"Mi si spezza il cuore": l'infanzia negata dei bambini palestinesi a Gaza

A Gaza i bambini muoiono a causa della mancanza di cibo e i loro genitori vengono uccisi mentre cercano di procurarglielo.

"Mi si spezza il cuore": l'infanzia negata dei bambini palestinesi a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Marzo 2024 - 20.04


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La mattanza dei bambini. “Colpevoli” di essere palestinesi. “Colpevoli” di essere nati a Gaza. 

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A Gaza i bambini muoiono a causa della mancanza di cibo e i loro genitori vengono uccisi mentre cercano di procurarglielo. È l’ennesimo allarme lanciato da Save the Children, dopo l’uccisione di almeno 104 persone e il ferimento di altre 760 mentre erano in fila per la farina a Gaza.

“I racconti che emergono superano l’orrore. Una fila per avere del cibo salvavita è diventata una fila per la morte. Mentre i bambini muoiono per mancanza di cibo, i loro genitori muoiono nel tentativo di procurarselo. È necessaria un’indagine immediata e imparziale su ciò che è accaduto e avviare delle azioni per garantire il rispetto del diritto umanitario internazionale. Ai civili non può essere negata l’assistenza indispensabile, né possono essere uccisi nel tentativo di ottenere quell’aiuto” ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children nei Territori palestinesi occupati.

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“I bambini e i loro genitori sono stati costretti a prendere decisioni disperate per sopravvivere. Le persone vengono uccise e ferite mentre cercano di procurarsi ciò che possono per mantenere in vita le proprie famiglie, senza avere nessun posto dove poter ricevere cure mediche efficaci, visto che, dopo quasi cinque mesi di bombardamenti, le strutture sanitarie sono state decimate. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco definitivo subito” conclude Lee.

“Mi si spezza il cuore”

È così che iniziano i messaggi e le testimonianze che ci arrivano dal nostro staff da Gaza. 

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Abbiamo ricevuto le testimonianze di alcune delle donne, madri che sono parte del nostro staff e si trovano a Gaza con le loro famiglie. Come spieghi al tuo bambino perché stanno bombardando la tua città e la tua casa? O l’orrore che è costretto a vedere? Le parole che hanno condiviso con noi ci fanno capire che non è possibile dare una risposta a questi interrogativi, perché nessuna spiegazione è sufficiente. Vanno avanti e si fanno forza per i loro figli, con la speranza che tutto questo finisca.

Gaza: testimonianze dallo staff 

Samar,lavora con noi a Gaza ed è madre di tre bambini, tutti hanno meno di sette anni e il più piccolo ne ha solo due.

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“Mentre scrivo questo messaggio, mio figlio sta dormendo sulle mie ginocchia, non riesco a lasciarlo solo perché è sempre spaventato. Il mio cuore va a coloro che hanno perso i loro cari e le loro case… Anche noi stiamo aspettando il nostro turno. Viviamo nella costante paura dell’ignoto e le nostre condizioni di vita sono molto difficili, anche se il grado di sofferenza varia da persona a persona. Non abbiamo accesso all’acqua potabile e il cibo scarseggia. Non sappiamo nemmeno come faremo a provvedere ai bisogni dei nostri figli. La situazione peggiora di giorno in giorno, perché siamo costretti a comprare la farina a un prezzo quattro volte superiore a quello normale e diventa sempre più difficile trovarla. Abbiamo perso le nostre case e tutti i nostri beni; non sappiamo dove andare. Mi spezza il cuore vedere i bambini affamati e mi sento impotente sapendo di non poter provvedere ai loro bisogni. Lavarsi è diventato un lusso e so che i miei colleghi sfollati nei rifugi pubblici soffrono ancora di più”, conclude.

Raida, anche lei lavora con noi ed è madre di tre figli, tutti hanno meno di 16 anni, il più piccolo ne ha nove: “Oggi mia figlia mi ha chiesto delle persone che partono attraverso il valico di Rafah. Le ho spiegato che hanno la cittadinanza di altri Paesi. È corsa a prendere il suo salvadanaio, che conteneva 50 shekel (12 dollari), e mi ha pregato di comprarle una cittadinanza. La situazione è molto difficile. Sono esausta”.

Razan, è nonna di 2 bambini con meno di sei anni. Lavora nel nostro team e ha viaggiato fuori Gaza prima del 7 ottobre e non può tornare dalla sua famiglia:

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“Parlo con mia figlia e mi dice che i suoi figli non riescono più a sopportarlo. Urlano in continuazione. Che Dio dia a tutti la pazienza. La situazione è davvero insopportabile. I bambini si esprimono urlando. Anche mia figlia ha paura, vuole che i suoi figli restino accanto a lei. Ha paura che ci sia un attacco aereo mentre loro sono lontani da lei. Ma le ho detto di non limitarli e di cercare di stare sempre con loro. Le ho detto di abbracciali, di parlare e giocare con loro. E se Dio vuole, questa situazione finirà bene”.

La testimonianza di Lana, una neomamma 

“Solo due settimane fa ho dato alla luce il mio primo figlio a Gerusalemme Est. Mio figlio è sano e io e mio marito siamo innamoratissimi di lui. Ma accanto all’immutata beatitudine della maternità, c’è il dolore e il senso di colpa.  

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Il dolore per le madri di Gaza che scrivono i nomi dei loro figli sulle mani, in modo che, se venissero uccisi, potrebbero essere identificati prima di essere sepolti in una fossa comune. Dolore per le madri che partoriscono tra le macerie invece che in una stanza d’ospedale, o che subiscono cesarei senza anestesia. Dolore per le madri i cui figli sono tra i mille che si dice siano irreperibili, intrappolati sotto le macerie. Senso di colpa per ogni momento di felicità che provo con il mio neonato sapendo che le madri di Gaza sopportano la paura costante per la vita del loro bambino o il dolore inimmaginabile della sua morte. 

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, in tre settimane sono stati uccisi 3.300 bambini a Gaza. Come palestinese, non sono nuova a vivere il conflitto, avendo trascorso tutta la mia vita sotto l’occupazione militare israeliana. Il mondo generalmente descrive gli episodi di violenza in Cisgiordania e a Gaza come “scontri” o “escalation”. Io li ricordo come amici uccisi. O mio fratello detenuto. O come soldati che assaltano la mia casa. O una casa di famiglia demolita. O come la necessità di partorire da sola, senza la mia famiglia, a causa di chiusure e posti di blocco.  
Ma questo è diverso. La portata e la ferocia delle ostilità a Gaza mi terrorizzano. 

A volte sembra che il mondo pensi che le vite dei palestinesi non siano importanti, come se la vita di un bambino di Gaza fosse meno importante di quella degli altri bambini di questo mondo. Un comitato dell’Onu ha lanciato un monito contro i discorsi d’odio, dopo che i palestinesi sono stati definiti “animali”. Questo linguaggio ci disumanizza e suggerisce che la morte e la sofferenza dei nostri figli siano in qualche modo accettabili. Sebbene queste parole non possano sminuire la nostra dignità, non bisogna sbagliare: sono parole pericolose.

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Sono stata incollata al mio telefono, mentre arrivavano messaggi sempre più strazianti da parte di amici e familiari a Gaza. Aspettando ogni mattina lo stesso messaggio: “Sono vivo”. Fino a venerdì sera, quando le linee telefoniche e l’accesso a Internet sono stati interrotti. Quando le linee di comunicazione vengono interrotte, le persone a Gaza sono tagliate fuori dal mondo, tagliate fuori l’una dall’altra, oltre ad essere tagliate fuori dall’accesso al cibo, all’acqua pulita e alle cure mediche.   

Non è esagerato dire che, se non si permette agli aiuti di entrare a Gaza nella misura richiesta, molti bambini semplicemente non sopravvivranno. Se le bombe non li uccidono, lo faranno la disidratazione o le malattie. Se passerà altro tempo senza un cessate il fuoco, senza un accesso umanitario senza ostacoli, gli aiuti in attesa su quei camion dovranno essere sostituiti da bare. Ma con solo una dozzina di camion che passano ogni giorno da un singolo valico, non posso fare a meno di chiedermi: quanti camion saranno necessari per trasportare 3.300 bare a misura di bambino? Di quanti altri avremo bisogno?”.

D’allora, le piccole bare sono aumentate. Secondo il Pentagono, il Pentagono non Hamas, dal 7 ottobre a Gaza sono stati uccisi 25mila donne e bambini. Secondo fonti di Gaza, i bambini uccisi o morti per conseguenze della guerra, sono almeno 12.500. 

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E l’ecatombe di innocenti continua. 

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