I mandati d’arresto emessi dalla Corte penale internazionale (Cpi) contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant continuano a suscitare reazioni sia nella politica israeliana che a livello internazionale. In visita nella Repubblica Ceca, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha confermato che verrà presentato ricorso contro la decisione dei giudici dell’Aja. Durante una conferenza stampa con il collega ceco Jan Lipavsky, Sa’ar ha dichiarato: «Tendo a credere che a Washington entrerà in vigore a breve una legge contro la Cpi e chiunque collabori con essa».
L’ufficio di Netanyahu aveva già comunicato l’intenzione di appellarsi, chiedendo che i mandati venissero sospesi in attesa dell’esito del ricorso. «Lo Stato di Israele contesta la giurisdizione della Cpi e la legittimità dei mandati di arresto emessi», si leggeva in una nota ufficiale, che aggiungeva: «Se la corte respinge questa richiesta, dimostrerà ulteriormente agli amici di Israele negli Stati Uniti e in tutto il mondo quanto la Corte penale internazionale sia di parte nei confronti di Israele».
Dal canto suo, il portavoce della Cpi, Fadi El-Abdallah, ha ribadito che eventuali richieste di appello saranno valutate dai giudici. Intervistato dall’emittente israeliana Kan, El-Abdallah ha sottolineato che «ci si aspetta che i sospettati compaiano davanti alla corte. Saranno garantiti tutti i loro diritti, inclusa la presunzione di innocenza». Ha inoltre precisato che eventuali revoche dei mandati potranno avvenire solo in presenza di argomenti molto solidi, aggiungendo che «anche qualora venisse istituita una commissione investigativa in Israele, i giudici verificherebbero se si tratti di un’indagine personale contro Netanyahu e Gallant per le stesse identiche accuse per le quali sono stati emessi i mandati».
Sul fronte internazionale, il ministero degli Esteri francese ha affermato che per «Netanyahu e gli altri ministri in questione» vale l’immunità prevista per gli Stati che non aderiscono alla Cpi, e che questo aspetto deve «essere preso in considerazione qualora la corte chiedesse a Parigi di arrestarli e consegnarli». Tuttavia, il ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot, interpellato sull’eventualità di un arresto di Netanyahu in Francia, ha evitato una risposta netta, dichiarando che Parigi «applicherà il diritto internazionale in base ai suoi obblighi di cooperazione con la Cpi», pur sottolineando che nello statuto della corte esistono «questioni di immunità per certi leader». Ha aggiunto che «in ultima analisi spetta alle autorità giudiziarie decidere».
Nel frattempo, in un comunicato congiunto, i ministri degli Esteri di Germania, Francia e Regno Unito hanno espresso la loro opposizione alle azioni della Cpi contro i leader israeliani, dichiarando che non ci sono giustificazioni per tali provvedimenti. Dall’Unione Europea, però, l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell ha fatto un appello ai membri della comunità internazionale, e in particolare agli Stati membri dell’Ue, sottolineando: «Non possiamo minare la Cpi, è l’unico modo per garantire la giustizia globale». Borrell ha inoltre difeso il carattere legale delle decisioni della corte, affermando: «L’accusa di antisemitismo è ancora una volta una parola fuori luogo. Basta nascondersi dietro l’antisemitismo. Non ha nulla a che fare con questo».