Tel Aviv: il primo luglio la pace in piazza per una manifestazione senza precedenti
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Tel Aviv: il primo luglio la pace in piazza per una manifestazione senza precedenti

Una data da cerchiare in rosso. Un appuntamento destinato a segnare la storia presente e futura d’Israele: 1° luglio, Tel Aviv. Per quella che si preannuncia come la più grande manifestazione di sempre per Israele.

Tel Aviv: il primo luglio la pace in piazza per una manifestazione senza precedenti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Giugno 2024 - 13.07


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Una data da cerchiare in rosso. Un appuntamento destinato a segnare la storia presente e futura d’Israele: 1° luglio, Tel Aviv. Per quella che si preannuncia come la più grande manifestazione di sempre per Israele.

Per una pace giusta. 

Una manifestazione che ha già ricevuto centinaia di adesioni fuori da Israele. Di seguito il comunicato di Rete italiana Pace  e Disarmo (Ripd). Insieme, riprendiamo la Pace per mano.

 “Il tempo è adesso!
In sostegno alla Manifestazione “THE TIME IS NOW” del 1 luglio 2024 a Tel Aviv
Anche Rete Italiana Pace e Disarmo, insieme a numerose organizzazioni della società civile, esprime il proprio sostegno alla iniziativa promossa da un ampio cartello di associazioni israeliane e di associazioni miste, che uniscono israeliani  e palestinesi, per rilanciare l’azione del movimento per la pace con una manifestazione che si realizzerà a Tel Aviv il prossimo 1 Luglio
La riteniamo una scelta coraggiosa, necessaria, che coinvolge molte realtà associative con cui collaboriamo e che speriamo possa aprire una nuova fase di mobilitazioni con un sempre maggiore coinvolgimento delle due comunità per fermare la guerra, la violenza e l’occupazione
Il 1° luglio a Tel Aviv si realizzerà una grande mobilitazione per dire no alla guerra, per la fine del conflitto e per un nuovo accordo di pace.

“Una risoluzione politica del conflitto che garantisca i diritti di entrambi i popoli all’autodeterminazione, alla sicurezza, alla dignità e alla libertà” si legge nell’appello sottoscritto da oltre 50 associazioni israeliane ed associazioni miste, composte da ebrei, arabi, israeliani, palestinesi, uniti da un obiettivo comune: pace, sicurezza e rispetto reciproco.

Nonostante le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le richieste della Corte Internazionale di Giustizia, le pressioni e negoziati di governi, di stati e di autorità religiose ancora non si è arrivati al CESSATE IL FUOCO. La conta dei morti continua ogni giorno, da otto mesi. I 2,3 milioni di palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza sono vittime di un assedio e di bombardamenti continui, in fuga da una città all’altra e da un campo profughi all’altro, privati pure dell’assistenza umanitaria. Una violenza ed una vendetta cieca che non salva neppure gli ostaggi del 7 ottobre e che oramai si è estesa in ogni parte e confine di Israele e della Cisgiordania. In ogni famiglia di entrambe le comunità non resta che uno scenario di sole macerie, lutti, lacerazioni e muore la speranza di una soluzione politica del conflitto.

Come abbiamo invocato da tempo, occorre riprendere in mano la pace, ricostruire un grande fronte internazionale di società civile al fianco di israeliani e palestinesi uniti contro la guerra e per la pace giusta, capace di rompere le barriere e gli ostacoli che impediscono di lavorare insieme. Uniti dal reciproco rispetto, dal riconoscimento del diritto dell’altro di esistere in pace ed in sicurezza, con uguali diritti.


Insieme per obiettivi condivisi: il Cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri, il riconoscimento dello Stato di Palestina nei confini del 67, la fine dell’occupazione, l’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, del diritto internazionale ed umanitario.

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Per questo esprimiamo la nostra adesione e sostegno all’appello che convoca la mobilitazione del 1° luglio a Tel Aviv con la speranza che questa iniziativa apra la strada alla ricomposizione del movimento per la pace in Palestina ed in Israele per costruire, l’alternativa ad una politica xenofoba, razzista, fanatica, capace solo di seminare odio, negare diritti e libertà.

È giunto il momento che le ragioni si incontrino. Noi siamo pronti a fare la nostra parte”.

Resistenza antifascista

Di straordinario rilievo storico-politico è lo scritto, per Haaretz, di David Ohanaa e Oded Heilbronner. Gli autori sono storici del fascismo e del nazismo europeo. Il Prof. Ohana è autore del libro “The Fascist Temptation” (Routledge 2021) e il Prof. Heilbronner è autore del libro “From Popular Liberalism to National Socialism” (Routledge 2017). “Il suono delle scarpe dei teppisti nei vicoli della Città Vecchia, nel giorno di Gerusalemme della scorsa settimana, ha ricordato quello delle marce delle SA e degli anni ’20 e ’30 in Germania. Come allora, quando i militanti in maglietta marrone si avventavano con violenza su ogni negozio ebraico o comunista di passaggio, così oggi, quando quelli in maglietta gialla – gli stupidi discepoli del loro prepotente leader con un passato criminale che ora ha un’intera forza di polizia sotto il suo controllo – picchiavano, prendevano a calci e imprecavano contro arabi e giornalisti.

È stato difficile distinguere tra i teppisti e i rappresentanti dello Stato sotto forma di Polizia di frontiera; ognuno di loro ha avuto un ruolo ben definito nell’imporre terrore e paura ai residenti della Città Vecchia nel rituale fascista annuale. Gli adolescenti del settore religioso sionista, che credono nella supremazia della razza ebraica e della “terra ebraica”, hanno ricordato, con la loro violenza, le destre e i fascisti europei che davano la caccia a socialisti, comunisti ed ebrei.

Quasi 100 anni dopo, i ruoli si sono invertiti: ora, gli ebrei violenti che si recano al Muro occidentale danno la caccia a persone di altre etnie. Parallelamente alla crescita della destra radicale e all’ondata populista attualmente in corso in Europa, in Israele sono in aumento i gruppi protofascisti. Questi processi riflettono le tendenze globali e indicano il rafforzamento di una base sociale di destra radicale “pre-fascista” in Israele – gruppi neofascisti (tra cui alcuni elettori del Likud, comunemente noti come “Bibi-isti”) che acquisiscono una presa sempre più salda sulle classi inferiori. La radicalizzazione nazionalista di questa base sociale facilita l’alleanza tra la destra politico-culturale e conservatrice e i gruppi tradizionalisti e periferici delle classi inferiori e i gruppi religiosi e ultraortodossi che sostengono i valori del sangue, della patria ebraica, della terra, della razza, della sacralità, del sacrificio e della morte – un clima indiscutibilmente razzista.

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Questi gruppi neofascisti sono pericolosi per il futuro della democrazia israeliana, poiché producono una cultura fascista con semi che hanno un potenziale sociale di massa. Israele sta attraversando una miniguerra civile che ricorda momenti simili nell’Europa degli anni Venti. Questa analogia non è un confronto uno a uno tra oggi e allora, ma come ha recentemente chiarito lo scrittore svedese Karl Ove Knausgård nel suo libro “La mia lotta”, il periodo tra la fine del XIX secolo e la metà degli anni ’40 è visto retrospettivamente come un’epoca di trasformazioni nelle componenti centrali dell’esistenza umana.

Molti cercarono di trovare un nuovo elemento, di fondare una nuova società, e pensarono di trovare ciò che cercavano negli ultimi due grandi movimenti utopici: il nazismo e il comunismo. L’analogia tra l’Europa di Knausgård, in particolare negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, e altri Paesi come la Francia, il Belgio e Paesi dell’Europa dell’Est, e l’Israele di Netanyahu, ha lo scopo di far emergere le analogie tra eventi, processi e figure del passato e del presente. Come già detto, Israele sta attraversando una guerra civile che ricorda la Germania di Weimar e l’Italia alla vigilia della marcia fascista su Roma. Israele non è l’unico ad affrontare una simile crisi. Il ripudio dei valori liberali e democratici risuona oggi in tutto l’Occidente, con la possibile eccezione della Gran Bretagna, che ha sempre fatto la scelta civico-liberale giusta.

Lo dimostrano le rivolte dei “Gilet gialli” in Francia (dove è molto probabile che Marine Le Pen venga eletta presidente alle prossime elezioni), l’assalto al Campidoglio a Washington, il crescente sostegno al partito “Alternativa per la Germania”, l’elezione di Giorgia Meloni, una fan di Mussolini, a primo ministro d’Italia e l’aumento senza precedenti del sostegno al leader nazionalista Geert Wilders nei Paesi Bassi. Solo questa settimana, la destra radicale si è rafforzata nelle elezioni per il Parlamento europeo.

Come in Israele, anche nei Paesi europei c’è la tendenza, da entrambe le parti, a vedere le crisi politiche, economiche e sociali come una lotta sul carattere della società e dello Stato; una lotta tra chi desidera un cambiamento profondo, dopo decenni di ordine democratico-liberale, e chi vuole continuare l’ordine democratico esistente.

La crisi israeliana è alimentata dai risultati delle elezioni del novembre 2022, ma bisogna essere ingenui per considerare la vittoria del blocco di destra-religioso come la causa della crisi di Israele. Anche qui, come negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri Paesi, i disordini riflettono processi più profondi: cambiamenti geopolitici significativi, idee economico-culturali radicali che spuntano da un giorno all’altro, crisi climatiche e ambientali, minacce allo stile di vita laico e liberale e lotta contro regimi corrotti e antidemocratici.

Tutto questo ha spinto moltitudini di persone a scendere in piazza, in tutto il mondo. La crisi israeliana ha caratteristiche uniche: la complessa struttura della società israeliana, l’ombra minacciosa dell’occupazione e il pericolo della fede, per lo più autoconvinta della supremazia del sangue e della razza ebraica. Non c’è dubbio che la calamità del 7 ottobre e la protesta antiregime siano una doppia reazione al clamoroso fallimento delle istituzioni politiche e di sicurezza, ma sono anche una continuazione delle proteste durante la pandemia e delle proteste contro il colpo di Stato costituzionale per tutto il 2023. Tutto ciò riflette la mancanza di fiducia dell’opinione pubblica israeliana in un regime che sta fallendo.

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Tre processi

C’è spazio per un confronto tra Israele e l’Europa al tempo dell’ascesa del fascismo, in tre processi principali. Il primo è la crisi costituzionale in Germania negli anni 1930-1933, una crisi politica che si concluse, di fatto, solo con il tramonto della democrazia della Repubblica di Weimar, debole fin dall’inizio. Da noi, il nascente governo Netanyahu, eletto dopo diverse elezioni durante le quali è aumentato il potere contrattuale dei partiti religiosi e ultraortodossi, dei razzisti nazionalisti laici e tra i nazionalisti religiosi, compresi i coloni e i partiti neofascisti. Come nella Germania di Weimar e in altri luoghi del mondo, anche qui c’è stato un tentativo fallito di colpo di Stato giudiziario, che ha cercato di distorcere i controlli e gli equilibri democratici tra i tre rami del governo. L’ultimo accordo, per ora, è la guerra di Gaza.

Il secondo processo ha a che fare con le spaccature della società. In Italia, Spagna e, naturalmente, in Germania, c’è stata una spaccatura tra campi politici polarizzati – la destra nazionalista, radicale e antisemita da un lato e la parte socialista (SPD) e comunista dall’altro – che si è espressa in una guerra civile e in una violenza politica quasi costanti, definite dal giurista Carl Schmitt “stato di emergenza” (che accoglie un “dittatore”). Qui, è la spaccatura tra i coloni e i loro sostenitori e coloro che si oppongono all’occupazione, tra gli ultraortodossi e i religiosi, da una parte, e gli israeliani laici, dall’altra, insieme ad altre spaccature politiche e sociali. Il terzo processo rivela un’enorme tensione tra una società liberale e forze conservatrici e di destra radicale. Nella società italiana, alla vigilia della marcia su Roma, e soprattutto nella Germania di Weimar, erano in gioco tendenze apparentemente opposte: da un lato il progresso, il liberalismo e la modernizzazione, dall’altro la rivoluzione fascista e la “rivoluzione conservatrice”, promossa da illustri pensatori italiani come Giovanni Gentile e tedeschi come Schmitt, Ernst Jünger, Oswald Spengler, Martin Heidegger e altri.

Il punto cruciale di questa rivoluzione fu una combinazione apparentemente paradossale di politica reazionaria e progresso tecnologico, nota come Modernismo reazionario, che è anche il nome di un libro dello storico Jeffrey Herf, o “L’ordine dei nichilisti”. Lì e qui, c’era e c’è una lotta contro i valori universali, l’uguaglianza di cittadinanza e l’immigrazione, e dall’altra parte – le odi all’onore nazionale, all’unità e alla tradizione”.

(prima parte, continua)

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