Reema Ibraheem, la testimonianza da Gaza sotto le bombe tra freddo e fame
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Reema Ibraheem, la testimonianza da Gaza sotto le bombe tra freddo e fame

Intervista con Reema Ibraheem al Haj Abed, operatrice umanitaria che è nata e vive da sempre a Gaza, rifugiata con la sua famiglia estesa a Rafah, all’estremo sud della Striscia.

Reema Ibraheem, la testimonianza da Gaza sotto le bombe tra freddo e fame
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20 Novembre 2023 - 22.29


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L’intervista condotta da Piera Radaelli che conosce Rima e insieme a lei ha in passato lavorato per anni, si è svolta via WA, in arabo, il 19 novembre 2023 sera, quando dopo molteplici tentativi la connessione internet si è relativamente stabilizzata. E’ stato quasi un miracolo: dal 7 di ottobre, cercare di parlare con Reema e avere sue notizie è sempre stata un’avventura.

di Piera Radaelli

Ore 17:40PR: Ciao Reema, vuoi presentarti a chi ci leggerà?

Reema: Mi chiamo Reema Ibraheem e ho 46 anni, anzi li compio domani…Vivo a Gaza da sempre, e a Gaza ho sempre lavorato… in una situazione che di anno in anno peggiora, ogni giorno di più, fino ad arrivare a oggi…

PR: Adesso ti trovi a Rafah, all’estremo sud della Striscia, ma sei sempre vissuta a Gaza City. Riesci a raccontarmi cosa è successo a te e alla tua famiglia a partire dal 7 di ottobre?

Rima: Il 7 di ottobre, in modo totalmente inaspettato, senza preavvisi o avvisaglie di sorta, è iniziata una nuova guerra contro Gaza. Una guerra atroce e brutale dal primo istante. Mi trovavo a casa, nel nostro appartamento, con mio padre, mia madre e mio figlio… (l’altro era, ed è tuttora, in Egitto). Quella notte siamo rimasti a dormire in casa… Il giorno dopo, però, l’8 di ottobre, l’esercito israeliano ci ha sommerso di volantini, volantini che piovevano dal cielo, lanciati dai loro aeroplani, che ci ingiungevano di andarcene dal quartiere dove abbiamo sempre abitato…  E lo stesso è successo ad altri sette quartieri vicino al nostro, a Gaza City…  

… ta ta ta (la comunicazione si è interrotta)…

Le ho scritto su WA: “Rimush, pare che abbiano interrotto la comunicazione… se non riusciamo a ristabilirla e a continuare, per adesso: “buon compleanno

Reema: Non ti sento. 

PR: Mi dicevi che avevate ricevuto un avviso dall’esercito israeliano che vi intimava di andarvene dalla città… 

Reema: Sì, noi viviamo in una zona sempre presa di mira dagli attacchi dell’esercito di occupazione… La zona è un quartiere abitato da civili… ma, per l’esercito israeliano, questo è indubbiamente un aspetto secondario…L’esercito israeliano non ha mai giustificato, motivandoli, i suoi attacchi contro un’area abitata… lo sappiamo bene. 

Insieme a mia madre e mio padre, due persone anziane, abbiamo deciso che era tempo di muoverci …di andarcene da casa.  Siamo usciti con piccola borsa, che conteneva solo un paio di ricambi. La prospettiva era di andarcene per un paio di giorni… poi saremmo tornati. Ci siamo rifugiati, provvisoriamente credevamo, negli uffici dell’organizzazione umanitaria per la quale lavoro. E lì siamo rimasti due giorni. 

Ma, dopo due giorni, le forze di occupazione israeliane ci hanno intimato di evacuare anche quella zona. Ci siamo spostati a casa di mio fratello, nel quartiere “al-Nasser” di Gaza City. Ci siamo fermati lì altri due giorni, per poi ricevere un terzo avviso dell’esercito israeliano che ci ordinava di andarcene anche di lì. 

Come noi, con il pretesto che la zona nord di Gaza è zona di guerra, la medesima ingiunzione l’hanno ricevuta tutte le famiglie che abitano al nord di Wadi Gaza, … E’ un’area densamente popolata, quella, dove vivono circa un milione e 300 mila palestinesi. 

E’ stata una giornata terribile, quella del 13 di ottobre… non riesco neppure a descriverla… A gruppi, la popolazione dell’area nord della Striscia si è diretta verso il sud. Senza sapere quale sarebbe stata la sua destinazione e quale il suo destino… Per strada, alcuni hanno deciso di fermarsi negli ospedali, altri si sono stabiliti nelle scuole… 

Il quadro era apocalittico … gruppi di bambini che si erano persi, senza le loro famiglie, giravano piangendo e gridando per le strade… le famiglie cercavano i figli… Ho visto un ragazzo che tentava di suicidarsi… Nessuno era riuscito a portare con sé più di una piccola borsa… Moltissimi non avevano un’auto con la quale spostarsi, muoversi dalla città verso il sud…E così camminavano, camminavano…Mentre uscivamo dalla città vedevamo schiere di persone che camminavano… 40 klm. a piedi: bambini, donne, vecchi e uomini… E ai due lati della strada solo distruzione … E noi continuavamo il nostro cammino. 

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Infine, quella sera, siamo arrivati ad un “rifugio”: un immobile dell’UNRWA, a Khan Younis. Un edificio che in tempi normali era sede di un Istituto di formazione professionale, quindi non certo equipaggiato e allestito per essere utilizzato come rifugio. 

Il primo giorno sono arrivate lì 33 mila persone…Era chiaro che non potevano essere ospitate tutte in quell’immobile… Ho deciso quindi di contattare una associazione locale con la quale in passato collaborava l’organizzazione per la quale oggi lavoro… E con la mia famiglia mi sono spostata nella loro sede, a Rafah.

Non lo sapevamo, allora, ma quelli erano solo i primi giorni dell’attacco israeliano, si trattava ancora della fase  “rosa”  della guerra, se così si può definire…

Poi gli israeliani hanno cominciato ad attaccare ovunque… Sono iniziati i giorni dei bombardamenti folli e indiscriminati, ovunque… Interi quartieri crollavano sulla testa dei loro abitanti… niente acqua, niente cibo, niente elettricità, niente benzina o petrolio o qualsivoglia combustibile…Non c’era e non c’è più modo di contattare i membri della nostra famiglia allargata, per avere notizie … Le équipe della protezione civile carcano di estrarre le persone rimaste sepolte sotto le macerie delle case, ma ancor oggi continuano ad esserci persone sotto le macerie… 

Al nord gli attacchi non si fermano… Ma neppure al sud, anche se sono stati gli stessi israeliani a chiedere alla gente di andare al sud, senza dar loro la possibilità di uscire dalla Striscia, anzi impedendo agli aiuti umanitari di entrare a Gaza… Gli ospedali di Gaza City non funzionano più. Quanto è successo all’ospedale Ash-shifa è una catastrofe umanitaria senza precedenti: l’ospedale è stato bombardato, ai pazienti e al personale è stato ordinato di andarsene… mentre le bombe cadevano sulla testa dei pazienti, e medici e infermieri venivano arrestati… I malati nei reparti di terapia intensiva sono morti, i bambini nelle incubatrici anche… la situazione è difficile…molto.

PR: E la vostra casa? E’ stata distrutta? 

Reema: La nostra casa è stata distrutta dieci giorni dopo l’inizio dell’attacco… L’intero edificio, di tredici piani, con tre appartamenti per piano è stato raso al suolo: ci abitavano 36 famiglie … L’edificio è stato distrutto completamente e, una settimana dopo, l’intero quartiere è stato raso al suolo. Tutto il quartiere. E questo è solo uno dei tanti quartieri residenziali che sono stati distrutti… So con certezza, dalle persone che conosco, che quasi tutta la città… tutta l’area nord di Gaza è stata distrutta. La casa di mio fratello, che pure si trova nell’area a sud di Wadi Gaza, è stata distrutta insieme a tutto il quartiere dove era situata…Quanto al mio altro fratello, che abitava nella zona di Tall Al Hawa: tutto il suo quartiere è stato raso al suolo dai bombardamenti israeliani, la sua abitazione compresa. Per parlare poi del mio terzo fratello: la sua casa è stata colpita dagli obici sparati dai cannoni israeliani e oggi non è più abitabile.

Il risultato è che noi tutti, tutta la mia famiglia, è oggi senza una casa, senza un rifugio…

PR: Siete tutti insieme oggi? 

Reema: Sì, siamo tutti qui, ospitati dalla associazione di Rafah che ci ha dato rifugio…

PR: Come vivete e sopravvivete, voi e tutta le gente che è con voi? Come sono le vostre giornate?

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Rima: Come sai la striscia di Gaza è sotto assedio da ormai circa 17 anni. Assedio significa che le merci e le medicine che l’occupante israeliano permetteva entrassero nella striscia, attraverso i valichi da lui controllati, erano lo stretto necessario, quanto bastava alla popolazione per sopravvivere due-tre giorni consecutivi. Con l’inizio della guerra, i valichi sono stati sigillati dagli israeliani… e gli aiuti che riescono ad entrare riescono a soddisfare i bisogni di non più del 5 % degli abitanti della Striscia…Oltre al fatto che, come ti ho già detto, gli israeliani non permettono di far entrare alcun tipo di combustibile… Ciò di cui disponiamo quotidianamente soddisfa a malapena i bisogni relativi alla sopravvivenza: mangiamo una volta al giorno,  per lo più legumi secchi (ceci, fagioli, lenticchie), quelli che ancora troviamo nella Striscia, e  quel poco di cibo in scatola che è rimasto e possiamo comprare… Il costo del cibo, quasi introvabile, è aumentato in media di quasi dieci volte rispetto al passato…

PR. Che tipo di cibo… riuscite a trovare?

Reema: Riuscire ad avere del pane comporta una vera sofferenza. Se vogliamo comprarlo dal forno dobbiamo metterci in fila alle 5 di mattina e spesso restare in fila fino alle 5 di sera… Così la gente cerca di fare il pane nei rifugi… Ma senza forni né benzina o altri combustibili come fare? Utilizziamo rami e foglie secche per fare un fuoco e cuocerlo, o del carbone, se mai lo troviamo.

 Alla lunga, i fumi cui ci esponiamo in continuazione, quelli legati al soddisfacimento dei nostri bisogni quotidiani e quelli degli incendi provocati dalle bombe israeliane incideranno in modo disastroso sulla salute della gente… Inoltre: bruciare tutto il bruciabile porterà ad un disastro ambientale… Ti faccio un esempio: da sempre ho problemi all’apparato respiratorio… Causa i fumi di ogni genere che respiro durante la giornata. quelli degli incendi causati dalle bombe, e dei fuochi che la gente deve accendere per cuocere il cibo… di notte respiro con grande fatica.

Questa striscia di terra, il sud di Gaza, ospita oggi più di un milione e mezzo di persone…molte più di quanto questo territorio con le sue risorse, terra, acqua etc.. potrebbe ospitare… La gente che ha trovato rifugio nelle scuole non ha possibilità di trovare l’acqua, cibo e pane, o di accedere a cure mediche,… L’inverno è arrivato e con l’inverno il freddo… la gente non ha vestiti e i bambini circolano per le strade con abiti estivi e senza scarpe…Difficile che possiate immaginarvi la situazione.

Moriamo di fame, di sete, e per l’oppressione e la repressione senza limiti cui siamo sottoposti…

Non abbiamo tempo per la tristezza, non c’è tempo per la tristezza. Molti dei miei amici sono morti, sono stati uccisi…ma io non ho tempo per piangere, non ho spazio per essere triste, per ricordarli … troppi sono i miei compiti, troppe le cose da fare indispensabili per la nostra stessa sopravvivenza, cui dobbiamo quotidianamente pensare… Poi ci tagliano le comunicazioni e non riusciamo ad avere notizie dei nostri amici e parenti, fuori e dentro Gaza. Non riusciamo a rassicurarli sulla nostra sorte e a dare a voi, i nostri amici all’estero, nostre notizie…Mio figlio che si trova in Egitto piange ogni volta che riusciamo a parlarci e mi dice: “Ho avuto paura che tutti voi foste morti..”

E ancor peggio: privata della possibilità di comunicare con i telefoni la gente non può contattare la protezione civile o le ambulanze… E così le famiglie si caricano sulle spalle i feriti e li trasportano a piedi, per lunghe distanze, per raggiungere ambulatori e ospedali… E spesso ci arrivano quando ormai è troppo tardi, quando il ferito è morto… Gaza è una dimostrazione del fallimento di tutte le convenzioni sui diritti umani, sulla protezione della popolazione civile, dei bambini, e delle donne…Io sto combattendo, sto combattendo nel significato letterale del termine, sto combattendo per conservare un minimo della mia umanità, il minimo. E lo stesso è per tutti noi…

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Tutto quanto riesco ad augurarmi oggi è di poter ricongiungermi con mio figlio, che è in Egitto, o che lui riesca a venire qui… E poi: di non svegliarmi la mattina e vedere la gente affogata nel mare che si è formato a causa della pioggia che da qualche giorno cade copiosa… gente che non trova un posto dove rifugiarsi o qualcosa con cui coprirsi… Quanto poi a coloro che sono rimasti nella città di Gaza… quando tentano di uscire, di fuggire, vengono presi di mira dai carri armati… come possono uscire dalla città…? Chi oggi cerca di uscire da Gaza nord deve camminare per un minimo di quattro ore a piedi, bambini, giovani, vecchi, donne e uomini, feriti… E gli viene impedito di portare con sé qualsiasi cosa…  E mentre sono per strada, i soldati israeliani iniziano a sparare o arrestano alcuni di loro… E i cadaveri rimangono per strada e nessuno li raccoglie o li seppellisce… Non sono sicura che nessuno storico riuscirà mai a raccontare nei dettagli quanto sta succedendo…

PR: E voi? Riuscite ad avere il minimo che vi è necessario per sopravvivere?

Reema: Ogni mattina esco con mio fratello dal rifugio alla ricerca di quanto abbiamo bisogno… Io vado da una parte e lui da un’altra e perlustriamo la zona… usciamo con la speranza di trovare del cibo o degli abiti di cui abbiamo bisogno per l’inverno, per noi che siamo una quarantina… Ma troviamo poco e quanto troviamo costa dieci volte più che in passato. Per grazia di dio io ho ancora uno stipendio ma, anch’ io, che sono una “privilegiata”, non riesco a comprare a questi prezzi, se mai trovo qualcosa da comprare…

PR: E la gente che non ha soldi? C’è una banca da cui ritirare soldi, se mai la gente ne avesse in banca?

Reema: No banche non ce ne sono…c’è un bancomat che funziona qualche ora al giorno, quando c’è elettricità… E per riuscire a ritirare dei soldi ci vado la mattina alle 7… col mio stipendio vivono molti dei membri della mia famiglia e siamo in più di 40 persone… Quanto invece alle famiglie che non hanno un introito e che già vivevano in una condizione di povertà assoluta (il 65% della popolazione della Striscia nel 2022, secondo OCHAUnited Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), …le persone  che sono uscite da casa senza niente e sono rifugiate nello shelter dell’UNRWA (United NationsRelief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)… queste persone vivono con gli aiuti in cibo che vengono loro distribuiti. Ogni famiglia (formata, in media, da 6 componenti) riceve quotidianamente: due pite di pane, una scatola di fave o una scatola di tonno…Questo è quanto: e deve bastare per sei persone…  E ancora e per darti un’idea: il sale costa 15 volte di più di quanto costava in precedenza… l’acqua 8 volte di più. E quando la beviamo, ci rendiamo conto che non è acqua potabile … I depuratori non funzione perché manca il carburante…E io temo per i miei genitori anziani… Se uno di loro si ammala, che posso fare? Se uno di loro avrà bisogno di un ospedale, non avremo alternative: potremo solo lasciarlo morire. Non c’è un ospedale a Rafah… I parti cesarei vengono eseguiti senza anestesia e così pure le amputazioni…

Ma abbiamo ancora fiducia nei popoli del mondo… che si sollevino e obblighino i loro governi ad intervenire…  E non dimentichiamo i nostri fratelli che stanno in Cisgiordania 

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