Internet tradito: Meta punta sui social a pagamento

Lo scontro tra Zuckerberg e l'Unione europea pone in discussione alcuni dei cardini sui quali era nata la Rete. Le lente ma progressive modificazioni legali che interessano social e piattaforme.

Internet tradito: Meta punta sui social a pagamento
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9 Novembre 2023 - 21.36 Culture


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di Ludovico Conti

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Con Internet era nato con il sogno di avere uno spazio libero e accessibile. Uno spazio in cui la condivisione e la diffusione di informazione e della conoscenza sarebbero stati gli elementi costitutivi. Ma nulla è esente alle trasformazioni della società, neanche internet. Il modello neoliberista ha colonizzato il web. Lo scontro tra Meta e l’Unione Europea ha attirato tanto l’attenzione proprio perché in gioco non c’è una semplice battaglia legale ma il rapporto e le implicazioni che ha il neoliberismo digitale: dal diritto d’autore e la circolazione del sapere alla tutela della privacy.

Il mondo ha i suoi tempi per adattarsi ai cambiamenti. Quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili produsse grandi cambiamenti sociali e si ebbe una grande diffusione della cultura. Ma ci vollero alcuni secoli prima che arrivasse la libertà di stampa, il diritto dell’autore, la creazione di un vero sistema editoriale.  I cambiamenti indotti da Internet vanno più velocemente. Siamo oramai nel web 4.0 e molte cose sono già cambiate da com’erano all’inizio. Sempre più giornali e siti informativi ci danno solo l’attacco dell’articolo per poi chiederci un abbonamento per continuare a leggere; le piattaforme di intrattenimento sono sempre di più basate sugli abbonamenti e sulla  pubblicità. Solo i social-media erano esenti da questi mutamenti. A loro bastava avere la capacità di raccogliere enormi quantità di dati sugli utenti, utilizzandoli per fini pubblicitari o di profilazione. E con un grande tempismo di coincidenza: Meta inserisce l’opportunità di un abbonamento per non vedere le pubblicità nello stesso momento in cui l’Unione Europea multa l’azienda di Zuckerberg per le sue strategie di marketing aggressive.

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Già “Social Dilemma”, il documentario di Netflix, aveva avviato un percorso di consapevolezza. L’intervento prima della Norvegia e poi l’Ente europeo per la tutela dei dati rappresentano uno spartiacque per quello che sarà il nostro essere e stare in un social media. La “terra dei fiordi”, a inizio novembre, aveva imposto a Meta di cambiare il suo modello legato alla pubblicità comportamentale pena una salata multa  alla quale  avrebbero aggiunto altri 90 mila euro di multa al giorno fino a quando non sarebbero cambiate le modalità. L’Unione Europea, tramite l’ente europeo per la tutela dei dati, aveva poi esteso il provvedimento all’intero territorio europeo.


Perché queste azioni sono così rilevanti, in questo momento, per tutti noi? Le piattaforme hanno fatto la loro fortuna con il modello della pubblicità comportamentale: profilarci tutti per poterci targhettizare. Cerchiamo qualcosa su Google e ce la troviamo subito dopo su Instagram o Facebook tra i prodotti sponsorizzati creando sempre quella spaccatura in due tra i consumatori: i rassegnati che si dicono che tanto oramai i nostri dati già li hanno quindi c’è poco da fare e chi invece continua a stupirsi di questa magia nera.

Come lo “Statuto di Anna”, arrivato tre secoli dopo Gutenberg,  regolava il diritto d’autore, così l’Unione europea interviene, ora, per proteggere i suoi consumatori non troppo consapevoli dei meccanismi con cui funzionano i social media. Imponendo uno stop si mettono sul tavolo i due temi senza però modo più di fuggirne al dibattito. Il primo è la privacy che deve tornare centrale e rilevante: essere costantemente “profilati” quando ci muoviamo sul web non può più andarci bene.  Il secondo punto è l’interrogativo del futuro dei social media: se davvero l’Unione Europea fermerà la pubblicità comportamentale che da sempre è stato il modello economico con cui hanno massimizzato di più gli utili, i social media diventeranno anche loro un servizio a pagamento? E sarà solo per le pubblicità o arriverà un abbonamento proprio per il suo utilizzo?

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Il  sociologo Manuel Castells ha sottolineato come l’espansione delle tecnologie digitali abbia facilitato e promosso l’ideologia neoliberista  ma non solo egli aveva evidenziato i rischi e le sfide associate a quello che è il neoliberismo digitale, come la perdita di privacy, evidenziando come Internet potesse accentuare le disuguaglianze sociali esistenti anziché ridurle. Che posto avranno le fasce più povere della popolazione se i social media diventeranno a pagamento per risolvere i problemi legati ai loro modelli di business?
Adesso non solo vi è il solito spinoso problema della competenza ed alfabetizzazione digitale ma ora si evidenzia di più come Internet passi sempre dall’essere uno spazio libero ad uno spazio sempre più neoliberista in cui il mantra è la massimizzazione cinica dei profitti a discapito della nostra privacy, meno male che c’è l’Unione Europea che prova a difenderci.

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