord-est del paese, e un’altra con 30 corpi domenica in una zona desertica vicino a Cufra, nel sud-est, a quasi 700 chilometri di distanza.

La procura generale libica ha detto che quest’ultima fossa comune è stata trovata in seguito a un’operazione di polizia in cui sono state arrestate quattro persone sospettate di gestire un traffico illecito di persone migranti dalla Libia verso l’Europa. «C’era una banda i cui membri hanno deliberatamente privato i migranti della loro libertà, li hanno torturati e li hanno sottoposti a trattamenti crudeli, umilianti e disumani», ha detto la procura. Al momento non si sa la causa della morte delle persone, e si attendono le autopsie.

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Identikit di un criminale in divisa

Lorenzo Cremonesi, storico inviato di guerra del Corriere della Sera, la Libia la conosce come pochi. La racconta come sa fare: andando sul posto, scavando dentro la notizia, non accettando mai “verità” di comodo.

Lo fa anche stavolta raccontando l’uomo che l’Italia ha liberato.

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Scrive Cremonesi: “Investigare Almasri non è semplice. Gli ambienti ufficiali di governo fanno quadrato. I giornalisti locali evitano semplicemente di trattare l’argomento. La sua liberazione a Torino qui è stata registrata come pura cronaca. Il mandato di cattura della Corte Internazionale per crimini di guerra e abusi nelle carceri sotto il suo controllo non vengono raccontati. In Libia giungono solo echi ovattati del dibattito in Italia. «Meglio non esporsi. Se scrivi qualche cosa di non gradito o scomodo rischi la cella, o addirittura di essere rapito e assassinato», dice un collega libico che esige l’assoluto anonimato. Anche lui comunque ripete che «l’Italia non aveva alternative che rilasciare Almasri: altrimenti Turchia, Francia, Egitto e Russia si sarebbero spartiti i contratti italiani e in ogni caso qualche vostro cittadino sarebbe stato sequestrato per imporre lo scambio».  

E per dare forza al suo argomento cita alcuni tra le centinaia di messaggi minacciosi apparsi su TikTok e Facebook nei giorni dell’arresto. «Dite a Roma che ha 48 ore per ridarci Almasri, poi attaccheremo l’Eni», scriveva perentorio un certo Abdel Zak. «La loro ambasciata verrà distrutta», aggiungeva un altro.


  
La biografia di Almasri ricorda per alcuni aspetti quella di Abdurahman al-Milad, detto Bija, noto come comandante della guardia costiera libica e trafficante di esseri umani, coinvolto nelle trattative con l’Italia per evitare le partenze dei migranti e infine ucciso a mitragliate nel 2017.

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Entrambi prima della rivoluzione e la defenestrazione di Gheddafi erano poveri venditori ambulanti. Bija prima del 2011 aveva una bancarella di frutta e verdura a Zawyah. Almasri vendeva invece polli e volatili al mercato degli animali di Tripoli ogni venerdì. Nel caos violento della guerra civile seguita alla fine del Colonnello, Bija crea la sua milizia privata legata alla guardia costiera, fa soldi ricattando i migranti e controllando il traffico dei barchini verso l’Italia. 

Almasri, invece, nel 2014 entra nella Rada, la milizia emanazione del fronte islamico che domina nella capitale e più tardi contribuirà con le armi a fermare le truppe del generale Haftar. «La Rada lo utilizza per le operazioni sporche. Lui è un killer, deve eliminare gli indesiderati e per farlo assolda sicari e uomini col pelo sullo stomaco disposti a tutto reclutati tra i prigionieri rinchiusi nelle stesse carceri che è chiamato a dirigere», dice un’altra fonte nella milizia. 

Le vite di circa 15.000 carcerati in tre prigioni sono nelle sue mani. Nel carcere di Jedaida sono per lo più chiusi trafficanti di droga e criminali accusati di delitti gravi. In quello di Rueni si trovano migranti africani, oltre a arabi dei Paesi vicini, per lo più tunisini ed egiziani. Nelle celle di Al Maftuah ci sono invece pesci piccoli condannati per reati minori.

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 Per rendere più efficiente la sua attività Almasri negli anni contribuisce alla creazione di unità speciali, come la Brigata 42, che nel carcere periferico di Ain Zara gestisce quasi esclusivamente i traffici di migranti. Un sistema di potere complesso e articolato, che neppure l’attuale premier Abdul Hamid Dbeibeh è riuscito a smantellare. Alla sua elezione nel marzo 2021 questi sembrava determinato a farlo. Ma ancora oggi la sua sicurezza e quella del suo governo sono garantite dagli uomini armati di tre milzie maggiori: la Rada di Abdel Rauf Kara, che domina nel centro di Tripoli; la Brigata 444 di Mahmud Hamza nel sud sino a Tarhuna e Bani Walid e la Ghneiwa incaricata di Bab al Aziziah (l’ex quartier generale di Gheddafi), dell’aeroporto e altri poli cruciali. 

Dicono a Tripoli: «Le milizie e in particolare la Rada sono veri Stati nello Stato. Nessuno può toccarle. Godono di sovranità e autonomia proporzionali alla loro forza militare e alla debolezza dell’autorità centrale. Chiunque voglia trattare con la Libia e operare sul territorio deve a un certo punto negoziare anche con loro».

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