“Dio è paziente, ma c’è un limite a tutto”. Alla Pugacheva probabilmente è la cantante più popolare tra i russi. Cantante e attrice, è costretta a lasciare la Russia quando il suo Paese invade l’Ucraina. Rifugiata in Israele (sì, la Storia che viviamo è fatta anche di paradossi: rifugiarsi in quella Israele che fa strage di civili palestinesi) sui social ha postato questo suo pensiero accanto alla foto che da ieri sta facendo il giro del mondo: uno dei bambini dell’ospedale pediatrico di Kiev colpito da un “missile di crociera strategico russo”, un Kh-101.
Mosca ha provato a difendersi, maldestramente, il missile sui bambini era suo e lo prova un video, in maniera inequivocabile. La bugia è un dogma nelle dittature.
All’indomani della strage, se il missile era “strategico”, come si dice in termini militari, ci si chiede quale può essere la strategia di portare la morte a bambini, e a bambini già sofferenti per patologie che gelano il cuore al padre e alla madre.
Torniamo al bambino del pediatrico Okhmatdyt di Kiev. È bello e gli occhi appaiono sorpresi più che spaventati. È ferito, ha sanguinato tanto, col sangue ha disegnato una grossa macchia rossa sul vestito della madre che lo tiene in braccio. Di lui, non sappiamo il nome, non sappiamo perché era ricoverato, anche se sappiamo che in quell’ospedale si curano gravi patologie, soprattutto tumori del sangue. Per questo quel “missile da crociera” appare un oltraggio, un orrore su un dolore indicibile.
All’Okhmatdyt di Kiev, mentre uomini e donne in camice bianco scavano, aiutati da tanti giovani, altri medici, altri infermieri continuavano ad operare in una sala chirurgica risparmiata dalle bombe. Un intervento a cuore aperto.
“Questa guerra è un inferno senza fine”, dice uno dei commenti alla foto del piccolo. Dovrebbe bastare la foto del piccolo di Kiev per fermarla questa guerra senza senso, che fa stragi, tante, in Ucraina, e morti anche in Russia. E migliaia e migliaia di lutti nelle case dei russi per i tanti ragazzi partiti e rientrati in un sacco, accanto ai più, “dispersi”, che non avranno neanche un sacco, tanto meno le lacrime delle madri.
Questa guerra prova a falciare le gambe e il futuro all’Ucraina ma sta ferendo a morte anche l’anima russa, nobile e profonda. Non è un caso che una delle tante pagine nere di questa guerra sia stata scritta e mostrata al mondo nello stesso giorno in cui a Mosca si consumava l’ennesimo scempio: la condanna a sei anni di carcere per la regista Zhena Berkovich e la drammaturga Svetlana Petriychuk. Erano accusate di “giustificazione del terrorismo” per una commedia, “Fionist the Clear Falcon”, la storia di ragazze russe che vanno in Siria per trovare i loro sposi. Sei anni di carcere per una rappresentazione teatrale nel Paese dei più grandi della letteratura e del teatro.
Ecco, se la bomba sull’ospedale pediatrico di Kiev aveva come strategia la morte, i sei anni di cella a Zhena e a Svetlana sono un premeditato colpo di mannaia alla nobile anima russa.