Dopo la rottura, gli attacchi reciproci e la sensazione di essere sull’orlo del baratro, a Bruxelles è giunta l’ora della riflessione. Ursula von der Leyen, in partenza per il G20 in Brasile, tornerà solo martedì mattina in Belgio, alla vigilia di quello che, all’Eurocamera, considerano ormai come un nuovo D-Day: il 20 novembre, quando Teresa Ribera parlerà al Parlamento spagnolo sulla Dana e a Bruxelles si riunirà la conferenza dei capigruppo.
Fino ad allora una ricucitura tra Ppe e socialisti sembra difficile. Anzi, questi ultimi hanno ormai alzato il tiro del loro attacchi, spostando il mirino da Raffaele Fitto a Manfred Weber e alla presidente della Commissione.
«Lo stallo politico l’hanno creato i popolari che in Parlamento stanno cercando di allargare strutturalmente la maggioranza alla destra nazionalista. Il problema l’hanno creato Weber e von der Leyen», ha spiegato Elly Schlein, dando così un chiaro indizio della linea socialista. «Il problema – ha rimarcato la leader del Pd il giorno dopo l’intervento di Sergio Mattarella – non è Fitto. Noi non abbiamo mai messo in discussione un portafoglio di peso all’Italia». Parole che Schlein avrebbe voluto dire anche a Giorgia Meloni, che da giorni la chiama in causa. «Ieri a mezzogiorno l’ho chiamata per chiederle perché è da una settimana che mi attribuisce cose che non ho mai fatto e che non ho mai detto. Non mi ha risposto. Sa perché? Perché poche ore dopo doveva andare a fare campagna elettorale a Perugia dicendo che non rispondo», ha attaccato la segretaria dem. Schlein però ha parlato del portafoglio dell’italiano, non della carica di vicepresidente esecutivo. E forse non è un caso perché assegnando a Fitto un ruolo apicale, secondo i socialisti, si aprirebbe formalmente alle destre.
L’altra faccia del problema, le riserve dei popolari su Teresa Ribera, è stata invece al centro di un lungo incontro a Monaco di Baviera tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e Weber. «Per il bene dell’Europa è cruciale fare in modo che parta immediatamente la nuova Commissione: fermarla sarebbe un grande errore», ha sottolineato il titolare della Farnesina, ribadendo tuttavia di essere in linea con Weber nel sostenere gli spagnoli del Partido Popular nella loro offensiva contro Ribera. Certo, se la spagnola uscirà indenne dall’audizione alle Cortes di Madrid Fi non si opporrà nel votarla. Fare il contrario significherebbe bloccare definitivamente la commissione e portare von der Leyen alle dimissioni. Prospettiva che al momento non ha grandi proseliti a Bruxelles, non tanto per la figura di von der Leyen ma per la necessità, sentita da tutti, di avere una Commissione in carica al più presto, certamente prima dell’insediamento di Donald Trump. «Il mondo non aspetta», ha avvertito il commissario all’Economia Paolo Gentiloni.
Se il Ppe abbasserà le armi di fronte a Ribera, il compromesso sarebbe molto più vicino. È probabile che sia la candidata di Sanchez sia Fitto arrivino al terzo scrutinio nelle commissioni chiamate a votarli. E Fitto potrebbe passare anche senza l’appoggio dei socialisti. L’impressione è che la trattativa riguardi comunque tutto un unico pacchetto, incluso il candidato Oliver Varhelyi, che S&D e liberali vorrebbero privare della delega alla salute riproduttiva.
A muoversi, per blindare il nuovo compromesso, dovrebbero essere comunque i leader. Potrebbero affrontare il dossier in Brasile, dove saranno presenti Meloni, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Pedro Sanchez. Oltre a von der Leyen. La presidente della Commissione è chiamata comunque a fare una mossa, escludendo magari per iscritto qualsiasi allargamento a destra. O almeno alle destre estreme, visto che una parte di Ecr, con Fitto in squadra, voterà per il bis di von der Leyen alla plenaria del 27 novembre. Al contrario, sia per Weber che per la presidente della Commissione, essere meno netti su questo fronte potrebbe essere fatale.