«Qualcosa si è rotto. Spero non irrimediabilmente. Ma ci vorrà molto tempo e molta fatica per ricostruire». Lo dice il Patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, in una intervista all’Osservatore Romano ripercorrendo questo mese di guerra.
«L’impalcatura era certo traballante e vi si lavorava con molta fatica. Ogni tanto veniva giù qualche tavola. Ora è venuta giù tutta l’impalcatura. Bisognerà ricominciare tutto da capo».
Il cardinale parla anche della comunità cristiana che vive in Terra Santa, più composita di quanto si possa immaginare: «I cristiani sono in questa terra una realtà assai più composita. Tra le tre religioni abramitiche noi siamo gli unici che non si identificano con un solo gruppo etnico. Le faccio un esempio: in questo momento ad esempio vi sono militari cattolici che, sotto le insegne israeliane, sono a Gaza. Anche loro sono parte del mio gregge».
Poi sottolinea che si vive una situazione senza precedenti: «Io sono qui da 34 anni, ho vissuto molte cose in questo Paese, e non tra le migliori che possono capitare ad un uomo, però mi sento di dirle che quello che ho vissuto, e sto ancora oggi vivendo, dal 7 ottobre, mi interpella profondamente. In questi anni io ho costruito tante relazioni, dentro e fuori il `nostro´ mondo, non parlo di relazioni politiche ma umane, con i palestinesi e con gli israeliani; relazioni che in un attimo si sono rivelate impossibili. Qualcosa si è rotto. Tra loro innanzitutto. E tu che hai dedicato tutta la vita a fare la cerniera, il facilitatore, non riesci più a mettere insieme i pezzi».
Pizzaballa ragiona anche sul suo ruolo di pastore: «Mai come in questo frangente ho compreso che il mio ruolo implica, più che responsabilità, un alto grado di paternità. Il padre è colui che ascolta, orienta, indirizza, consiglia, corregge, custodisce, protegge. Il padre è colui che genera alla vita. E qui, ora, c’è un gran bisogno di generare nuova vita».