La short list del dopo-Nasrallah: come cambia Hezbollah

La successione è una partita a due. Nel segno della continuità e del legame, imprescindibile ma da rimodulare, con la “casa madre” sciita: l’Iran.

La short list del dopo-Nasrallah: come cambia Hezbollah
Hassan Nasrallah
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29 Settembre 2024 - 19.05


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La successione è una partita a due. Nel segno della continuità e del legame, imprescindibile ma da rimodulare, con la “casa madre” sciita: l’Iran. Il dopo-Nasrallah declinato da uno dei più autorevoli, e informati, analisti israeliani: Zvi Bar’el, storica firma di Haaretz.

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Short list

Annota Bar’el: “Al momento, la short list dei candidati a sostituire Hassan Nasrallah come segretario generale di Hezbollah comprende due nomi: Hashem Safi al-Din e Naim Kassem. 

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Safi Al-Din, capo del Consiglio Esecutivo di Hezbollah, è nato nel 1964, è cugino di Nasrallah ed è imparentato con Qassem Soleimani, il comandante della forza Al-Quds delle Guardie Rivoluzionarie iraniane ucciso dagli Stati Uniti nel 2020

Il Consiglio Esecutivo funge da quasi-governo per Hezbollah, gestendo le operazioni in corso relative agli affari civili e di bilancio e coordinando la propaganda, gli affari giudiziari e le relazioni interne ed estere dell’organizzazione. In questo modo, Hezbollah si è trasformato in un governo parallelo a quello ufficiale del Libano, che negli ultimi tre anni è stato guidato dal primo ministro ad interim Najib Mikati. 

Safi Al-Din, come Nasrallah, operava sotto il patrocinio di Imad Mughniiye, il comandante militare di Hezbollah ucciso nel 2008 a Damasco. Secondo alcuni ricercatori di Hezbollah, era candidato alla posizione di segretario generale dopo l’uccisione mirata di Abbas Musawi da parte di Israele nel 1992. 

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Anche Naim Qassem, il vice di Nasrallah, 70 anni, è stato indicato come possibile sostituto, ma è considerato più che altro una figura di riferimento, sebbene sia un dotto studioso di religione con uno status importante nel Consiglio della Shura di Hezbollah. È stato uno dei fondatori di Hezbollah e tra coloro che ne hanno determinato l’ideologia, ma ha una limitata esperienza militare o amministrativa e si è occupato principalmente di affari educativi e culturali. Ha comunque ricoperto il ruolo di capo del consiglio esecutivo fino al 1994, sia sotto Musawi che sotto Nasrallah, fino a quando è stato sostituito da Safi Al-Din.

La rapidità della scelta del successore, di cui è ufficialmente responsabile il Consiglio della Shura ma che in pratica sarà decisa da Teheran, è fondamentale per dimostrare che Hezbollah continua a funzionare, nonostante il colpo critico subito dai suoi vertici e  la perdita del suo leader.  È necessario nominare una serie di alti funzionari, che redigano un rapporto sulla situazione tattica e che possano fungere da interlocutori per le centinaia di migliaia di libanesi sciiti la cui vita è stata e continua a dipendere dall’organizzazione. 

Inoltre, il nuovo leader avrà la missione di riabilitare la posizione politica di Hezbollah in Libano come responsabile non solo della lotta contro Israele, ma anche come organizzazione responsabile della più importante risorsa strategica, diplomatica e ideologica dell’Iran in Medio Oriente. La leadership militare di Hezbollah può essere stata distrutta, ma l’organizzazione controlla ancora le infrastrutture civili ed economiche, nonché il potere politico di determinare il futuro del Libano sia nell’immediato che nel lungo termine.

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Anche se Israele riuscisse a distruggere l’intero stock di missili di Hezbollah che lo minacciano, le armi rimaste in mano all’organizzazione continueranno a fungere da frusta per minacciare il fronte interno del Libano finché il Paese non avrà un esercito efficace, equipaggiato e addestrato in grado di fronteggiare Hezbollah. L’Iran teme che questa leva rischi di perdere il suo potere di fronte ai pesanti colpi subiti da Hezbollah, il che potrebbe portare l’opinione pubblica libanese a rialzare la testa, considerando il prezzo molto alto che ha dovuto pagare per una guerra che non è la sua, la cui logica non è stata la difesa della patria, ma l’assistenza ad Hamas. 

L’opinione pubblica libanese e in particolare i rivali politici di Hezbollah, nonostante le aspre critiche che si sono intensificate durante la guerra e in particolare nelle ultime due settimane, non sono ancora scesi in piazza per affrontare l’organizzazione. 

Ma i libanesi hanno già dimostrato la loro forza diverse volte nella storia recente del paese. Nel 2005 hanno cacciato le forze siriane dal paese in seguito all’assassinio del Primo ministro Rafik al-Hariri e nel 2008 hanno affrontato violentemente Hezbollah in uno scontro che ha causato decine di morti. Hanno rovesciato governi e costretto alla sostituzione di ministri e soprattutto, a differenza di Gaza, hanno un paese che offre una struttura nazionale collettiva che ritengono sia stata minata dall’Iran, attraverso Hezbollah. 

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Con più di un milione di libanesi sradicati dalle loro case e con i servizi sociali e sanitari di Hezbollah che non sono più in grado di rispondere alle esigenze dei senzatetto e dei feriti, costringendo il gruppo a fare affidamento sui servizi del governo che aspirava a sostituire, la sfida strategica dell’Iran consiste nel prevenire una situazione in cui il paese e il suo popolo rifiuteranno, o almeno eroderanno, lo status di Hezbollah come partito che determina la politica e il carattere della nazione. 

Il conduttore di uno dei notiziari dell’emittente saudita Al-Hadath (un canale di Al Arabiya, nato per competere con Al Jazeera) ha chiesto a un recente intervistato, con un sarcasmo pungente: “Ci si può aspettare che [il leader di Hamas] Yahya Sinwar annunci un accordo di cessate il fuoco, in modo da salvare il Libano e Hezbollah?”. 

Per l’Iran, la possibilità dell’inversione di ruolo che il presentatore ha cercato di suggerire, secondo cui Hamas e i suoi leader avrebbero ora un ruolo di “supporto” a Hezbollah, è ora una questione importante, che riguarda non solo lo status di Hezbollah, ma anche quello di tutti i proxy della Repubblica Islamica. Come coordinatore e guida della “sala operativa” congiunta del “fronte di sostegno” durante la guerra di Gaza, Nasrallah ha visto la sua statura regionale superare quella di Esmail Ghaani, comandante della Forza Quds delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. 

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L’Iran rischia ora di subire le ripercussioni non solo della sfida al dominio di Hezbollah in Libano, ma anche della posizione delle milizie sciite filoiraniane in Iraq e degli Houthi in Yemen, sebbene quest’ultimo gruppo non coordini necessariamente la propria agenda con l’Iran. Sebbene la scorsa settimana i rappresentanti delle rispettive organizzazioni per procura si siano impegnati a inviare migliaia di combattenti in Libano se Israele dovesse lanciare una campagna di terra e ad attaccare gli obiettivi americani in Siria e in Iraq, non è certo che l’Iran accetti, per il timore di trascinare l’Iraq nella campagna, questa volta contro gli Stati Uniti.

Se l’Iraq invia migliaia di combattenti in Libano, questi avranno bisogno del consenso della Siria per attraversare il suo territorio. Damasco, che finora non ha partecipato al “fronte di sostegno” di Hamas o Hezbollah, comportandosi come se si trattasse di un dramma in cui non ha alcun ruolo, non vorrà diventare un attore attivo in una campagna che renderebbe il regime un obiettivo diretto di un attacco israeliano.

L’Iran ha molte altre considerazioni strategiche che riguardano la sua posizione regionale e le sue ambizioni politiche. Dopo l’elezione di Masoud Pezeshkian a presidente e la nomina di Mohammad Javad Zarif a vicepresidente per gli affari strategici e Abbas Araghchi a ministro degli Esteri – due personalità che sono state artefici dell’accordo nucleare del 2015 – l’Iran ha lanciato un’offensiva diplomatica internazionale volta a provocare la revoca delle sanzioni nei suoi confronti. 

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Con Pezeshkian che la scorsa settimana ha annunciato a New York che l’Iran era pronto a deporre le armi se Israele avesse fatto lo stesso, e con le sue ripetute dichiarazioni che l’Iran non sta cercando una guerra regionale e che è un partner nelle mosse diplomatiche volte a raggiungere un cessate il fuoco in Libano, l’Iran non solo contraddirebbe la strategia dichiarata da Teheran, ma andrebbe anche contro i suoi chiari interessi. 

La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei, rispondendo all’uccisione di Nasrallah, ha dichiarato: “Il destino di questa regione sarà deciso dalle forze della resistenza con Hezbollah in prima linea”. Ha invitato i musulmani a “sostenere il popolo libanese e l’orgoglioso Hezbollah con qualsiasi mezzo”. Le sue osservazioni potrebbero indicare la politica che guiderà l’Iran. Saranno le “forze della resistenza”, non l’Iran, a decidere e quando un leader come Khamenei fa appello a “tutti i musulmani”, senza chiarire cosa farà l’Iran, significa – almeno per ora – che l’Iran non ha ancora deciso se e come intervenire. 

Chiunque diventi il nuovo comandante di Hezbollah dovrà orientarsi all’interno di una matrice di nuove forze e considerazioni completamente diverse da quelle che Nasrallah ha costruito nei suoi 32 anni da segretario generale, in cui la sopravvivenza di Hezbollah in Libano è probabilmente molto più importante della guerra contro Israele”.

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Così Bar’el. Continuità, dunque, ma al tempo stesso rimodulazione delle proprie priorità in rapporto alla situazione interna e agli interessi regionali di Teheran. Il successore di Hassan Nasrallah, su chiunque cadrà la scelta, presa a Teheran più che a Beirut, dovrà fare i conti con la politica. Che non può più veicolarsi solo sulla retorica della “resistenza all’entità sionista”. E la politica, nel ginepraio mediorientale, non è surrogabile con l’esercizio della forza. Vale per Hezbollah ma anche per Israele. 

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