Testimonianze dall'inferno di Gaza: "Ognuno di noi è un bersaglio"
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Testimonianze dall'inferno di Gaza: "Ognuno di noi è un bersaglio"

“A dieci giorni dall'escalation di violenza a Gaza e in Israele, almeno 724 bambini palestinesi sono stati uccisi a Gaza e 3 in Cisgiordania, mentre altri 2.450 sono stati feriti

Testimonianze dall'inferno di Gaza: "Ognuno di noi è un bersaglio"
Bombe israeliane su Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Ottobre 2023 - 19.47


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Testimonianze dall’inferno in terra: la Striscia di Gaza. Dove tutti sono un bersaglio.

Il report di Save the Children

“A dieci giorni dall’escalation di violenza a Gaza e in Israele, almeno 724 bambini palestinesi sono stati uccisi a Gaza e 3 in Cisgiordania, mentre altri 2.450 sono stati feriti. Sebbene il numero di bambini israeliani uccisi e feriti non sia stato confermato, anche loro hanno dovuto affrontare violenze terribili, con segnalazioni di bambini rapiti e presi in ostaggio.

Direttamente da Gaza, ci arriva la drammatica testimonianza di un nostro operatore in fuga con i suoi 3 figli tutti di età inferiore ai 10 anni.

“È con il cuore pesante che scrivo questo messaggio da Gaza, sotto l’incessante bombardamento che ha travolto le nostre vite e reso il più semplice diritto alla vita una lotta. Mentre scrivo, mi aggrappo a tutto il coraggio che riesco a trovare, anche se non so se questo messaggio sarà l’ultimo. Nel corso della mia carriera professionale, sono stato fortemente coinvolto nella pianificazione e nella guida di risposte di emergenza a conflitti su larga scala. Tuttavia, quello che stiamo vivendo ora a Gaza è diverso da qualsiasi cosa abbia mai visto prima. Stiamo razionando le bottiglie d’acqua. Il cibo sta finendo. I feriti e i malati non possono essere curati. Di notte, i bambini siedono al buio, nell’oscurità, chiedendosi se vivranno fino al mattino.

Questa situazione è unica. Devo ammettere che i bisogni umanitari sul campo, l’impatto sulle famiglie come la mia e il numero della popolazione colpita sono al di là di ogni comprensione. Nessuno può comprendere appieno l’entità della sofferenza. Non ho risposte da dare ai miei tre figli piccoli su ciò che accadrà. Per la prima volta nella mia vita, provo un senso di disperazione e impotenza che non mi rappresenta. 

Come tutti a Gaza, il mio desiderio più grande è quello di svegliarmi ogni giorno con i miei familiari e i miei cari al sicuro. La paura di non poter vedere un altro giorno insieme è un peso costante sui nostri cuori. In passato mi sono spesso sentita sopraffatta, chiedendomi perché non ho scelto di lasciare questa striscia assediata, anche se ciò significava andare contro le mie stesse convinzioni. Mi sono chiesto perché non ho dato priorità al futuro della mia famiglia e perché non ho avuto il coraggio di prendere questa difficile decisione. Mia figlia di 10 anni ha già assistito a tre ostilità su larga scala. Tuttavia, ho sempre risposto a me stesso che il mio profondo legame con la terra in cui sono nato, cresciuto e di cui ho innumerevoli ricordi – le mie radici e il senso di identità come palestinese orgoglioso – mi hanno tenuto qui. Oggi, quelle domande non mi perseguitano più. Non c’è via d’uscita da Gaza. Non c’è un posto sicuro a Gaza.Il mio sogno è semplice: svegliarmi al mattino con i miei figli in braccio, vivi e vegeti, e che questa violenza abbia fine. Preghiamo per giorni migliori.”

[…] “Guardando i miei figli negli occhi ogni minuto, posso vedere le domande che hanno: sono alla ricerca di risposte, di rassicurazioni sul fatto che tutto andrà bene e di un barlume di speranza per un futuro migliore. Io, come ogni genitore, sento la profonda responsabilità di fornire loro questo senso di sicurezza e speranza. Tuttavia, la realtà della nostra situazione attuale è straziante. Per la prima volta, mi ritrovo a desiderare di essere una roccia, incapace di farsi scalfire e resistente al dolore. Vorrei avere dei superpoteri, come gli uccelli, per fuggire da questa striscia di terra con la mia famiglia, in cerca di un rifugio. Vorrei essere un supereroe, per portare via i miei figli a vivere in pace”.

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Le nostre richieste  

L’orrenda violenza che ha travolto Gaza e Israele nelle ultime settimane ha già creato una crisi umanitaria gravissima. Centinaia di bambini sono stati uccisi, mentre centinaia di migliaia di bambini e famiglie di Gaza sono già stati costretti a lasciare le loro case, interi quartieri sono stati distrutti e ridotti in macerie.Tuttavia, i recenti sviluppi indicano che la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare.

Chiediamo che tutte le parti accettino un’immediata cessazione delle ostilità, e che i leader mondiali e tutte le forze coinvolte sul campo di dare priorità, sopra ogni cosa, a salvare le vite umane. Altrimenti rimarrà per sempre una macchia indelebile nella coscienza di tutti noi”.

Così Save the Children.  

Tutti sono bersaglio

Zyad Meddouh, insegnante di francese raggiunto telefonicamente a Gaza, parla di una situazione sempre più insostenibile per i civili. “Parte di Gaza City è stata devastata e migliaia di persone sono fuggite verso sud”, racconta, spiegando di aver deciso di rimanere con la sua famiglia, ritenendo che di non avere altra scelta, “stiamo aspettando il peggio, o la morte o la sopravvivenza”. Il palestinese racconta poi delle bombe israeliane che cadono “ogni 3 o 4 minuti” e della difficoltà di trovare cibo.

Rami Eïssa, 34 anni, è un cameraman, padre di 3 figli. Pochi giorni fa, gli edifici accanto al suo ufficio sono stati completamente distrutti dagli attacchi aerei. Per il momento non osa tornarci. “Ci siamo rifugiati con mio zio nei locali di una ONG finanziata dalla Svezia”, a Gaza City, e al momento “non abbiamo acqua potabile e dobbiamo arrangiarci con i generatori per avere un po’ di elettricità”.

Sono testimonianze che danno la dimensione del disastro umanitario che si sta verificando. “Intorno a noi vediamo donne e bambini, ma anche anziani, che cercano vestiti puliti e acqua. I miei figli non riescono a smettere di piangere perché hanno tanta paura”, racconta ancora Rami, “tutti qui sono diventati un bersaglio”.

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“Ciò che una volta era Gaza non esiste più. Case, edifici, negozi e strade sono danneggiati e demoliti”. A raccontare tramite un messaggio vocale quello che stava accadendo a Gaza  è Wassim Mushtaha, responsabile di Oxfam Saving Lives a Gaza.

“Oggi non abbiamo dormito – spiega ancora – Abbiamo ricevuto messaggi israeliani che ci informavano di lasciare Gaza e il governatorato del Nord e di spostarci verso il Sud della striscia di Gaza”. “Ci hanno chiesto di lasciare le nostre case, le nostre attività, di lasciare tutto e andare con i nostri figli – racconta ancora – È una situazione orribile e contro ogni legge umanitaria“.

Lanciando l’appello per un cessate il fuoco immediato e per un’apertura dei varchi per far entrare “merci e cibo”, il responsabile Oxfam continua: “Con i miei figli stiamo per lasciare le nostre case, la nostra città, entro due ore al massimo. Se fosse per me non me ne andrei, preferirei morire a Gaza. Ma per i miei figli e i miei genitori, voglio proteggerli. Pregate per noi”.

“Sara catastrofe totale”

A darne conto, con testimonianze da Gaza City,  è  Federico Mellano su La Stampa: “Nessuno qui ha più acqua potabile. Se  il mondo non fa qualcosa entro due giorni sarà la catastrofe totale». Mahmoud Abu Saleh, responsabile del Centro giovanile Sawaed e volontario nel lavoro medico a Gaza e medico dell’Unione medica euro mediterranea lancia un disperato appello in un momento di pausa dal lavoro incessante in ospedale. «Cerchiamo di fare quello che possiamo, ma ormai il nostro intervento sta diventando inutile. Senza medicinali e acqua per lavarci i feriti non possono essere curati. Ci sentiamo impotenti – aggiunge –. Vedo centinaia di pazienti arrivare ogni giorno, molti bambini, ma il sistema sanitario è al collasso». Mahmoud spiega che sono più di 800 i bambini palestinesi morti dall’inizio di questa fase del conflitto: «Gli ospedali e le scuole vengono colpiti, nessuno può sentirsi al riparo, mancano i rifugi sotterranei. Colpiscono con l’aviazione, l’artiglieria e la marina. Non c’è famiglia che non abbia avuto un lutto». Il dottor Fadi Al Khudari piange in ospedale, circondato da alcuni colleghi che cercano di confortarlo: suo padre e suo fratello sono stati uccisi durante un raid. 
«Il cibo? Manca ma non ci diamo peso. La carenza di acqua ora è il dato più importante: Non facciamo la doccia da una settimana», conclude Mahmoud Abu Saleh.


«La situazione peggiora di minuto in minuto – dice il dottor Khamis Elessi, consulente in neuro riabilitazione e medicina del dolore, e medico dell’Unione medica euro mediterranea –. Almeno 26 famiglie sono state completamente spazzate via. Viviamo nell’oscurità, senza internet. Trasferire le persone dalla parte settentrionale a quella meridionale della Striscia è impossibile, si tratta di muovere due milioni di persone. Ci vorrebbero una o due settimane».

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L’allarme dell’Umem e dell’Amsi: «Nelle ultime ore il tasso di mortalità è aumentato del 500 per cento»
Negli ultimi giorni, si allunga la lista dei soccorritori morti sul campo. «Ne sono scomparsi 16 – spiega Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia, dell’Unione medica euro mediterranea, membro della commissione Salute globale Fnomceo e prof. a contratto all’Università Tor vergata –. Insieme a loro 13 giornalisti. Il dottor Tamer Al Kaiat, anestesista all’Ospedale europeo di Gaza, era uscito pochi minuti dall’ospedale per trovare la famiglia. È scomparso insieme alla moglie e ai suoi figli». Il dottor Ahmad Dabura, medico laureato in Giordania, è stato inghiottito dalle macerie. 


«Il tasso di mortalità dei pazienti nelle ultime ore è aumentato del 500 per cento, a causa della mancanza di cure, di farmaci, di sangue, di interventi chirurcigi, e di assistenza diretta e indiretta – prosegue Aodi –. A Gaza operano solo 13 ospedali su 23, per carenza di elettricità, carburante, farmaci, medici, ambulanze e altro materiale essenziale. Più di mille persone mancano all’appello». I medici continuano comunque a lavorare su turni “massacranti”.


E poi l’appello da musulmani, ebrei,cristiani ,copti ,maroniti ,ortodossi, anglicani e da tutte le religioni, insieme ai laici di Uniti per unire al governo Italiano, all’Onu, all’Unione europea «per riprendere il processo di pace, per il cessate il fuoco» e per la convivenza armoniosa «di due stati e due popoli».

 I medici di Msf: «Non sappiamo cosa succederà domani e dove saremo»
«La situazione a Gaza è molto difficile. Ieri abbiamo cercato per due ore l’acqua potabile, che non è più disponibile. Manca l’elettricità e nemmeno l’acqua normale viene più pompata. Abbiamo ancora alcune scorte di cibo – spiega il dottor Mohammed Abu Mughaiseeb, vicecoordinatore medico di Msf a Gaza –. Gli ospedali funzionano a malapena. La maggior parte del personale medico ha lasciato l’ospedale ed è andato via con le proprie famiglie perché questo non è più un luogo sicuro. Le scorte di medicinali si stanno esaurendo, anche nelle farmacie private. È molto pericoloso. Bombardano tutto il giorno, non ci sono corridoi umanitari. Oggi sono riuscito a mettermi in contatto con alcuni ospedali, in particolare con il reparto ustionati dell’ospedale di Al Shifa. C’è solo un chirurgo e un anestesista ma mancano gli infermieri, soprattutto in questo reparto. Non sappiamo cosa succederà domani e dove saremo».


Nel nord della Striscia la situazione è drammatica, gli ospedali sono sovraccarichi e si stanno esaurendo i farmaci e gli antidolorifici. I feriti urlano dal dolore, mentre chi avrebbe bisogno di cure non riesce a raggiungere gli ospedali per il rischio dei bombardamenti”.

Così muore Gaza. E la sua gente.  

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