Mentre lo psicopatico di Damasco, che ha messo in piedi la più grande macchina di morte e deportazione del nuovo millennio, attende notizie su cosa decidono di fare di lui i suoi soci russi e iraniani, ha poco senso domandarsi se lascerà il Paese o combatterà ancora o si farà una spartizione trattando con il leader emergente, Erdogan. Il destino del regime appare segnato e potrebbe sopravvivere a se stesso solo in formati limitati. Il rallentamento dell’offensiva intorno ad Homs, la cui caduta segnerebbe la fine del regime perché toglierebbe di mezzo i collegamento tra i territori di origine di Assad, la costa di Latakia, e damasco. Si vedrà cosa decideranno russi e turchi nei loro colloqui. Putin tratta la buonuscita per Assad, Erdogan la buona entrata per i gruppi armati che hanno sbaragliato le truppe assadiste.
C’è però una domanda, in attesa degli sviluppi che ci diranno solo le cronache diplomatiche, che va formulata. Dal 2022 Erdogan chiede a Putin un incontro con Assad per ridefinire la “pace siriana”, che non esiste ma Assad fa finta di garantire in orribile solitudine totalitaria (ma che fa acqua da tempo da tutte le parti). Questa richiesta di Erdogan è stata capita da Putin, che l’ha formulata ad Assad. Ma il leader turco è stato lasciato da solo dagli arabi. Se anche loro avessero fatto propria l’iniziativa turca, Putin avrebbe potuto storcere il braccio del suo sgarbato cliente. Ma i leader arabi hanno taciuto, benché siano arabi quei siriani che Assad tortura in tutti i modi da anni. Poi le corone del Golfo non si possono meravigliare che dopo anni e anni di sevizie escano gruppi estremisti che non piacciono. Dovevano agire prima, anche con Erdogan.
Il problema è che i leader arabi sopportano tutto. Pur di non vedere una foglia agitare la stabilità regionale, loro difendono anche l’indifendibile. Se avessero avuto seguito l’astuto autocrate di Ankara, che oltre a coraggio ha anche interessi evidenti, avrebbero potuto dimostrarsi padroni del loro destino e del futuro siriano, Paese molto vicino ai loro confini.
Determinati a portare avanti un’occidentalizzazione dei loro Paesi, quelli del Golfo, pensano di farlo organizzando concerti, eventi sportivi. E’ un’occidentalizzazione selettiva, che non può convincere. I concerti vanno bene, ma per essere credibili occidentalizzatoti devono cominciare a costruire un sistema diverso, non regni delle tenebre e degli affari fini a sé stessi.
La loro incapacità va comunque capita. Schieratisi con gli americani ai tempi delle guerra fredda, queste monarchie del Golfo si sono trovate contro le repubbliche dei generali golpisti, come Assad e Saddam, fratelli coltelli ma entrambi scivolati nel fronte filo-sovietico. Quando Khomeini ha sequestrato la rivoluzione iraniana e ha realizzato il suo golpe teocratico, da posizioni anti americane radicali, ha sfidato le corone arabe dicendo che lui era il custode della vera teocrazia islamica, loro dei corrotti. Era l’eresia khomeinista che sfidava le corone.
Queste corone hanno reagito creando un aggressivo islamismo avverso a quello khomeinista che le legittimasse. La guerra fredda è finita ma non per gli arabi e l’islamismo creato dalle corone è arrivato fino all’11 settembre. Da lì in poi queste corone hanno avviato un difficile ripensamento di sé, combattendo l’islamismo che avevano creato. Ma hanno bisogno di una nuova identità. Non la troveranno solo nei concerti che organizzano nei loro Paesi, pur essendo importanti, certamente.
La partita siriana gli offriva la possibilità di aprire un’epoca nuova facendosi promotori di un federalismo siriano tra le diverse comunità che Assad ha governato mettendole sempre l’una contro l’altro. Assad ha incarnato un sistema ben noto: reprimere ogni pensiero libero, consentire o favorire solo estremismi con lui configgenti per presentarsi come il male minore.
Le corone arabe per garantire quella che chiamano stabilità hanno accettato anche questo, arrivando per paura dei mostri alimentati da Assad ma soprattutto per paura dei democratici che lo sfidavano e che loro hanno silenziato a inviare in Siria milizie che hanno sequestrato i leader della rivolta. La democrazia era ancora un incubo più di ogni regime.
Ma senza un barlume di pluralismo sociale, magari parziale, non c’è occidentalizzazione, i concerti rock così servono a poco. Occorreva sfidare davvero lo psicopatico di Damasco e il suo sistema di governo assassino proponendo un incontro tra tutte le comunità, un federalismo siriano, e promuoverlo trattando con lo scomodo Erdogan. L’alternativa era lasciare la Siria diventare un buco nero.
L’altra scelta invece poteva, col tempo , trasformare le milizie islamiche in partiti demo-islamici. Lasciare la giungla assedista non avrebbe offerto invece alcuna prospettiva. Ma se si pensa di occidentalizzarsi solo con i concerti, gli eventi sportivi, si finisce non con l’avviare processi, ma col tollerare ogni repressione sperando che funzioni e lasci tutto com’è.
In un inferno come quello siriano questo era impossibile. Ma i leader arabi non hanno dimostrato alcuna attenzione, alcuna visione. E oggi appaiono ai margini di una partita politica enorme che gioca solo Erdogan, il che non aiuta.
E’ il federalismo la strada che le corone arabe avrebbero dovuto proporre e promuovere, non l’hanno fatto perché all’ombra dei loro occidentalismo selettivo c’è solo l’idea che non bisogna disturbare il conducente, mai.
Lo psicopatico di Damasco è alle corde, ma i leader arabi che sopportano tutto tranne che le sfide da gestire con sforzi e aperture, certamente difficili, hanno perso importantissimi, lasciando la Siria diventare una mina vagante. E lo accetterebbero ancora… La speranza è che ci sia ancora tempo per avviare un possibile federalismo rispettoso di tutte le comunità, che assorba la burocrazia esistente, e avvii un federalismo che sarebbe la salvezza di tutti. Anche dei miopi monarchi del Golfo che non sanno cosa ci sia nel buco nero siriano creato da Assad.