Un lancio dell’Ansa: “Sentii dire dal maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif: ‘nel nostro paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad. Era un problema perché era popolare fra la gente comune.
“Finalmente l’abbiamo preso: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto. Io l’ho colpito'”. È il drammatico racconto di un teste protetto sentito in aula nel processo a carico di quattro 007 egiziani per la morte di Giulio Regeni che ha riferito quanto sentì raccontare da uno degli imputati in un ristorante a Nairobi nel settembre del 2017.
Il teste ha ricostruito quanto avvenuto quel giorno. All’epoca dei fatti faceva il venditore di libri e si trovava al ristorante per incontrare un professore dell’università di Nairobi che voleva acquistare alcuni volumi. “Sentì due uomini accanto a lui che parlavano – ha detto davanti ai giudici della Corte d’Assise della Capitale -. Al tavolo accanto erano seduti un funzionario della sicurezza keniota e un egiziano, sceso poco prima da un veicolo diplomatico egiziano. Erano a distanza di circa due metri da me: non c’erano tavoli fra noi. Hanno iniziato a parlare delle elezioni presidenziali in Kenya, parlavano in inglese.
Parlavano di tensioni e scontri con la polizia dopo il voto contro la legittimità delle operazioni di voto. e di vittime che c’erano state. Criticavano l’Unione Europea che manifestava solidarietà con le proteste. Il funzionario diceva che bisognava restare fermi e che senza ingerenze straniere le forze di polizia avrebbero potuto reprimere ‘meglio’ le proteste”. Il teste ha riferito che l’egiziano ha detto: “l’Unione europea è un problema grande per noi in Egitto” per poi aggiungere che “nel nostro paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia o del Mossad sottolineava come questa persona fosse un problema perché era popolare fra la gente comune. Interagiva con la popolazione nei mercati”.
“Ho collegato dopo di chi parlavano, parlavano di un italiano che era un problema ne avevano abbastanza. Lo abbiamo picchiato e ‘io l’ho colpito’. Lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto “. Secondo il testimone il dialogo durò circa 45 minuti. “Ho sentito il nome Sharif il keniota si rivolgeva all’egiziano chiamandolo Sharif. E l’ha salutato per nome, l’egiziano si è messo una mano sul petto, molti musulmani rispondono così a un saluto. Si sono scambiati i biglietti da visita”.
Così la testimonianza. Domanda finale: Presidente Meloni, Ministro Tajani, e l’Egitto sarebbe un Paese sicuro? Al-Sisi un interlocutore affidabile? E infine: Ma non provate un po’ di vergogna? Per molto, molto meno, un Paese con la schiena dritta, con un minimo di dignità e coscienza di sé, avrebbe rotto le relazioni diplomatiche, economiche, commerciali, con un regime che ha sventrato un nostro connazionale. Un Paese con la schiena dritta, per l’appunto. Non l’Italia.
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