Israele: un appello e un manifesto per ridare una speranza alla pace
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Israele: un appello e un manifesto per ridare una speranza alla pace

Un appello e un manifesto che fanno discutere e che mettono in evidenza un fermento che pervade quanti si ritengono “amici d’Israele”.

Israele: un appello e un manifesto per ridare una speranza alla pace
Movimento per la pace in Israele
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Marzo 2024 - 23.19


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Un appello e un manifesto che fanno discutere e che mettono in evidenza un fermento che pervade quanti si ritengono “amici d’Israele”. Amici veri. Che, come tali, sanno respingere le campagne di antisemitismo che si celano dietro il sostegno alla “causa palestinese” e al tempo stesso non fanno sconti al governo di destra, una destra radicale, messianica, colonizzatrice che oggi ha sequestrato il futuro di due popoli, assieme ad Hamas, e trasformato una guerra in una faida barbarica.

Appello alla ragione

“Nell’aprile del 2010 abbiamo fondato JCall, un movimento di opinione che intendeva porsi al disopra di ogni faziosa contrapposizione e la cui finalità era “riunire i cittadini europei ebrei e gli amici di Israele che aspirano a una pace in Medio Oriente poggiante su un accordo fra israeliani e palestinesi ispirato al principio dei ‘due popoli, due Stati’”.

Nel suo documento fondativo, che abbiamo intitolato Appello alla ragione, scrivevamo che l’occupazione e la continuazione degli insediamenti in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme est ponevano a repentaglio il perdurare del progetto sionista, e che lo Stato ebraico e democratico che i Padri fondatori seppero creare, e che aveva resistito da allora a tutte le vicissitudini della storia, non sarebbe sopravvissuto all’alternativa sinistra della guerra civile e dell’apartheid. L’Appello è stato sottoscritto da migliaia di uomini e donne di buona volontà, e tredici personalità di spicco hanno contribuito alla stesura di un opuscolo che ha fatto da manifesto al movimento. 

A 14 anni di distanza, è giocoforza costatare che nulla è cambiato se non in peggio. Non appena formato, a fine 2023, il sesto governo Netanyahu – il più estremista della storia dello Stato ebraico – ha tentato un colpo di Stato giudiziario mirante a liquidare la democrazia liberale israeliana sostituendole un regime di autocrazia elettiva. Quella “riforma” ha spinto il paese sull’orlo della guerra civile e ne ha gravemente danneggiato le capacità difensive. Quanto poi al versante palestinese, gli accordi di coalizione affermano il diritto esclusivo del popolo ebraico all’autodeterminazione sull’insieme del territorio compreso fra il Giordano e il mar Mediterraneo. A tal fine, la responsabilità sui territori occupati è stata trasferita dalle forze armate – potere riconosciuto dal diritto internazionale – alle autorità civili sotto il dominio dei rappresentanti dei coloni in seno al governo. Sgombrato così il campo dalla duplice finzione di un’occupazione “temporanea” e del “processo di pace”, l’asserita assenza di un partner per la pace è stata sostituita dal richiamo ad un decreto divino. Questo lo sfondo in cui si è svolta la barbara aggressione del 7 ottobre. Tale inaudito pogrom, la guerra contro Hamas, l’ecatombe di civili e la devastazione della Striscia di Gaza che vi hanno fatto seguito giustificano i peggiori timori che l’Appello alla ragione si proponeva di scongiurare. È più che mai evidente che la salvezza di Israele passa per una composizione ragionevole della questione palestinese, cioè la soluzione a due Stati. Come spesso avviene nella storia, dalle tragedie più spaventose scaturiscono le soluzioni più audaci.

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Rilanciamo dunque il nostro Appello alla ragione. Esso è rivolto a tutti coloro – ebrei e non – che hanno a cuore il futuro dei due popoli che si dividono questo lembo di terra sul Mediterraneo orientale; a tutti coloro che contemplano con sgomento il degrado politico e morale nel quale la coalizione al potere trascina Israele, i pericoli che lo minacciano alle frontiere, il biasimo internazionale di cui è oggetto; a tutti coloro che non hanno perso la fede in un futuro migliore né l’esercizio della ragione per conseguirlo”.

Manifesto di Sinistra per Israele

“Il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre scorso e le drammatiche conseguenze dell’operazione militare sulla popolazione palestinese hanno determinato una spirale che va immediatamente interrotta attraverso un accordo di cessate il fuoco che consenta la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’inoltro alla popolazione civile di Gaza, in condizioni di sicurezza, degli aiuti umanitari. È la drammaticità degli eventi a imporre l’urgenza di una risposta razionale progressista, tesa ad affermare il principio di una pace possibile, indispensabile per tutti i popoli della regione.

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La risposta che auspichiamo poggia su due ineludibili presupposti. Il primo riguarda il giudizio sulla strage del 7 ottobre, che non viene dal nulla ma che, al contrario, si inscrive nella strategia di Hamas che, sin dal suo statuto fondativo, rifiuta ogni forma di compromesso e ogni prospettiva di pace, perseguendo la cancellazione dello Stato di Israele e predicando l’uccisione degli ebrei. Hamas, tuttavia, non rappresenta tutto il popolo palestinese. A maggior ragione la ricerca di una soluzione di pace va perseguita con determinazione. Per rimettere in moto il percorso di pace — è il secondo presupposto — occorrono leadership credibili.

Innanzitutto, è necessario che una rinnovata leadership palestinese dell’Anp — unico interlocutore per la pace oggiinternazionalmente riconosciuto — superi le ambiguità che hanno concorso al fallimento degli accordi di Oslo. Così come sono essenziali un atteggiamento cooperativo del mondo arabo, sulla scorta degli Accordi di Abramo, e un impegno attivo dell’intera comunità internazionale, superando troppe inerzie.

Allo stesso tempo, è necessaria una nuova leadership israeliana che creda nella convivenza di due Stati per i due Popoli.Le politiche perseguite dal governo Netanyahu, la prosecuzione dell’occupazione della Cisgiordania, l’espansione degli insediamenti di coloni e il pervicace rifiuto della nascita dello Stato palestinese sono incompatibili con soluzioni di pace.

Anche per queste ragioni di stringente attualità, Sinistra per Israele — che fin dalla sua fondazione si è battuta peruna soluzione di convivenza e di pace — ribadisce oggi iseguenti principi e obiettivi, rivolgendosi a tutti coloro chein questi mesi terribili condividono la nostra medesimaurgenza.

1. Riaffermiamo come irrinunciabile il diritto di Israele a esistere, riconosciuto dai suoi vicini, e a vivere in sicurezza nei propri confini. Si tratta di un diritto non scontato, ma anzi minacciato quotidianamente da organizzazioni terroristiche e forze politiche radicali in ogni parte del mondo, manovrate soprattutto dal regime iraniano. Il diritto di Israele a esistere è tutt’uno con il diritto del popolo palestinese a un proprio Stato indipendentea fianco di Israele, come stabilito dalle Nazioni Unite e dagli accordi di Oslo e Washington del 1993. Proprio perché su quella terra vivono due diritti ugualmente legittimi, l’obiettivo di «due popoli due Stati»,il mutuo riconoscimento di due ragioni, è ancora e sempre il nostro orizzonte e la soluzione da perseguire.

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2. Le radici di Israele affondano in una storia che i progressisti europei devono sapere riconoscere e valorizzare. Il sionismo è stato il legittimo movimento di liberazione nazionale e sociale del popolo ebraico e in esso sono vissuti e tuttora vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica e del progressismo. Vivono, come nella straordinaria esperienza dei kibbutz, il progetto e il sogno di una società più giusta, di donne e uomini liberi ed eguali.

Soltanto la conoscenza delle radici di Israele può arginare i pregiudizi antisionisti e antisraeliani che albergano nella società italiana, anche a sinistra e nel campo progressista, e che si manifestano attraverso forme antiche e nuove di delegittimazione, di ostilità, quando non di aperto antisemitismo.

3. Come per tutte le democrazie, il giudizio sullo Stato d’Israele non deve coincidere con quello sul suo governo in carica. Israele è fin dalla sua nascita una democrazia fondata su valori liberali e progressisti, in una regione fortemente segnata da regimi autocratici. Anche le continue e straordinarie mobilitazioni della società israeliana testimoniano una robusta e radicata cultura democratica e la possibilità concreta di restituire a Israele una politica aperta a un vero processo di pace. Il più drastico giudizio sulle politiche di Netanyahu non può in alcun modo tradursi nella negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, né tantomeno nella colpevolizzazione degli ebrei che vivono in ogni parte del mondo. Questo è il nostro impegno per la pace, oggi e sempre, per due Stati per i due popoli”.

Un appello e un manifesto. Si può eccepire su alcuni passaggi, ma non sulle intenzioni: riaprire spazi di dialogo tra le macerie di una guerra senza fine.

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