Migranti, una nuova rotta della morte: la rotta yemenita.
Il confine tra Arabia Saudita e Yemen è un punto di transito per le persone che tentano la traversata dal Corno d’Africa verso l’Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo. Al di là del confine però sono accolti dalla rete di trafficanti senza scrupoli che li “aiutano” a viaggiare lungo quel percorso, lasciandoli spesso in mezzo al mare o sulle frontiere, esposti alle violenze di chiunque.
Le uccisioni lungo il confine
Recenti rapporti di organizzazioni internazionali ci ricordano come lungo la linea di confine tra Yemen e Arabia Saudita ci siano stati (e ci sono ancora) uccisioni deliberate di centinaia di migranti da parte delle forze di sicurezza saudite. All’inizio di ottobre 2022, diversi relatori speciali e gruppi di lavoro delle Nazioni Unite hanno pubblicato note per segnalare bombardamenti d’artiglieria transfrontaliera e fuoco di armi leggere da parte delle forze di sicurezza saudite. Il bilancio è stato di 430 morti e 650 migranti feriti, compresi rifugiati e richiedenti asilo, nel governatorato di Sa’dah, Yemen, e nella provincia di Jizan, Arabia Saudita.
Nel mirino dei cecchini
I migranti che riescono ad attraversare il Golfo di Aden e tentano di superare il confine yemenita-saudita provengono principalmente dall’Etiopia e sono sistematicamente presi di mira dai funzionari della sicurezza saudita. Un nuovo rapporto dell’organizzazione Mixed Migration Center (Mmc), una rete internazionale che svolge ricerche e analisi sulla migrazione, mostra che la situazione è sempre più critica.
I rischi della “Rotta Orientale”
A metà del 2023, più di 77 mila migranti hanno attraversato il Golfo di Aden verso lo Yemen, superando le cifre dello scorso anno e avvicinandosi ai livelli pre-pandemia. Con l’aumento degli arrivi, crescono anche i pericoli legati alla “Rotta Orientale”, segnata da violazioni e abusi di ogni sorta, torture e tratta di esseri umani.
Il viaggio
La maggior parte delle persone in movimento che arrivano nello Yemen partono dal Corno d’Africa, dove in questo momento persiste una grave crisi alimentare, caratterizzata dalla scarsità di cibo a disposizione della popolazione e da un generale aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. I migranti sperano solo di raggiungere i ricchissimi (e ostili) Paesi del Golfo per trovare lavoro, ma spesso cadono nella fitta rete dei trafficanti.
Gli abusi
Lungo questa rotta la violenza spesso brutale e lo sfruttamento sono la regola, non l’eccezione e i responsabili di questi veri e propri reati contro le persone restano impuniti. Sempre. Oggi l’insicurezza politica e sociale che si vive nello Yemen, oltre ad un numero imprecisato (ma comunque cospicuo) di arresti arbitrari dei migranti, hanno lasciato circa 43 mila persone bloccate in tutto il Paese.
Persone invisibili che vogliono tornare a casa
Eppure, nonostante l’aumento del numero di migranti che entrano nello Yemen e la gravità degli abusi che subiscono, le persone in movimento continuano a essere in gran parte invisibili”, dice Matt Huber, capo della missione yemenita dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Oggi per evitare di subire trattamenti inumani, il ritorno umanitario volontario è l’unico percorso sicuro per i migranti bloccati nello Yemen. Quest’anno l’Oim ha aiutato 5.631 persone, tra cui 5.572 etiopi, a tornare a casa con voli umanitari volontari, un aumento considerevole rispetto agli anni precedenti. I centri dell’Oim a Sana’a, Marib e Aden vengono contattati quotidianamente dai migranti che chiedono aiuto per tornare a casa.
Le richieste di rimpatrio e le risposte
A giugno le équipes dell’Oim hanno registrato migliaia di migranti che hanno chiesto assistenza per tornare nel loro Paese d’origine. Queste registrazioni ora sono state temporaneamente sospese, poiché il numero delle richieste supera di gran lunga le risorse attualmente disponibili per organizzare i voli. L’assistenza prestata dall’organizzazione raggiunge migliaia di migranti ogni mese, offrendo protezione e sollievo a coloro che sono sopravvissuti ad abusi e violazioni gravi e diffusi in tutto il paese, compresa la violenza mirata al confine settentrionale dello Yemen, come riportato di recente dal Missing Migrant Project dell’Oim. Anche gli ospedali di Sa’dah e Ma’rib si affidano all’Oim per attrezzature, forniture e sostegno per gli stipendi in modo da poter assistere i migranti, le comunità ospitanti e gli sfollati. Le squadre sanitarie e di protezione supportano anche i migranti in movimento attraverso cliniche ambulanti, per garantire comunque cure mediche, acqua e generi di prima necessità in aree altrimenti difficili da raggiungere.
Per non dimenticare
Una dichiarazione congiunta di 32 organizzazioni della società civile, a otto anni dall’inizio del sanguinoso conflitto in Yemen
Otto anni fa, il 26 marzo 2015, la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita ha lanciato la campagna aerea “Decisive Storm” intensificando il conflitto in Yemen e, con esso, le sofferenze della popolazione civile. In occasione dell’imminente anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti, i firmatari di questa dichiarazione rinnovano l’appello a ritenere gli attori statali e le aziende militari europee responsabili del proprio coinvolgimento in possibili crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Le nostre organizzazioni chiedono che :
- Le indagini sulla responsabilità penale delle autorità europee e delle aziende produttrici di armi siano condotte sia a livello nazionale che a livello internazionale, dalla Corte penale internazionale (Cpi)
- Le esportazioni di armi e il sostegno militare all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, che continuano tuttora, vengano immediatamente interrotti
- Le procedure di autorizzazione e le licenze di esportazione siano riviste anche retroattivamente, poiché non si deve permettere che le licenze di esportazione funzionino come autorizzazioni per continuare impunemente violazioni dei diritti umani
La comunità internazionale deve infine intervenire con decisione per prevenire ulteriori violazioni e perseguire gli attori che hanno commesso o contribuito a potenziali crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per quanto riguarda tutte le parti in conflitto accusate di violazioni dei diritti umani le Nazioni Unite devono istituire un meccanismo internazionale di responsabilità penale il cui mandato includa l’investigazione delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale e la presentazione di rapporti pubblici sulla situazione dei diritti umani in Yemen, nonché la raccolta, la conservazione e l’analisi delle prove e la creazione di fascicoli per una futura possibile azione penale.
Poiché i negoziati per la continuazione del cessate il fuoco, durato quasi un anno, sono falliti nell’ottobre del 2022, la spirale di violenza potrebbe intensificarsi di nuovo in qualsiasi momento, peggiorando ulteriormente la situazione già disastrosa per i civili.
Ad oggi, il conflitto ha già provocato oltre 300.000 vittime e più di quattro milioni di sfollati. Più di 23 milioni di yemeniti dipendono dagli aiuti umanitari, ma l’accesso a questi aiuti, così come all’acqua, al cibo e alle forniture mediche, è stato ostacolato dai danni alle infrastrutture civili causati dal conflitto e dalle azioni deliberate delle parti in conflitto. Il blocco aereo e marittimo dello Yemen da parte dell’Arabia Saudita ha avuto gravi ripercussioni sui diritti umani della popolazione civile, mentre il bombardamento delle infrastrutture civili da parte della coalizione militare a guida saudita è una chiara violazione del diritto internazionale.
Già nel 2019, l’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr), Mwatana for Human Rights, Amnesty International, la Campaign Against Arms Trade, il Centre Delàs e la Rete Pace Disarmo hanno presentato insieme una comunicazione alla Corte penale internazionale, ricostruendo in modo preciso e dettagliato 26 attacchi aerei sauditi contro civili – in evidente violazione del diritto internazionale – in cui sono stati impiegati armamenti europei. Inoltre, sono state presentate denunce penali anche a livello nazionale. Nonostante le violazioni ben documentate e le prove evidenti del coinvolgimento dell’Europa in possibili crimini di guerra e contro l’umanità in Yemen, l’impunità continua ancora oggi.
La risposta alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina dimostra che la comunità internazionale è in grado di indagare su potenziali crimini internazionali. Anche il popolo yemenita merita lo stesso grado di impegno internazionale negli sforzi per perseguire i responsabili dei gravi crimini e delle violazioni dei diritti umani che sono stati e sono tuttora commessi nei suoi confronti.
I più indifesi tra gli indifesi
L’anno scorso in Yemen un bambino è stato ucciso o ferito in media ogni due giorni da mine o altri ordigni esplosivi: è il numero più alto degli ultimi cinque anni secondo il Rapporto “Ad ogni passo un rischio” (Watching our every step), diffuso da Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Dopo otto anni di conflitto, il Rapporto ricorda che sono i più piccoli a pagare il prezzo più pesate della guerra. L’Organizzazione chiede un’azione immediata per proteggere le bambine, i bambini e i ragazzi da queste armi mortali.
La nuova analisi dell’Organizzazione – che prende in considerazione il periodo che va da gennaio 2018 a novembre 2022 – mostra che i bambini stanno affrontando un rischio altissimo di incontrare mine e ordigni inesplosi (Uxo) a causa di ordigni inesplosi come proiettili d’artiglieria, granate, mortai, razzi e bombe.
Il Rapporto mostra che mentre il numero di bambini vittime di violenza armata causata da attacchi aerei, bombardamenti o fuoco incrociato, è complessivamente diminuito dal 2018, i bambini feriti da ordigni esplosivi sono aumentati: da una media di uno ogni cinque giorni nel 2018 a uno ogni due nel 2022, a causa del protrarsi del conflitto che in otto anni ha disseminato il Paese di mine e ordigni inesplosi. Nel 2022 le vittime infantili causate da mine o ordigni inesplosi sono salite a 199 (pari al 55% delle vittime infantili complessive) rispetto alle 68 del 2018. Il Rapporto rileva, inoltre, che la percentuale di feriti e morti tra i bambini causati da ordigni esplosivi è aumentata durante i sei mesi di tregua mediati dalle Nazioni Unite l’anno scorso, quando le famiglie sono potute tornata a casa nei territori che erano stati campi di battaglia.
Le bambine e i bambini in Yemen rischiano di imbattersi in mine e residuati bellici esplosivi mentre giocano, raccolgono la legna da ardere e l’acqua o si occupano del bestiame perché non hanno l’esperienza necessaria per identificarli o evitarli. Secondo l’analisi di Save the Children, quasi la metà di questi incidenti che hanno coinvolto bambini sono stati mortali.
Maha*, 10 anni, di Taiz, lo scorso ottobre ha calpestato una mina mentre raccoglieva la legna da ardere insieme a sua sorella. Nonostante sia stata portata d’urgenza in ospedale per un intervento chirurgico, Maha ha perso l’occhio sinistro e le è stata amputata la mano destra. Sua sorella Maya*, 16 anni, è stata ricoperta di schegge e ha subito gravi ferite a entrambe le gambe. “Se dovessi raffigurare la guerra, disegnerei mani amputate, occhi feriti, persone che camminano con le stampelle”, ha raccontato Maha.
“Mentre il Paese entra nel suo nono anno di conflitto, questo Rapporto ci ricorda l’impatto devastante che la guerra sta avendo sui bambini, la parte più vulnerabile della popolazione”, ha dichiarato Ashfaq Ahmad, vicedirettore di Save the Children in Yemen. “Il fatto che sempre più bambini vengano uccisi e feriti dalle mine e da altri residuati bellici esplosivi è un’accusa schiacciante nei confronti delle parti in conflitto che continuano a usare queste armi”.
Decenni di ripetuti conflitti armati, a partire dai primi anni Sessanta, hanno lasciato in Yemen una devastante eredità di ordigni esplosivi, che rappresentano una minaccia continua per la sicurezza delle bambine e dei bambini, soprattutto nelle aree rurali. Con il sistema sanitario sull’orlo del collasso e la poca disponibilità di specialisti qualificati per la riabilitazione, i bambini feriti non hanno accesso alle cure a lungo termine necessarie per recuperare la mobilità, tornare a scuola e reintegrarsi nella vita della comunità.
I bambini che vivono nei campi di sfollati sono più esposti al rischio di ferite da mine e ordigni esplosivi, a causa della mancanza di educazione al rischio e per il fatto che si trovano in aree ad alta probabilità di inondazioni. Dei 194 bambini vittime di mine e altri ordigni esplosivi che l’Organizzazione ha sostenuto tra il 2020 e il 2022, quasi uno su quattro era sfollato. Jihad, volontario di Save the Children a Taiz, qualche anno fa ha calpestato una mina terrestre e ora ha una protesi alla gamba, adesso mette a disposizione la sua esperienza per aiutare a rassicurare bambine e bambini come Maha e Miya e far sì che possano tornare a vivere senza rinunciare ai loro obiettivi. “Le abbiamo iscritte al nostro programma di sostegno psicosociale”, ha raccontato Jihad. “Nelle settimane successive all’incidente, mi sono assicurata che la loro famiglia fosse pienamente consapevole delle difficoltà fisiche, emotive e psicologiche che le ragazze avrebbero dovuto affrontare e ho dato loro dei consigli. Il mio lavoro insieme a Save the Children consiste nell’aiutare bambini come Maha e Maya a superare queste sfide e a ritrovare la fiducia in loro stessi”.
Le lesioni più comuni subite dai bambini sostenuti da Save the Children comprendono l’amputazione degli arti superiori o inferiori e delle mani, la perdita della vista o dell’udito. In alcuni casi, gli incidenti hanno causato disabilità permanenti a causa di schegge e lesioni alla colonna vertebrale. Oltre alle lesioni fisiche, le bambine e i bambini devono affrontare anche le conseguenze psicologiche dei danni subiti, tra cui la difficoltà a dormire, paura e ansia.
Save the Children chiede a tutte le parti in conflitto di intervenire immediatamente per proteggere i bambini da queste armi mortali. Questo include la cessazione dell’uso delle mine, la bonifica delle aree minate e la sensibilizzazione delle comunità sui rischi per prevenire ulteriori tragedie. L’Organizzazione chiede, inoltre, a tutte le parti in conflitto di rispettare il diritto internazionale umanitario, di evitare l’uso di ordigni esplosivi nelle aree popolate e di garantire l’accesso umanitario. “Non possiamo stare a guardare mentre le vite dei bambini vengono portate via da queste orribili armi”, ha dichiarato Ashfaq Ahmad. “La situazione in Yemen è devastante. Tutte le parti in conflitto diano priorità alla protezione delle bambine, dei bambini e dei ragazzi e garantiscano che non siano più esposti ai rischi provocati dalle mine e da altri ordigni esplosivi”.
Save the Children esorta i donatori a finanziare completamente il Piano di risposta umanitaria per lo Yemen, che ammonta a 4,3 miliardi di dollari, a stanziare risorse per la salute mentale e il supporto psicosociale per i bambini e a far sì che i responsabili rispondano delle loro azioni.
Save the Children lavora in Yemen da 60 anni, realizzando programmi in materia di istruzione, protezione dell’infanzia, salute e nutrizione, acqua, servizi igienico-sanitari e risposta alle emergenze nella maggior parte del Paese. L’Organizzazione fornisce cure mediche e assistenza alle vittime delle mine e degli ordigni inesplosi, coprendo i costi e fornendo supporto psicosociale.
La campagna Bambini sotto attacco di Save the Children
I bambini non causano le guerre, ma sono le vittime più vulnerabili. Tra quelli che riescono a sopravvivere, alcuni non hanno conosciuto altro che violenze o campi profughi. Queste bambine e questi bambini hanno bisogno di essere protetti dalle ferite fisiche ed emotive che inevitabilmente riportano. Da otto anni, i bambini in Yemen subiscono gli effetti del conflitto, come i più piccoli che vivono in Ucraina, in Siria e nei tanti altri teatri di guerra nel mondo che hanno effetti devastanti su di loro.
Save the Children lavora ogni giorno per fornire alle bambine e ai bambini che vivono nelle zone di conflitto un sostegno immediato e a lungo termine per ricostruire le loro vite e ha lanciato la campagna Bambini sotto attacco, affinché i governi e le organizzazioni internazionali diano priorità alla protezione dei minori e al loro benessere. Questo significa garantire assistenza sanitaria, accesso all’istruzione, sostegno psicologico e programmi per consentire il loro recupero e la loro resilienza. La campagna Bambini sotto attacco di Save the Children prevede una serie di iniziative di sensibilizzazione, tre le quali la diffusione della petizione “I bambini in guerra sono sotto attacco. Puniamo i crimini commessi contro di loro”, con la quale l’Organizzazione chiede al Governo italiano di ascoltare seriamente i bambini vittime di reati gravi nei processi legali, di ampliare la giurisdizione universale per consentire di perseguire i responsabili di gravi violazioni dei loro diritti in qualsiasi parte del mondo, di documentare i crimini contro i minori e stanziare risorse per rafforzare i meccanismi esistenti.
*I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità degli intervistati.