Migranti, non si muore di solo mare: un grande reportage di Nello Scavo
Top

Migranti, non si muore di solo mare: un grande reportage di Nello Scavo

Non si muore di solo mare. Si viene uccisi a terra, specialmente in Libia, dove la missione Onu a Tripoli ha denunciato nuovamente la commistione criminale tra autorità e trafficanti, spesso rendendo indistinguibili gli uni dagli altri.

Migranti, non si muore di solo mare: un grande reportage di Nello Scavo
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Luglio 2023 - 09.53


ATF

Un grande reportage, che emoziona e fa pensare. Che racconta e documenta verità scomode e smonta narrazioni di comodo che escono dai palazzi del potere. 

Non si muore di solo mare

A scriverlo è Nello Scavo, inviato a Lampedusa di Avvenire.

Scrive Scavo: “A Lampedusa è il mare a raccontare cosa succede dall’altra parte. Quel mare che porta barche a pezzi, vite aggrappate, e altre perdute senza che se ne saprà mai nulla. Cambiano i nomi e le latitudini, ma la storia si ripete uguale. Sulle Pelagie, sulle Canarie, nell’Egeo. Nel 2023 sono già 1.875 le persone morte o disperse nel Mediterraneo, più di 300 sulle altre rotte africane. Come quella dal Senegal a Tenerife, dove diverse squadre di soccorso spagnole cercano tre caicchi con a bordo almeno 300 migranti. Uno è stato avvistato da un velivolo nel pomeriggio di ieri. Vagava alla deriva dal 27 giugno. Non si sa quanti siano ancora vivi. Un quarto caicco, di cui nessuno sapeva, è sbucato davanti a Gran Canaria con 85 persone. 

Non si muore di solo mare. Si viene uccisi a terra, specialmente in Libia, dove la missione Onu a Tripoli ha denunciato nuovamente la commistione criminale tra autorità e trafficanti, spesso rendendo indistinguibili gli uni dagli altri.

Sulla rotta africana occidentale il gruppo umanitario “Walking Borders” afferma che il 27 giugno tre barconi hanno lasciato Kafountine, una città costiera nel sud del Senegal a circa 1.700 km da Tenerife, sei volte la distanza tra Tripoli e Lampedusa. Il servizio di soccorso marittimo spagnolo ha confermato che un pattugliatore aereo si è unito alle ricerche e che è stato avvistato un barcone a 71 miglia nautiche a sud di Gran Canaria. A bordo, secondo una prima stima, potrebbero esserci 200 persone, ma non si sa in che condizioni si trovino né che fino abbiano fatto altri due barchini con 125 persone. Dalle coste dell’Africa occidentale partono soprattutto migranti e profughi dal Marocco, dal Mali, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio e da altre regioni subsahariane. L’anno scorso almeno 559 migranti sono morti in mare nel tentativo di raggiungere le isole spagnole, afferma l’Organizzazione Onu per le migrazioni (Oim). Nel 2021 le vittime accertate erano state 1.126. Tuttavia l’Oim ribadisce che le informazioni sul numero di partenze dall’Africa occidentale sono scarse e i naufragi spesso non vengono segnalati. […]. Vista dal Molo Favaloro, la Libia non è mai stata un mistero. La verità la conoscono tutti: «Nelle acque internazionali non possiamo più pescare – si lamenta Filippo, che sul molo scioglie i nodi delle reti -. Le motovedette che gli regaliamo a quelli di Tripoli poi le usano contro di noi». Domenica uno di quei pattugliatori libici “Made in Italy” ha letteralmente sparato contro la Croce rossa. I guardacoste hanno premuto il grilletto in direzione dei gommoni di “Sos Mediterranee” con l’equipaggio della Federazione internazionale della Croce rossa che stava soccorrendo un barcone di profughi. Nessun ferito, ma niente di nuovo. Cosa facciano le cosiddette guardie costiere libiche per le agenzie delle Nazioni Unite è fin troppo chiaro. Il rapporto annuale dell’Unsmil, la missione Onu a Tripoli, punta il dito sia contro le operazioni di intercettazione in mare dei migranti, sia sulle fasi successive. La filiera degli abusi, infatti, continua a tenere insieme gli uomini con la divisa e gli affiliati senza mostrine. «Durante queste operazioni e al momento dello sbarco in Libia – si legge -, i migranti e i rifugiati hanno continuato ad affrontare gravi problemi di diritti umani e protezione». L’elenco è noto: «Detenzione arbitraria in condizioni disumane con assistenza umanitaria limitata e alto rischio di tortura, lavoro forzato, estorsione, violenza sessuale e traffico di esseri umani» che viene perpetrato da una rete composta da «gruppi armati, contrabbandieri transnazionali e attori statali».

Il sostegno pressoché incondizionato di Paesi come l’Italia non viene subordinato al potenziamento dei diritti umani e neanche delle libertà civili. Pochi giorni fa l’inviato delle Nazioni Unite a Tripoli ha denunciato davanti al consiglio di sicurezza Onu che “l’Agenzia per la sicurezza interna ha introdotto una nuova procedura che limita la libertà di movimento delle donne, richiedendo a quante partono da sole dagli aeroporti libici della regione occidentale di compilare un modulo sulle ragioni del viaggio all’estero senza un accompagnatore maschile”.

La conferma che «per quanto riguarda la situazione dei diritti umani, i diritti e le libertà fondamentali si sono erosi», insiste l’Unsmil. E se le cose non vanno bene per i libici, figurarsi per gli stranieri, che subiscono «le diffuse violazioni e gli abusi, con i gruppi armati che operano al di là del campo di applicazione della legge e commettono violazioni impunemente, tra cui arresti e detenzioni arbitrarie su larga scala, uccisioni illegali, sparizioni forzate, uso eccessivo della forza contro manifestanti pacifici, violazioni contro i migranti e i rifugiati, tra cui il traffico di esseri umani e il lavoro forzato». Un inferno che le foto opportunity della politica non riescono a cancellare. 

Nel paese è stimata la presenza di circa 700 mila migranti (a dicembre erano 694.398) in maggioranza provenienti da Niger, Egitto, Sudan, Ciad e Nigeria e nel 2022 nonostante l’aumento delle partenze e la continua fornitura di motovedette ed equipaggiamento alle milizie del mare “il numero di migranti e rifugiati intercettati nel Mediterraneo e rimpatriati dalle autorità libiche è diminuito da 30.990 persone nel 2021 a 24.788 nel 2022 con 263 operazioni di intercettazione”. 

Promesse in Libia e miraggi a Lampedusa. Ieri è stato il governatore Renato Schifani a rassicurare il sindaco Filippo Mannino, che chiede fondi per la raccolta dei rifiuti, la rimozione degli scafi abbandonati e i costi della sepoltura per le vittime ignote del mare. 

Come ogni estate in via Roma, tra apericena dai nomi esotici e la vista sul placido porto, si ripete la litania di chi sostiene che a causa degli sbarchi il turismo ne esce a pezzi. Ma anche quest’anno i voli per Lampedusa sono sold-out. Trovare un posto in aereo è un’impresa e scovare una camera richiede buone conoscenze sul posto, assai più efficaci dei migliori motori di ricerca. Anche perché il confine tra operatori registrati e l’anarchia dei posti letto messi a disposizione con il passaparola è un segreto di pulcinella che sta irritando quei lampedusani che vorrebbero vedere in giro meno guardia di finanza.

Non tutti però la pensano come Enzo. E c’è chi ad ogni rombo di aereo in arrivo sulla vicina pista, esclama: «Arrivano i pìccioli». Già, perché i turisti sono fiumi di soldi, quei “pìccioli” con cui riempire le tasche, le spiagge, e i prezzi che corrono più veloci dei voli low cost. 

Anche Pietro Bartolo, ora europarlamentare e già medico di “Fuocammare”, della stagione di Lampedusa da Oscar e da Nobel, si guarda sconsolato. Qualcosa nella magia dell’isola incontaminata e dei diritti umani prima di tutto, si sta spezzando. E se i giornalisti non sempre sono visti di buon occhio («state rovinando l’immagine di Lampedusa e danneggiate il turismo», ci rinfacciano dalla gastronomia dove si fa la coda come alle poste e i lavapiatti non riescono a star dietro all’ininterrotto viavai di clienti. 

A poca distanza un anziano che non ha più la forza per stare in barca a pescare, arrotonda la misera pensione vendendo capperi all’angolo della strada. Dice di lasciar perdere con quei discorsi, che la gente di terra «oramai è confusa come quelli che prendono il mare senza una bussola». E non serve cercare spiegazioni remote a questo naufragio: «Perché tra uomini e pìccioli, vincono sempre “gli uomini coi pìccioli” e a Lampedusa ora ci crediamo che i soldi e il futuro arrivano con l’aereoplano e non più da tutto quello che ci porta il nostro mare». 

Un dato preoccupante

“Le partenze della Libia orientale sono aumentate del 600% quest’anno.

La Libia rimane una situazione molto complicata, come dimostrano i fatti recenti”. Lo ha detto la commissaria Ue agli Affari Interni, Ylva Johansson, intervenendo in Plenaria al Pe nel dibattito sulle attività Sar.

“Faccio un appello affinché si arrivi a conclusione” sul nuovo patto sui migranti, ha sottolineato la commissaria. In Aula è in discussione la mozione per una missione di ricerca e soccorso europea, che per Johansson va comunque accompagnata dalla lotta ai trafficanti.

La guardia costiera libica deve portare avanti le proprie mansioni nel pieno rispetto del diritto internazionale. Ogni azione di violenza è inaccettabile. Il primo obiettivo deve essere salvare vite. L’Ue fa quanto è in suo potere per aiutare i Paesi membri nelle attività Sar. Nel patto abbiamo proposto misure di solidarietà proprio nella ricerca e nel soccorso”, ha detto Johansson. 

I disperati al confine

 Diverse centinaia di migranti, abbandonati in una zona desertica al confine tra Tunisia e Libia dopo essere stati evacuati dalla città di Sfax la scorsa settimana, sono stati trasferiti ieri in diverse città nel sud della Tunisia, ma le Ong temono per la sorte di decine di altri respinti verso il confine algerino.

E’ quanto riferisce l’Afp che cita Salsabil Chellali, direttore di Human Rights Watch (Hrw) in Tunisia: “Tutti i 500-700 migranti che erano al confine con la Libia sono stati trasferiti altrove”. Chellali ha denunciato le parole del presidente Kais Saied che ha parlato di “menzogne diffuse sui social network”, e affermato che i migranti in Tunisia hanno invece ricevuto “un trattamento umano conforme ai nostri valori, contrariamente a quanto si dice negli ambienti coloniali e tra gli agenti che lavorano al loro servizio”, come scritto in una nota della presidenza. 
A seguito di scontri tra migranti e residenti costati la vita a un tunisino, decine di migranti subsahariani sono stati cacciati da Sfax, divenuto il principale punto di partenza dell’immigrazione irregolare verso l’Europa, e condotti dalle autorità, secondo le Ong, verso inospitali zone di confine con Libia e Algeria, ricorda l’Afp. Coloro che sono stati prelevati dalle autorità tunisine al confine libico, nella zona cuscinetto militarizzata di Ras Jedir, sono stati divisi in diversi gruppi, secondo Ong e media. “Un gruppo è a Medenine, a livello di un liceo sorvegliato dalle forze di sicurezza”, ha detto il capo di Hrw. Un corrispondente dell’Afp ha visto arrivare un altro contingente a Ben Guerdane, anch’esso ospitato lì in una scuola superiore sotto il controllo delle forze di sicurezza. Una dozzina di migranti esausti e disidratati hanno dovuto essere ricoverati in questa città, e altri sono stati portati in pullman a Tataouine e Gabès, secondo quanto riferito dai media. 


L’associazione tunisina Beity per l’assistenza alle donne vittime di violenza aveva lanciato lunedì un appello urgente ad altre Ong e istituzioni pubbliche perché “coordinino e mettano in comune le risorse” per fornire aiuti d’urgenza ai migranti subsahariani “deportati alle porte del Sahara”. Per Chellali “è un sollievo sapere che sono riusciti a lasciare la zona di confine con la Libia ma molte altre persone deportate vicino al confine algerino rischiano la vita se non vengono soccorse immediatamente”. Secondo Hrw, sarebbero almeno da 150 a 200 in questa situazione. “Per favore aiutateci, se potete mandare qui la Croce Rossa, aiutateci altrimenti moriremo, qui non c’è niente, non c’è cibo, non c’è acqua”, ha testimoniato telefonicamente Mamadou, un guineano, all’Afp. Secondo lui, sono una trentina abbandonati al loro destino in una zona desertica vicino al villaggio algerino di Douar El Ma, vicino al confine tunisino. 

In un comunicato l’organizzazione di aiuto ai rifugiati Refugees International ha denunciato “gli arresti violenti e le espulsioni forzate di centinaia di migranti neri africani” a Sfax, sottolineando che alcuni erano comunque “registrati presso l’Alto Commissariato per i rifugiati o hanno legalmente stato in Tunisia”. L’Organizzazione Mondiale contro la Tortura in Tunisia (Omct) da parte sua ha annunciato di aver avvisato il Comitato Onu contro la Tortura per denunciare il caso specifico di “Vf, migrante di origine sub-sahariana deportato al confine tra Tunisia e Libia il 2 luglio” dopo essere stato arrestato senza motivo e “picchiato con una sbarra di ferro nei posti di sicurezza” a Ben Guerdane, al confine con la Libia. Questi maltrattamenti e la privazione di acqua e cibo per “più di 700 migranti” trattenuti nella zona cuscinetto “consapevolmente imposti da agenti statali a Vf e ad altri migranti a causa della loro origine razziale per costringerli a lasciare il territorio costituiscono tortura”, ha aggiunto l’Omct.  Un discorso sempre più apertamente xenofobo nei confronti di questi migranti si è diffuso da quando il presidente Saied ha condannato a febbraio l’immigrazione clandestina, presentandola come una minaccia demografica per il suo Paese, afflitto da una crisi socio-economica che si è aggravata da quando ha assunto il pieno potere nel luglio 2021. 

Native

Articoli correlati