Le vebbe parole di una che è alleata di Orban (e lo è stata dei polacchi del Pis) e che finanzia il presidente tunisino Saied, l’autocrate responsabile di abusi e torture contro i migranti e che, ghrazia ai buoni uffici di Meloni, prende i soldi dall’Europa per fare il lavoro sporco. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
«È un onore essere qui per consegnare questo premio ad una persona che è addirittura più bella dentro che fuori. Ha fatto un lavoro incredibile come premier, con una crescita e un’occupazione record. È una persona onesta, vera, autentica, una dote rara per un politico»: Elon Musk ha usato poche ma sentite parole per presentare Giorgia Meloni e consegnarle a New York il «Global Citizen Award 2024» dell’Atlantic Council «per il suo ruolo pionieristico di prima donna capo di governo in Italia, il suo forte sostegno all’Unione Europea e all’alleanza transatlantica nonché per la sua presidenza del G7 nel 2024».
Poi è stato il turno della premier, che era seduta accanto a lui nel tavolo della cerimonia alla Ziegfeld Ballroom e che lo ha ringraziato subito per le sue parole e per il suo «genio prezioso». Quello di Meloni è stato un discorso incentrato sulla difesa e la celebrazione dei valori dell’Occidente contro autocrazie e regime autoritari, ma anche contro i rischi dello stesso Occidente di «auto-sminuirsi» (con un «crescente disprezzo che ci porta a voler cancellare con la violenza i simboli della nostra civiltà, negli Stati Uniti come in Europa») e, dall’altro, «di pretendere spesso di essere superiore agli altri».
«Il risultato? L’Occidente – ha detto – rischia di diventare un interlocutore meno credibile. Il cosiddetto Sud globale chiede più influenza. Le nazioni in via di sviluppo che sono ormai ampiamente consolidate collaborano autonomamente tra loro. Le autocrazie stanno guadagnando terreno sulle democrazie e rischiamo di assomigliare sempre di più a una fortezza chiusa e autoreferenziale», ha ammonito, indicando il piano Mattei come esempio «per invertire questa rotta» e come «modello di cooperazione paritaria per costruire con i Paesi africani un partenariato nuovo e duraturo».
«C’è una narrazione – ha osservato – che i regimi autoritari si prendono molto cura (dei loro cittadini, ndr). Riguarda l’idea dell’inevitabile declino dell’Occidente, l’idea che le democrazie non riescano a mantenere le promesse. Un esercito di troll e bot stranieri e maligni è impegnato a manipolare la realtà e a sfruttare le nostre contraddizioni. Ma ai fan di regimi autoritari, lasciatemi dire molto chiaramente che difenderemo i nostri valori», ha messo in chiaro, invitando a «non vergognarci ad usare e difendere parole e concetti come nazione e patriottismo», e indicando quest’ultimo come «la migliore risposta al declinismo». «In un tempo dominato dal caos l’Italia si schiera fermamente al fianco di chi difende la propria libertà e sovranità, non solo perché è giusto farlo, ma anche perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro in cui prevalga la legge del più forte», ha assicurato, evocando l’Ucraina.
Meloni ha quindi citato la canzone «Man in the mirror» del «mio professore di inglese, il cantante Michael Jackson» per dire che «dobbiamo iniziare da noi stessi, per sapere chi siamo veramente e rispettarlo». E Ronald Reagan per ricordare che la libertà «è un’arma che i nostri avversari nel mondo di oggi non hanno e quella che temono di più». Ma anche l’intellettuale conservatore Giuseppe Prezzolini, secondo cui «chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato».
«Possiamo arrenderci all’idea che la nostra civiltà non ha più niente da dire, niente più rotte da tracciare. Oppure possiamo ricordare chi siamo, imparare anche dai nostri errori, aggiungere il nostro pezzo di storia a questa straordinaria camminata e governare ciò che accade intorno a noi, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore. Che è esattamente la mia scelta», ha concluso tra gli applausi.
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