Ma che Paese quello in cui sulla stampa, in Tv, si discute , si litiga, si fa finta d’indignarsi sulla presunta ingratitudine di un giovane che per tornare in Italia dopo essere uscito dalle fetide galere dell’autocrate egiziano, rifiuta l’aereo di Stato e preferisce tornare nella “sua” Bologna con un volo di linea?
E’ un Paese malato. L’Italia.
Nelle mani del “faraone”
E che stampa è quella che s’interroga sull’ipotesi “baratto” dietro la grazia concessa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi a Zaki.
Come se fosse questo in cima ai pensieri dell’uomo che guida uno Stato di polizia responsabile del rapimento e dell’uccisione di Giulio Regeni. Ha ragione da vendere Paolo Mieli che a l’Aria che Tira, il talk show di La7, liquida così il “baratto”, rispondendo alla domanda del conduttore: “Guardi, di baratto non capisco in che termini potrebbe esserci il baratto. In che senso? Non è chiaro. Certo, anch’io, che pure gioisco per l’operazione che ha portato alla liberazione di Patrick Zaki, mi sono spesso domandato cosa avrei fatto se fossi stato al-Sisi, che è una persona notevolmente intelligente, se fossero venuti fuori atti inchiodanti come quelli su Regeni”. “Se io fossi stato al-Sisi avrei fatto questo: avrei pescato un disgraziato senza arte nè parte e lo avrei messo in carcere per una cosa inconsistente, avrei aspettato che qualcuno in Italia abboccasse e provocasse un movimento di opinione che quasi si sovrapponeva a quello di Regeni e poi l’avrei fatto condannare. Sicuramente dopo cinque minuti avrei concesso la grazia”, ha continuato il giornalista. Stando a quanto dichiarato dal saggista, le storie di Zaki e Regeni non sono neanche lontanamente equiparabili: “Non è baratto, è intelligenza di al-Sisi. Sono due storie molto diverse. Regeni fu ucciso, massacrato, lasciato al bordo di una strada con i cani che rosicchiavano le ossa. Una storia orribile”.
Ma dietro il dibattito sull’”ingratitudine” c’è quello che si vuole, più o meno consapevolmente, ignorare. Il trionfo dell’autocrate egiziano. Osannato da Giorgia Meloni, innalzato a “stabilizzatore” del Mediterraneo, celebrato dalla presidente della Commissione europea, tutti dimentichi di cosa è, dentro e fuori i confini nazionali, Abdel Fattah al-Sisi.
Desaparecidos
Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni). Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre 60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi.
L’inferno all’ombra delle Piramidi
Le autorità egiziane tengono i detenuti minorenni insieme agli adulti, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. In alcuni casi, sono imprigionati in celle sovraffollate e non ricevono cibo in quantità sufficiente. Almeno due minorenni sono stati sottoposti a lunghi periodi di isolamento. Un quadro agghiacciante è quello che emerge da un recente rapporto di Amnesty International. “Le autorità egiziane hanno sottoposto minorenni a orribili violazioni dei diritti umani come la tortura, la detenzione in isolamento per lunghi periodi di tempo e la sparizione forzata per periodi anche di sette mesi, dimostrando in questo modo un disprezzo assolutamente vergognoso per i diritti dei minori”, denunciaNajia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International. “Risulta particolarmente oltraggioso il fatto che l’Egitto, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, violi così clamorosamente i diritti dei minori”, sottolinea Bounaim.
Minorenni sono stati inoltre processati in modo iniquo, talvolta in corte marziale, interrogati in assenza di avvocati e tutori legali e incriminati sulla base di “confessioni” estorte con la tortura dopo aver passato fino a quattro anni in detenzione preventiva. Almeno tre minorenni sono stati condannati a morte al termine di processi irregolari di massa: due condanne sono state poi commutate, la terza è sotto appello.
Sulla base del diritto internazionale, il carcere dev’essere solo l’ultima opzione per i minorenni. Sia la legge egiziana che le norme internazionali prevedono che i minorenni debbano essere processati da tribunali minorili. Tuttavia, in Egitto ragazzi dai 15 anni in su vengono processati insieme agli adulti, a volte persino in corte marziale e nei tribunali per la sicurezza dello Stato.Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza. Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite. La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica. La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive conclude Bounaim.
Una lettura consigliata
E’ il report di Amnesty International: “Nonostante abbiano lanciato, un anno fa, la Strategia nazionale sui diritti umani (Sndu), le autorità egiziane non stanno mostrando alcuna sincera intenzione di riconoscere, né tanto meno di affrontare, la profonda crisi dei diritti umani nel paese. Al contrario, continuano a reprimere le libertà e a commettere crimini di diritto internazionale.
Sono queste le conclusioni del rapporto “Sconnessa dalla realtà: la Strategia nazionale sui diritti umani dell’Egitto nasconde la crisi dei diritti umani”, pubblicato oggi da Amnesty International. Il rapporto contiene un’approfondita analisi, confrontata con la realtà concreta dei diritti umani, della Sndu, che le autorità egiziane usano come strumento di propaganda per nascondere una repressione, persino in aumento, di ogni forma di dissenso
“La comunità internazionale non deve farsi ingannare dal tentativo dell’Egitto di cancellare l’enormità della crisi dei diritti umani nel paese. Invece, deve mettere pressione sulle autorità egiziane, tanto in forma pubblica quanto in forma privata, affinché assumano iniziative concrete per porre termine al ciclo di violazioni e di impunità, a partire dalla scarcerazione delle migliaia di oppositori e dissidenti arbitrariamente detenuti, dall’allentamento della morsa sulla società civile e dall’autorizzazione allo svolgimento di proteste pacifiche”, ha ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Il rapporto di Amnesty International si basa su un’ampia documentazione del sistema di violazioni dei diritti umani commesse in Egitto da quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha assunto il potere, così come su informazioni raccolte a partire dal lancio della Sndu attraverso una serie di fonti, tra cui vittime, testimoni, difensori dei diritti umani e avvocati.
Ai fini della sua ricerca, Amnesty International ha anche analizzato documenti ufficiali, prove audiovisive e rapporti di organismi delle Nazioni Unite per poi trasmettere le sue conclusioni e le sue raccomandazioni, il 7 settembre, alle autorità egiziane.
Un quadro fuorviante
Dal lancio della Sndu, le autorità egiziane l’hanno ripetutamente menzionata, in occasioni pubbliche e in incontri privati con altri governi come la prova del loro impegno in favore dei diritti umani.
La strategia, della durata di cinque anni, è stata redatta dal governo senza aver consultato in alcun modo organizzazioni indipendenti per i diritti umani o settori di opinione pubblica e presenta un quadro profondamente fuorviante della situazione dei diritti umani in Egitto. Assolve le autorità da ogni responsabilità, attribuendo colpe alle minacce alla sicurezza, alle sfide di natura economica e addirittura agli stessi cittadini che “non hanno compreso” e non hanno esercitato i loro diritti.
La Sndu plaude al quadro costituzionale e giuridico, ignorando del tutto l’introduzione e l’applicazione di una serie di leggi repressive che hanno criminalizzato o gravemente limitato l’esercizio dei diritti alle libertà di espressione, associazione e protesta pacifica. Queste leggi hanno ulteriormente eroso le garanzie di un giusto processo e hanno rafforzato l’impunità per le forze di sicurezza e per l’esercito.
Il documento, inoltre, ignora la catastrofica situazione dei diritti umani a partire dal luglio 2013 con la repressione del dissenso e con migliaia di persone ancora arbitrariamente condannate o ingiustamente sotto processo. Solo negli ultimi due anni, decine di prigionieri sono morti in carcere a seguito del voluto diniego delle cure mediche e per le condizioni detentive crudeli e inumane.
Dal 2013 le autorità egiziane hanno censurato centinaia di portali, fatto irruzione nelle redazioni di organi di stampa indipendenti per poi ordinarne la chiusura e arrestato decine di giornalisti per aver espresso critiche o semplicemente per aver fatto il loro lavoro.
“Il presidente al-Sisi deve riconoscere la gravità della crisi dei diritti umani di cui il suo governo è responsabile e prendere provvedimenti per porvi fine. Data la dimensione di questa crisi, così come di quella dell’impunità, e considerata la mancanza della volontà politica per invertire la rotta, chiediamo alla comunità internazionale di sostenere la richiesta che il Consiglio Onu dei diritti umani istituisca un meccanismo che monitori e riferisca sulla situazione dei diritti umani in Egitto”, ha concluso Callamard.
Di queste sollecitazioni il “faraone” al-Sisi ha fatto carta straccia.
Cavandosela con una “grazia”.
PS. Naturalmente di tutto questo la stampa mainstream non farà il minimo cenno. Oggi c’è da celebrare il “trionfo” di Giorgia Meloni nella Conferenza di Roma, con il suo “Piano Mattei” per l’Africa. Globalist non si unisce al coro. A noi basta la stretta di mano, tra sorrisi e plausi, all’apertura dei lavori, tra la presidente del Consiglio e l’autocrate razzista di Tunisi: il presidente Kais Saied.
La premier italiana ha magnificato il “memorandum Europa-Tunisia” come modello virtuoso da replicare. Un memorandum che non fa alcun riferimento al rispetto dei diritti umani, calpestati sistematicamente dal regime di Saied. Nessun vincolo umanitario. Per l’Europa ostaggio dei securisti l’unica cosa che conta è l’esternalizzazione delle frontiere. E per praticare questo obiettivo assoluto, ben vengano le intese con gli autocrati che sulla sponda sud del Mediterraneo hanno coartato, represso, brutalizzato ogni istanza di libertà. Che hanno riempito le patrie galere di decine di migliaia di oppositori. In Tunisia, come in Egitto o in uno Stato fallito come la Libia.
Presidente Meloni, ma quando ha stretto la mano al presidente razzista tunisino, quando ha magnificato l’accordo raggiunto, aveva già rimosso l’immagine scioccante dei corpi senza vita di una madre e di sua figlia morte abbracciate nel deserto ai confine tra Libia e Tunisia? Dietro quelle morti c’è la politica criminale di Saied, la caccia ai migranti neri scatenata a Sfax e non solo. Lei ha plaudito, di fatto, a questa politica criminale.
Si vergogni. Una vergogna da condividere con i servizi televisivi da Istituto Luce dedicati alla Conferenza.