Bielorussia: le carceri di Lukashenko sono un inferno
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Bielorussia: le carceri di Lukashenko sono un inferno

Su richiesta di Meduza, la giornalista bielorussa Yevgenia Dolgaya, fondatrice del progetto "Politvyazynka", ha raccolto testimonianze strazianti di donne sopravvissute alle torture nei centri di detenzione

Bielorussia: le carceri di Lukashenko sono un inferno
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15 Novembre 2024 - 15.23


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La situazione nelle carceri bielorusse è sempre più drammatica, con condizioni definite infernali per i detenuti in attesa di giudizio. Tra le tante privazioni subite, le donne sono particolarmente colpite: oltre alla mancanza di cure mediche, vengono private di assorbenti e tamponi, con distribuzioni limitate a soli due momenti dell’anno, una restrizione che si è inasprita ulteriormente nell’estate del 2024.

Su richiesta di Meduza, la giornalista bielorussa Yevgenia Dolgaya, fondatrice del progetto “Politvyazynka”, ha raccolto testimonianze strazianti di donne sopravvissute alle torture nei centri di detenzione e nelle colonie della Bielorussia governata da Alexander Lukashenko. Quest’ultimo ha annunciato la sua ricandidatura per le presidenziali di gennaio 2025, accompagnata da un’intensificazione della repressione contro il dissenso.

Durante le proteste del 2020 contro i presunti brogli elettorali, centri come Valadarski e Akrestsina a Minsk, oltre a Zhodzina, sono diventati simboli di violenze e torture. Molti manifestanti arrestati, tra cui donne, hanno subito abusi fisici e psicologici che ancora oggi proseguono senza tregua.

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La testimonianza di Elena (nome di fantasia):
Elena, arrestata per aver partecipato a una protesta nel 2022 e rilasciata nel 2023, racconta le condizioni disumane vissute durante la sua detenzione:
“Quando sono stata arrestata avevo il ciclo. Mi hanno portato a casa per una perquisizione, poi in cella. Per fortuna ero riuscita a portare con me alcuni indumenti e un pacchetto di assorbenti, ma mi è stato tolto quasi tutto appena arrivata ad Akrestsina. Ho tenuto gli assorbenti stretti al petto, erano l’unica cosa che avevo.

Dopo il processo, Elena è stata trasferita in una cella di punizione, dove mancava tutto, persino la carta igienica:
“Eravamo in otto ragazze, con una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo che ci ha salvato: prima la usavamo per bere, poi per altre necessità. C’era un rubinetto, ma senza lavandino, e provavamo a lavarci con quell’acqua fredda. Alla fine mi erano rimasti solo cinque assorbenti e ho capito che dovevo farli durare. Era febbraio, dormivamo sul pavimento gelido, strette l’una all’altra. Per proteggere i reni dal freddo, abbiamo diviso gli ultimi assorbenti e li abbiamo usati come isolante.

La disperazione e la solidarietà tra detenute erano costanti:
“Ogni volta che entrava un’infermiera, dicevamo tutte di avere il ciclo. Ci dava un assorbente a testa, che distribuivamo a chi ne aveva più bisogno.”

Questa testimonianza è solo una delle tante storie di sopravvissute che evidenziano la brutalità e il degrado delle condizioni di detenzione in Bielorussia, dove il regime di Lukashenko continua a reprimere brutalmente ogni forma di dissenso.

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