Iran le "ronde del velo" tornano in azione ma la rivolta non si arrende

Le “ronde del velo” tornano in strada. Il regime teocratico-militare non smentisce se stesso. Continua la repressione in Iran contro le donne che non indossano il velo.

Iran le "ronde del velo" tornano in azione  ma la rivolta non si arrende
Repressione in Iran
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Luglio 2023 - 19.22


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Le “ronde del velo” tornano in strada. Il regime teocratico-militare non smentisce se stesso. Continua la repressione in Iran contro le donne che non indossano il velo. Le pattuglie della polizia morale sono tornate infatti a controllare le strade delle città per punire le donne che non osservano l’obbligo di indossare l’hijab. Lo ha annunciato il portavoce della polizia Saeed Montazermahdi, spiegando che “coloro che non rispettano le regole saranno affrontati e perseguiti dalla magistratura”.

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Le pattuglie, istituite dopo la Rivoluzione islamica del 1979, sono scomparse dalle strade dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne deceduta mentre si trovava in custodia della polizia dopo il suo arresto a settembre 2022. La morte ha scatenato proteste a livello nazionale in Iran. “Coloro che non rispettano le regole saranno affrontati e perseguiti dalla magistratura”, ha aggiunto Montazermahdi.

Boia di Stato

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Secondo informazioni ottenute da Iran human rights (Ihr), due donne sono state messe a morte nella prigione centrale di Isfahan il 9 luglio. Sono state identificate come Farzieh Shokrollahi e Monireh Sayadat, 32 anni, entrambe condannate per omicidio.


Una fonte ha detto a Ihr: “Monireh Sayadat era una sarta prima dell’arresto ed era stata arrestata 3 anni fa per l’omicidio di suo marito. Inizialmente si era nascosta da parenti, e si era costituita dopo 5 mesi. Monireh era innamorata di suo cugino ma entrambe le loro famiglie erano contrarie al loro matrimonio. Hanno costretto Monireh a sposare un altro uomo, e l’omicidio era avvenuto durante una discussione verbale. Farzieh Shokrollahi era in prigione da circa cinque anni”.


Al momento in cui scriviamo, le esecuzioni delle due donne non sono state riportate dai media in Iran.
L’Iran è il più grande carnefice di donne. Nel 2022 sono state giustiziate almeno 16 donne. Monireh e Farzieh sono l’ottava e la nona donna ad essere giustiziata nel 2023. Nel 66% dei casi di omicidio noti, le donne erano state condannate per aver ucciso il marito o il partner. All’interno del matrimonio, una donna non ha diritto al divorzio, anche nei casi di violenza e abuso domestico, che sono nascosti nei codici culturali e nel linguaggio.
Con le ultime esecuzioni, sono almeno 215 le donne impiccate in Iran dal 2007.

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Una rivoluzione inclusiva

Così la racconta Nicoletta Labarile su Il Sole24Ore: “Potente, inclusiva e trasversale: la rivoluzione in Iran non si arresta e a portarla avanti sono proprio le donne. In una scuola di Teheran alcune studentesse hanno filmato il momento in cui distruggono un’immagine della “guida suprema dell’Iran” Khamenei saltandoci sopra una alla volta, prima di strapparla e ridurla in pezzi. Alla fine del video cantano: «Non abbiate paura, restiamo unite. Donna, vita, libertà».

Un’immagine che racconta come le donne iraniane si stiano battendo contro la gestione patriarcale del loro corpo e degli spazi pubblici: non chiedono solo l’abolizione dell’obbligatorietà dell’hijab. Ma un diverso sistema di governo. Le manifestazioni si sono acuite dopo l’omicidio di Mahsa Amini, eppure è da almeno quarant’anni che le donne iraniane sfidano le autorità e i loro apparati – come la polizia morale – lasciando scoperti diversi centimetri di capelli. Un gesto che rivendica la storia: «Dopo quarantaquattro anni di repressione le ragazze ereditano questa forte indole alla rivoluzione dai propri genitori e nonni che, prima di loro, hanno combattuto per la libertà» afferma Pegah Moshir Pour, consulente e attivista dei diritti umani e digitali in prima linea nella divulgazione per i diritti delle donne iraniane.

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Dalla rivoluzione culturale attuata nel ’79 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini le donne hanno visto i loro diritti assottigliarsi sempre di più. Adesso le giovani iraniane sono decise a invertire la rotta mettendo a disposizione le loro competenze coinvolgendo diverse fasce della popolazione e canalizzando le ingiustizie subite: «Le donne in Iran sono altamente qualificate e specializzate: il 97% è alfabetizzato, di queste il 66% sono laureate e il 70% in materie Stem» chiosa Moshir Pour.

In questa rivoluzione non sono sole. «Il punto di forza della rivoluzione in atto è l’unione» dichiara l’artista iraniana Fariba Karimi, che aggiunge: «I giovani uomini combattono a fianco delle donne che non si sono mai accontentate o arrese: la normalità è un diritto».

A guidare le rivendicazioni sono le stesse generazioni su cui il governo ha investito per consolidare i suoi principi: «In Iran vige una dualità tra vita pubblica e privata: il 70% della popolazione iraniana è sotto i trent’anni e rivendica con forza il diritto di vivere come gli altri ragazzi e ragazze del mondo: avere la libertà di poter festeggiare un compleanno, viaggiare con chi si ama, passeggiare mano nella mano senza paura di essere fermati e identificati. Fino ad arrivare alla possibilità di entrare nel mondo della politica e del lavoro, per avere quella giustizia economica che un Paese de

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Le ragazze non hanno paura e puntano sulla loro istruzione per emanciparsi: «Laurearsi in ingegneria informatica vuol dire essere autonome nel web. Diventare delle matematiche permette di accedere a numerose borse di studio all’estero e poter lasciare il paese» spiega l’attivista, per la quale la strada verso la libertà ha un obiettivo preciso: «La repubblica democratica. Quella che esiste adesso, invece, è una teocrazia sotto falso nome».

Un ribaltamento radicale che aggira i tentativi di censura: di fronte alla difficoltà di documentare quello che accade, lo user generated content – i contenuti creati dagli utenti e postati nei canali online – diventa uno dei pochi veicoli di informazione. «Le ragazze iraniane sono istruite e grazie ai canali digitali stanno dando visibilità a quello che sta accadendo con i loro cellulari riprendono coraggiosamente le proteste, le reazioni violente del regime e denunciano ciò che stanno vivendo» dichiara Darya Majidi, imprenditrice e presidente dell’associazione Donne 4.0 , che prosegue: «I giovani chiedono i diritti basilari e negati: libertà di pensiero, di espressione, di avere un lavoro dignitoso, di vestirsi liberamente, di cantare e amare. Dobbiamo essere la loro voce e agire concretamente per arrivare a una nazione libera ed equa». La responsabilità è collettiva: «Non bastano le condanne verbali, la comunità internazionale deve rispettare la volontà del popolo iraniano che desidera il rovesciamento del regime» specifica l’artista Karimi , che conclude: «L’arte esprime il mondo in cui si è e quello che si sogna: nella mia i corpi delle donne si fanno spazio e sono gli stessi che stanno combattendo per un mondo libero». Non smettere di parlarne e «chiedere ai referenti politici decisioni nette – come indica Moshir Pour – è quello che possiamo fare per dare luce e voce a una battaglia che ci riguarda».

Un movimento carsico

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A darne conto è Luciana Borsatti, autrice di Iran. Il tempo delle donne (Castelvecchi Editore) , in un documentato report su Valigia Blu di giugno: “Che succede in Iran, a ormai nove mesi dalla nascita del movimento Donna Vita Libertà? È tutto rientrato o la rivolta continua? Basta guardare un sito di opposizione come Iranwire, basato a Londra e fondato dal  giornalista irano-canadese Maziar Bahari, per rendersi conto che le cronache delle manifestazioni e dei gesti di sfida della Generazione Z iraniana hanno per lo più ceduto il passo a nuove e tristi storie di repressione. Repressione più larvata magari, rispetto alle tante uccisioni (oltre 500, secondo i siti di opposizione) con cui le forze dell’ordine e soprattutto i basiji, miliziani volontari dei Sepah-e pasdaran-e Enghelab-e Eslami (i Guardiani della rivoluzione)hanno risposto ai manifestanti: arrestandone a migliaia e ferendone molti, anche volutamente agli occhi per accecare. E meno clamorosamente inscenata, anche, dopo che per presunti reati strettamente legati alle proteste, sono finiti sul patibolo sette manifestanti finora, e speriamo che altri non se ne aggiungano – anche se nuove condanne a morte già sono state emesse. 

Iranwire ci racconta per esempio, dell’arresto del padre, della sorella e dello zio di un adolescente, Abolfazl Adinezadeh, ucciso in ottobre nella provincia del Khorasan: vediamo la foto della madre seduta vicino alla tomba del ragazzo, su cui poggia una raccolta di foto che lo mostrano pieno di vita, e anche una scarpa sportiva di marca, nuova fiammante. È così che si consuma il lutto per le tante giovani vite perse, mentre le autorità continuano ad arrestare non solo chi ha partecipato alla rivolta, ma anche le famiglie che non accettano di tacere, magari alla vigilia di anniversari che potrebbero innescare nuove proteste. Sono dunque anche i familiari delle vittime a essere ancora bersagliati, come i parenti del piccolo e geniale Kian Pirfalak, ucciso mentre era in macchina con i genitori a Izeh, il 15 novembre: la sua morte ha lasciato uno dei segni più dolorosi tra attivisti e simpatizzanti delle proteste, e il suo compleanno è stato celebrato l’11 giugno in tutto il mondo, e non solo in Iran. Dove però un parente del bambino è stato ucciso dalle forze dell’ordine, mentre la madre è stata definita dai media ufficiali “sediziosa”.

Eppure, se la repressione continua, la protesta non si è spenta. Scende meno nelle strade ma si esprime come disobbedienza civile: ancora una volta con le donne in prima linea, ancora una volta contro l’obbligo del velo, divenuto il simbolo non solo dei diritti negati alle donne  – e in Iran vanno ben oltre questo pezzo di stoffa, passando per il valore dimezzato rispetto agli uomini delle eredità, delle testimonianza in tribunale e dei risarcimenti (il “prezzo del sangue”) in caso di morte –, ma anche dell’istanza di un cambiamento radicale diffusa in modo trasversale in tutti gli strati sociali. E in particolare tra i poveri precipitati in questi anni in una ancora peggiore povertà, e nelle classi medie,  che hanno smesso da tempo di essere tali, vedendo il proprio potere d’acquisto eroso oltre ogni previsione da tassi di inflazione che hanno toccato anche il 40-50%. E questo mentre le oligarchie economiche, politiche, clericali e militari al potere hanno continuato ad arricchirsi, paradossalmente anche grazie alle sanzioni re-imposte nel 2018 dagli USA, dopo la loro uscita unilaterale dall’accordo sul nucleare iraniano di tre anni prima.  

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Le donne, dunque, continuano a ignorare le norme sempre più stringenti sull’obbligo del velo, almeno in molte zone urbane, mostrandosi in pubblico con i capelli scoperti e sfidando la possibilità di essere riconosciute dalle telecamere di sorveglianza, di incorrere in procedimenti giudiziari, di far confiscare la vettura a chi le accompagna, di veder sequestrare i locali commerciali che le servono comunque. Come se la #IranRevolution fosse solo temporaneamente sospesa, ma penetrasse sempre più a fondo nel sociale e nei comportamenti quotidiani, sollecitando tutti a cambiare – a cominciare da quegli uomini che proprio grazie al movimento Donna Vita Libertà sembra abbiano finalmente cominciato anche loro stessi a mettere in discussione le gerarchie di genere di una società rimasta finora, anche tra i ceti medi urbani e non solo nelle comunità rurali e meno acculturate, profondamente tradizionale…”.

Una rivoluzione che si allarga anche socialmente e si estende dalle città al profondo Iran. Ed è questo che più spaventa il regime.  

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