L’ebraismo democratico si mobilita per il cessate il fuoco a Gaza.
“Le organizzazioni internazionali ebraiche firmatarie di questo appello chiedono la cessazione immediata delle ostilità a Gaza e un accordo per il rilascio degli ostaggi israeliani, seguiti da un’azione diplomatica rivolta a giungere ad una pace complessiva e sicura nella regione.
In seguito al brutale eccidio perpetrato da forze di Hamas contro le comunità del sud di Israele il 7 ottobre 2023 lo stato di Israele ha avviato un’offensiva militare massiccia contro Gaza, con l’obiettivo di debellare l’apparato militare di Hamas e liberare gli ostaggi da questi catturati.
Oltre un anno da quella data l’esercito israeliano è ancora impegnato a Gaza, decine di migliaia di abitanti nella Striscia sono periti, molti di più feriti in modo permanente. I danni prodotti dai bombardamenti hanno devastato infrastrutture civili essenziali e reso Gaza quasi inabitabile per i sopravvissuti. Pur con capacità militari drasticamente ridotte, Hamas mantiene un controllo significativo sulla Striscia e detiene prigionieri 101 ostaggi israeliani, vivi o morti.
Mentre sosteniamo il diritto di Israele all’autodifesa, gli eventi dell’anno trascorso e il costo tragico sopportato dalle due parti testimoniano che non vi è una soluzione militare del conflitto. L’unico modo di conseguire gli obiettivi originari è di giungere ad un accordo immediato per un cessate-il-fuoco e il rilascio degli ostaggi, l’aumento degli aiuti umanitari e un negoziato multilaterale per la ricostruzione e il futuro governo della Striscia.
Facciamo dunque appello al governo di Israele per porre fine alla guerra, ritirare le forze israeliane da Gaza e premere per un’intesa in materia di sicurezza, in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi. Ci appelliamo anche alla comunità internazionale perché concorra ad avviare un processo diplomatico che porti ad un futuro sicuro per israeliani e palestinesi, fondato sul diritto all’autodeterminazione per ambedue i popoli in due stati indipendenti.
Il comitato di coordinamento di J-Link, J Street, JSpaceCanada, Ameinu, V.S.A., JDI, South Africa, J Call Europe, Policy Working Group, Israel, J Amlat Argentina-Chile-Brasil-Mexico-Uruguay, T’ruah, Ameinu Brasil, New Israel
Fund, New Israel Fund of Canada, New Israel Fund Australia, New Israel Fund Switzerland, New Israel Fund Deutschland, Ameinu Canada, Americans for Peace Now, J Call Italy, J Call Switzerland, J Call Barcelona, J Call France, Agrupación Judía Max Nordau, Amigos Brasileiros Do Paz Agora, Centro Progresista Judio CHILE,
Agrupación judía chilena Diana Aron, New York Jewish Agenda, Argentinos Amigos de Paz Ahora, Judias e judeus pela democracia São Paulo, Casa de Cultura Mordejai Anilevich, Mujeres activan por la paz, Asociación Cultural Israelita, Partners for Progressive Israel, Progressive Zionist Movement, Boston Friends of Standing Together, Canadian
Supporters of Women Wage Peace, CPJ Chile, Bet-El Madrid, HUJI y BIU, Secular Synagogue
J-link è una rete internazionale che comprende organizzazioni ebraiche attive negli Stati Uniti, Canada, paesi d’Europa, America Latina, Sud Africa e Australia. Insieme ad organizzazioni israeliane intendiamo cooperare per esprimere una voce comune in sostegno alla democrazia, al pluralismo religioso ed a una risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese. Continuiamo a credere nei valori iscritti nella Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, che proclama “la piena eguaglianza di diritti politici e sociali dei suoi abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso”
Il coraggio di Rinat
A raccontarne la storia, una straordinaria, toccante storia di dolore e di speranza, è Ofer Aderet, che su Haaretz scrive: “Il 7 ottobre, in occasione dell’anniversario dell’omicidio di sua nipote Shani Louk, Rinat Louk Elhaik ha creato una serie di immagini di Shani generate dall’intelligenza artificiale, intitolate “Go in Peace”.
Questa serie di fotografie è la risposta di Rinat al video in cui si vede il corpo di sua nipote gettato sul retro di un camioncino dai militanti di Hamas mentre si dirige verso la Striscia di Gaza – un video che è rimasto impresso nella memoria nazionale ed è diventato uno dei simboli del massacro.
Nelle immagini create da Rinat, Louk appare serena e felice, indossando un vestito bianco, circondata da fiori e uccelli, con un pick-up bianco accanto a lei. “È una forma di correzione”, dice.
Louk “non è sdraiata e indifesa, ma vestita con splendore e grazia, circondata dall’amore, dalla gioia, come è sempre stata, potente e gentile”. L’idea è nata durante la settimana di lutto per Shani, il cui corpo è stato riportato in Israele a maggio.
“Nel video, Shani era già morta. La sua umiliazione aveva lo scopo di sopprimerci e degradarci e di collegarci all’esperienza di un bambino durante l’Olocausto, condotto al macello come una pecora”, spiega Rinat. Nella serie di fotografie che ha creato, ha cercato di dire nuovamente addio a Shani. “Mi sembrava di ricevere energia da lei”, condivide.
“La spiritualità, il senso di galleggiamento e il riferimento all’aldilà si riflettono chiaramente nelle opere. Shani amava molto questo mondo e fluttuava al suo interno. Il suo interesse per i tatuaggi era volto a rendere tangibile la sua presenza fisica nel mondo, a incidere sul suo corpo, con un po’ di dolore, per ricordare a se stessa che è un’anima all’interno di un corpo e per assicurarsi di non volare troppo lontano”, afferma l’artista.
Louk, figlia di madre tedesca e padre israeliano, è nata nel 2001, è cresciuta nella comunità di Shrigim e successivamente si è trasferita con la famiglia negli Stati Uniti. Da giovane adulta si è trasferita a Tel Aviv ed è diventata una tatuatrice.
È stata uccisa mentre partecipava al Nova Festival. “Shani aveva molto talento e mi aiutava nella mia attività di scultura ambientale. Faceva sempre le cose più creative che richiedevano più pazienza”, ha detto Rinat, la sorella di Nissim, il padre di Louk.Oltre a commemorare la nipote, Rinat è anche attiva nella lotta per il ritorno degli ostaggi rimasti a Gaza. “Tutti i nostri cuori sono prigionieri a Gaza. Non è una cosa che nessuno può ignorare”, ha detto. Rinat è una delle amministratrici del gruppo WhatsApp “Cerco le mie sorelle”, dove i suoi amici pregano insieme per il benessere delle donne rapite. “Con una canzone, con un’immagine, con un testo. Ognuna a modo suo”, racconta Rinat. “Torneranno”, dice. Secondo le sue stesse parole, la solidarietà che incontra la riempie di speranza. “Anche le famiglie che hanno ricevuto una notizia tragica continuano ad agire per riportare indietro gli ostaggi – i morti e i vivi”.
Noi non conosciamo Rinat. Ma se l’avessimo vicina l’abbracceremmo con gratitudine e commozione. Lei è il volto dell’Israele che amiamo.
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