Lettera dall'altra Israele: "Siamo più forti di quanto immaginiamo"
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Lettera dall'altra Israele: "Siamo più forti di quanto immaginiamo"

Mickey Gitzin, direttore del New Israel Fund, consegna ad Haaretz una riflessione politica di grande respiro che s’intreccia con la rivolta dell’Israele che non si rassegna ad una deriva fascistica del governo Netanyahu-Ben-Gvir.

Lettera dall'altra Israele: "Siamo più forti di quanto immaginiamo"
I pacifisti israeliani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Settembre 2024 - 17.56


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Quello che state per leggere è molto più di un messaggio di speranza. È la consapevolezza della gravità del momento e della pericolosità del disegno che la destra messianica al potere oggi in Israele sta perseguendo. Ma, e qui è il salto di qualità, questa consapevolezza non produce rassegnazione né scelta di fuga. all’estero. 

Mickey Gitzin, direttore del New Israel Fund, consegna ad Haaretz una riflessione politica di grande respiro che s’intreccia con la rivolta dell’Israele che non si rassegna ad una deriva fascisteggiante del governo Netanyahu-Ben-Gvir.

Un’alternativa è possibile

Scrive Gitzin: “Qualcosa è cambiato nel discorso pubblico di Israele durante i mesi estivi. Qualcosa di inquietante, che evoca ansia. La destra, come l’intero paese, è stata scossa dopo il 7 ottobre, ma sembra che Benjamin Netanyahu sia riuscito a stabilizzare una propria narrazione. 

Dietro l’apparente inazione si nasconde un piano ordinato: continuare la guerra, portare avanti il colpo di stato giudiziario e l’acquisizione delle forze dell’ordine, il dominio israeliano su Gaza, l’annessione de facto della Cisgiordania. Nel nostro campo c’è disperazione e incertezza su come procedere.

Il futuro di Israele non è mai stato così cupo. Itamar Ben-Gvir, fino a poco tempo fa una figura ai margini della politica, sta completando l’acquisizione della polizia. La macchina del veleno bibi-ista è di nuovo al lavoro e nemmeno l’abbandono degli ostaggi alla morte turba i sostenitori di questo governo. Abbiamo sempre creduto che qualcosa nella nostra storia, o nella nostra coesione interna, ci immunizzasse dal destino degli stati falliti o dei paesi che sono diventati fascisti. Ora questa convinzione sembra ingenua. Non c’è alcuna certezza che il nostro campo sarà vittorioso.

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Ma non c’è nemmeno la certezza di perdere. In effetti, negli ultimi decenni non c’è mai stata una coalizione di destra così fragile. Anche prima del 7 ottobre, Netanyahu era un leader impopolare, che in quattro elezioni consecutive non è riuscito a formare un governo. Ciò che tiene in vita questa coalizione messianica non è il sostegno dell’opinione pubblica, ma il contrario: la paura delle elezioni. I ministri e i parlamentari di destra vedono i sondaggi e ascoltano i cittadini. Sanno che la loro finestra di opportunità si chiuderà alle urne. La loro nave sta affondando, quindi si aggrappano l’uno all’altro.

Al contrario, il campo liberaldemocratico, oggi così allarmato, si trova al centro del potere di questo paese. È solo la guerra a rendere difficile l’espressione di questa forza. La destra lo capisce ed è per questo che si oppone a un accordo per la liberazione degli ostaggi o a un cessate il fuoco. Ma i disastri che ci sta infliggendo porteranno alla sua fine. La vita non si svolge solo sul canale 14 della TV di Netanyahu. 

Un numero crescente di israeliani si sta rendendo conto dei limiti della forza. Un numero crescente di israeliani si sta rendendo conto della profondità del fallimento del 7 ottobre, delle ciniche considerazioni che si celano dietro l’abbandono degli ostaggi, e non è disposto a rimanere in silenzio. La conversazione straziante tra Elhanan Danino e Netanyahu ha dimostrato che c’è un gran numero di persone, non necessariamente di sinistra, che iniziano a mettere in discussione i miti costruiti da Netanyahu.

In Israele e nel mondo, l’ascesa della destra è percepita come una sorta di necessità storica. Ma il quadro è più complesso di così. In Polonia, le forze liberali sono tornate al potere e in Gran Bretagna i conservatori hanno subito una delle peggiori sconfitte della loro storia, risultato diretto della Brexit e della spericolata era politica che ne è seguita. Anche noi siamo in grado di cambiare le cose.

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Il progetto messianico in Israele non è stato costruito in un giorno. È il risultato di determinazione, perseveranza e sfruttamento delle opportunità. I risultati sono impressionanti e spaventosi: una minoranza sta dettando alla maggioranza passi che quest’ultima non vuole che vengano compiuti, dall’abbandono degli ostaggi al ritorno del dominio militare a Gaza. Ma la maggioranza è in grado di riappropriarsi del proprio destino. 

Il potere di Ben-Gvir è il risultato di una combinazione di circostanze politiche, non della popolarità. E ogni volta che Bezalel Smotrich espone la sua visione di uno stato isolato, simile a Sparta, impegnato solo in guerre e insediamenti, si aggiungono altri sostenitori alla visione liberale.

La sfida che il nostro campo deve affrontare è quella di creare una visione alternativa e di unirsi dietro di essa. I liberali sono individualisti e vivono in comunità libere. Le nostre autorità locali non ci forniscono autobus per andare alle manifestazioni e non sospendono le attività scolastiche. Molti di noi sono ora mobilitati o stanno affrontando gli effetti della guerra sulle loro aziende. E, purtroppo, abbiamo un eccesso di autocritica e sopravvalutiamo i nostri rivali. Vediamo 200 teppisti in televisione e siamo convinti che siano la maggioranza, mentre noi ne abbiamo portati centinaia di migliaia nelle strade. 

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Siamo più forti di quanto immaginiamo. È ora di tradurre il nostro potere in fede, organizzazione e vittoria. Il fatto che il governo non sia ancora caduto non significa che non cadrà. Le manifestazioni sono state vittoriose una volta e possono ottenere di nuovo dei risultati. Continueremo a scendere in piazza, a creare movimenti e ad aderire a partiti politici. Eleggeremo buoni leader e li aiuteremo a costruire un sostegno. Scenderemo a compromessi per costruire coalizioni vincenti e, come ha dimostrato il Presidente Biden, metteremo da parte i nostri ego per il bene di una causa più grande.

È tempo di dimostrare coraggio, di sapere chi siamo e chi sono i nostri partner. Non dobbiamo preoccuparci di collaborare con i cittadini palestinesi e dobbiamo evitare di assecondare coloro che vogliono eliminarci. Non ogni tweet di un politico di destra ci obbliga a fare un esame di coscienza. È ora di smettere di vergognarci delle nostre opinioni e di sapere che saremo al fianco di chiunque venga marchiato o aggredito. La vittoria non è assicurata, ma nemmeno la sconfitta.

La natura del cambiamento è che sembra impossibile finché non arriva. E poi, a posteriori, tutti spiegano come fosse necessario e inevitabile. Il cambiamento in Israele è necessario. Crediamo in noi stessi e arriverà”.

Mickey Gitzin non è un sognatore. È un utopista pragmatico, e i due termini, utopia e pragmatismo, non sono un ossimoro. Al contrario, sono il giusto mix tra idealità e concretezza, tra urgenza del presente e visione del futuro. È un cittadino d’Israele che crede nel dialogo, in una idea aperta, plurale, dell’ebraismo. Mickey Gitzin non è solo. In Israele, in Palestina, nel mondo. 

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