Guerra a Gaza, apartheid in Cisgiordania: palestinesi, un popolo di rifugiati
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Guerra a Gaza, apartheid in Cisgiordania: palestinesi, un popolo di rifugiati

Sei milioni di rifugiati. Non “profughi”. E non è una distinzione semantica. E’ sostanza politica. E di trattamento. A Gaza c’è una guerra. Che coinvolge due milioni di civili. Costretti a fuggire senza un rifugio sicuro, sotto incessanti bombardamenti.

Guerra a Gaza, apartheid in Cisgiordania: palestinesi, un popolo di rifugiati
Bambina palestinese a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Febbraio 2024 - 14.20


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Sei milioni di rifugiati. Non “profughi”. E non è una distinzione semantica. E’ sostanza politica. E di trattamento. A Gaza c’è una guerra. Che coinvolge due milioni di civili. Costretti a fuggire senza un rifugio sicuro, sotto incessanti bombardamenti. Intrappolati. Sono rifugiati e come tali hanno diritto a quella tutela che questo status esige da parte della comunità internazionale. Due milioni che si aggiungono agli altri 4 milioni: i rifugiati del ’48 e i loro discendenti.

Un popolo di rifugiati

Di grande interesse, per la profondità analitica che è da sempre il suo tratto distintivo, è un recente report di Openpolis.

“Alcuni giorni fa Nicholas Emiliou, avvocato generale della corte di giustizia europea, ha affermato che i profughi palestinesi avranno diritto a richiedere lo status di rifugiati, visto che l’agenzia Onu creata appositamente (l’Unrwa) non può da sola gestire la catastrofe in corso nella striscia di Gaza e garantire agli abitanti sicurezza e protezione. 

Sono parole che assumono un peso ancora maggiore oggi che almeno 11 paesi c tra cui anche l’Italia hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa a seguito delle accuse mosse da Israele, secondo cui alcuni membri dell’agenzia sarebbero stati coinvolti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.

Da quando Israele ha attaccato la striscia di Gaza, oltre 26 mila palestinesi, quasi tutti civili, hanno perso la vita. Tra di loro, oltre 10mila bambini e quasi 80 giornalisti. Pressoché la totalità della popolazione di questo paese, oggi uno dei più densamente abitati del mondo, è sfollata e al momento è in corso una crisi umanitaria senza precedenti, con risorse del tutto insufficienti a garantire la sopravvivenza delle persone. A cominciare dalla più essenziale, l’acqua.

L’Unrwa e la protezione dei profughi palestinesi

Data l’unicità e la prominenza della questione palestinese, si è creata una istituzione apposita per gestirla. Si tratta dell’Unrwa, un’agenzia delle Nazioni unite che si occupa specificamente dei profughi di nazionalità palestinese presenti nel vicino oriente. 

Istituita nel 1949, dopo la guerra arabo-israeliana, essa si occupa sia della gestione delle emergenze che della protezione e inserimento, educativo, sociale ed economico, dei profughi palestinesi e dei loro discendenti. Fornisce beni di prima necessità, gestisce 58 campi per rifugiati e più di 700 scuole, oltre a occuparsi di sanità e assistenza sociale.

In totale, l’agenzia si occupa di quasi 6 milioni di persone e riceve (l’ultimo dato è relativo al 2022) fondi pari a 1,17 miliardi di dollari provenienti da governi nazionali, associazioni e fondazioni private e dalle stesse Nazioni unite. Nel 2022, in termini assoluti i donatori principali erano gli Stati Uniti (circa 344 milioni di dollari). Seguono Germania (202 milioni) e Unione europea (114 milioni).

L’Unrwa fornisce protezione a tutti coloro  che hanno risieduto in Palestina tra il primo giugno 1946 e il 15 maggio del 1958 e ai loro discendenti. Normalmente i palestinesi possono accedere a questo tipo di protezione, il che comporta anche che non hanno accesso ad altre forme, come il normale status di rifugiato. La convenzione di Ginevra infatti non si applica a chi già riceve protezione o assistenza da un’agenzia Onu (che non sia l’Unhcr, l’agenzia per la protezione di profughi e rifugiati).

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5,9 milioni i profughi palestinesi sotto la protezione dell’Unrwa, al 25 gennaio 2023.

I dati si riferiscono al numero di rifugiati palestinesi registrati dall’agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (Unrwa). Sono considerati i valori totali, che comprendono i rifugiati presenti in Palestina e quelli ospitati in Giordania, in Libano e in Siria.

(FONTE: elaborazione Openpolis su dati Unhcr
(consultati: giovedì 25 Gennaio 2024)

Dal 2000 al 2023 il numero di profughi palestinesi è costantemente aumentato e all’ultimo aggiornamento (che non può ancora cogliere le devastanti conseguenze della recente guerra) se ne contano quasi 6 milioni soltanto nei paesi confinanti, con un aumento di oltre due milioni di persone in poco più di 20 anni. Il maggior aumento si è registrato negli stessi territori palestinesi (+74%). Si tratta di circa 2 milioni e mezzo di persone, ovvero il 42% di tutti i rifugiati di nazionalità palestinese presenti nel vicino oriente. Seconda è la Giordania, che ospita quasi 2,4 milioni di profughi (il 40%) e poi Siria e Libano con circa mezzo milione di persone ognuna.

L’accoglienza dei palestinesi dopo il 7 ottobre

Vista l’esistenza di un’agenzia Onu apposita, sono pochi i palestinesi che richiedono altre forme di protezione. In tutti e 27 i paesi dell’Unione europea, nel 2022 (l’ultimo dato disponibile) hanno fatto richiesta di asilo in meno di 7mila. Parliamo di meno dello 0,8% di tutte le richieste presentate da cittadini extra-comunitari.

Tuttavia la situazione è cambiata negli ultimi tempi, con l’improvvisa escalation delle ostilità che ha portato all’invasione della striscia di Gaza da parte di Israele. 

Dal 2016 fino all’ottobre scorso sono state uccise 287 persone tra i cittadini di Gaza e 174 in Cisgiordania. Nei quattro mesi successivi invece, con lo scoppio della guerra e l’invasione da parte di Israele, i morti sono stati più di 20mila soltanto nella striscia di Gaza. Il mese più sanguinoso è stato ottobre 2023.

Contestualmente all’improvviso aggravarsi della situazione, la già citata opinione della corte europea pubblicata l’11 gennaio ha stabilito che l’operato dell’Unrwa non può più essere considerato sufficiente. Il caso giuridico riguardava due persone di nazionalità palestinese cui era stata rigettata la domanda di asilo da parte delle autorità bulgare. La corte ha dato ragione ai primi. Affermando che i richiedenti palestinesi oggi possono sostenere che non c’è più protezione da parte dell’Unrwa, alla luce della gravità della situazione a Gaza. 

La “cessazione” della protezione che fino a quel momento poteva essere garantita determina automaticamente che non sussiste più l’esclusione a cui si accennava sopra: i palestinesi possono richiedere lo status di rifugiati.

Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione.

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Questa decisione potrebbe essere cruciale nell’accoglienza dei palestinesi. Al momento l’Europa non ha fatto nulla per sostenere questa popolazione vessata da decenni, se non incrementando i propri impegni finanziari per gestire la crisi umanitaria. Impegni che ora si ridurranno, dato l’attuale screditamento dell’Unrwa. Nessuno si è adoperato per proteggere i profughi stessi. 

Un approccio molto diverso da quello che si è applicato in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. In altri approfondimenti  abbiamo parlato di come l’Italia, al pari degli altri stati Ue, si sia presa la responsabilità di garantire ai profughi ucraini protezione e accoglienza, mostrando come un impegno maggiore sia possibile. 

Lo stesso non sta avvenendo per i palestinesi – è la conclusione del report –  Se infatti da un lato si annunciano aiuti umanitari di varia natura, dall’altro è attivo un fronte di cooperazione con l’Egitto,  con lo scopo di incrementare il controllo lungo le frontiere esterne dell’Europa”.

Di cosa è accusata l’Unrwa e su cosa si basano le accuse?

Una ricostruzione imparziale, e già di per questo preziosa, è quella operata da Valigia Blu: “Stando al dossier, dei dipendenti accusati 7 lavorano come insegnanti, uno come operatore sociale. Uno, impiegato come consulente scolastico, avrebbe partecipato al rapimento di una donna. Un altro è accusato di aver fornito munizioni. Un terzo, infine, avrebbe preso parte al massacro avvenuto il 7 ottobre in un kibbutz: nel raid sono state uccide 97 persone. Un quarto è accusato di aver partecipato all’attacco di Reim, dove si stava svolgendo un rave in cui sono state uccise 360 persone.Come riporta Reuters, il dossier “accusa circa 190 dipendenti dell’Unrwa, tra cui insegnanti, di essersi trasformati in militanti di Hamas o del Jihad Islamico. Il documento contiene nomi e foto di 11 di loro”. Un ufficiale israeliano ha detto a Reuters che i 190 menzionati nel dossier sono “combattenti incalliti, assassini”, mentre l’intelligence israeliana sospetta che circa il 10% del personale dell’Unrwa sia affiliata con Hamas o il Jihad Islamico. Ulteriori accuse sono dirette all’Unrwa, che nella Striscia di Gaza sarebbe “costretta a operare sotto la supervisione di Hamas”.

In tutto sono sei i dipendenti dell’Unrwa accusati di aver attraversato il confine tra Gaza e Israele il giorno degli attacchi. Di questi, quattro sono accusati aver partecipato al rapimento di cittadini israeliani. Altri avrebbero discusso telefonicamente il loro coinvolgimento negli attacchi. Tre avrebbero ricevuto messaggi che dicevano loro di presentarsi al punto di raccolta; a uno è stato chiesto di portare le armi conservate a casa sua. Uno degli insegnanti è accusato di aver filmato un ostaggio, e il manager di un negozio in una scuola dell’Unrwa avrebbe aperto una war-room per il Jihad Islamico.

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Come riportato dalla Cnn,   il maggiore generale Aharon Haliva, comandante dell’intelligence militare israeliana, venerdì 26 gennaio ha fornito ad alti ufficiali degli Stati Uniti “nomi specifici, organizzazione di appartenenza (Hamas, Jihad Islamico Palestinese, o altre) e ruolo avuto negli attacchi del 7 ottobre”. “Abbiamo mostrato loro di avere solide informazioni di intelligence da diverse fonti”, ha dichiarato Haliva alla cnn. Come dichiarato lunedì scorso da un portavoce delle Nazioni Unite, l’organizzazione non ha formalmente ricevuto una copia del dossier.

Come riferito al WSJ da un funzionario, le informazioni si basano su intercettazione e analisi di segnali (Sigint), dati di tracciamento dei cellulari, interrogatori di combattenti di Hamas catturati e documenti recuperati da militanti morti. Due funzionari occidentali hanno confermato al New York Times di aver visionato le informazioni, ma non sono stati in grado di sottoporle a verifica. I funzionari degli Stati Uniti che hanno visionato le informazioni le hanno ritenute plausibili. 

Sempre il NYT ha potuto verificare l’identità di uno dei dipendenti dell’Unrwa accusato nel dossier: si tratta di un responsabile di magazzino che nei propri profili social compare con abiti che recano il simbolo dell’Onu. Le testate che hanno visionato il dossier non hanno avuto accesso ai numeri identificativi degli accusati.

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, ha rilasciato il 27 gennaio una dichiarazione a commento delle accuse e della sospensione dei finanziamenti: “È sconvolgente vedere una sospensione dei fondi all’Agenzia in reazione ad accuse contro un numero esiguo di dipendenti, soprattutto se si considera l’azione immediata che l’Unrwa ha intrapreso, rescindendo i loro contratti e chiedendo un’indagine indipendente e trasparente. L’Ufficio delle Nazioni Unite per i servizi di supervisione Interna (Oios), la più alta autorità investigativa del sistema Onu, è ha già ricevuto l’incarico di indagare sulla difficile questione.  L’Unrwa è la principale agenzia umanitaria a Gaza, con oltre 2 milioni di persone che dipendono da essa per la loro pura sopravvivenza.  Molti sono affamati, mentre il tempo scorre verso una carestia incombente. L’Agenzia gestisce rifugi per oltre 1 milione di persone e fornisce cibo e assistenza sanitaria primaria anche nel pieno delle ostilità.

Lazzarini ha anche invitato i 9 paesi a riprendere i finanziamenti, “prima che l’Unrwa sia costretta a sospendere gli aiuti umanitari” a Gaza. 

António Guterres, segretario generale dell’Onu, ha invece dichiarato   domenica scorsa che “gli atti abominevoli di cui sono accusati questi membri del personale dovranno avere delle conseguenze. Ma le decine di migliaia di uomini e donne che lavorano per l’Unrwa, molti dei quali in situazioni tra le più pericolose per gli operatori umanitari, non dovrebbero essere penalizzati. I bisogni estremi delle popolazioni disperate che servono devono essere soddisfatti”. Guterres ha anche confermato che, “delle 12 persone coinvolte, nove sono state immediatamente identificate e licenziate, mentre “di una è confermato il decesso, e si sta procedendo a identificare le altre due”. 

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