Se la Francia trascina il Libano nel baratro
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Se la Francia trascina il Libano nel baratro

Da ottobre  il Libano non ha un governo nella pienezza dei suoi poteri, non può neanche trattare con gli organismi internazionale il vitale prestito del FMI e varare le indispensabili e connesse riforme. Ma...

Se la Francia trascina il Libano nel baratro
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

23 Giugno 2023 - 16.23


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Il Libano è un Paese che non conosce le carte che lo governano? O la carta in Libano sopporta davvero tutto? A me sembra, purtroppo, che la realtà oscilli tra questi due estremi, sebbene sia evidente che almeno a parole molti conoscano cosa c’è scritto sulla carta e cosa la carta non possa sopportare. Cerchiamo di riassumere i termini di un possibile suicidio collettivo e soprattutto cristiano. 

Sprofondato dal 2020 in una crisi economica che non ha pari al mondo grazie, dopo tantissimi orrori, all’autodistruzione per esplosione di tutto il porto commerciale della sua capitale, il Libano ha una valuta ormai senza valore, gli stipendi non bastano a comprare qualche chilo di pane, ma il ceto politico cerca dallo scorso ottobre un Presidente della Repubblica, che per il vecchio patto nazionale (non scritto) deve essere un maronita. Questo in un sistema molto presidenziale vuol dire che da ottobre  il Libano non ha un governo nella pienezza dei suoi poteri, non può neanche trattare con gli organismi internazionale il vitale prestito del FMI e varare le indispensabili e connesse riforme. Scegliere un maronita però non è indifferente, anche loro sono politicamente divisi, non quanto i sunniti che dopo l’uscita di scena di Hariri sono spappolati, senza una testa politica. Anche la piccola rappresentanza drusa è divisa, solo gli sciiti, molti, non lo sono:  i loro eletti sono tutti allineati e coperti, nei due partiti fedeli a Teheran, Hezbollah e Amal. Questi ultimi hanno trovato da tempo il loro candidato, maronita e amico personale di Assad, gran protettore in Libano dei filo-iraniani. Ma non hanno i voti per farlo eleggere. La costituzione infatti richiede al primo scrutinio i due terzi dei voti, e dal secondo la metà più uno. Ma i voti ottenuti dal candidato di Hezbollah non si è mai avvicinato alla soglia più bassa. Ora è successo che gli altri partiti, sebbene divisi, abbiano trovato un candidato comune, che dopo le prove del primo scrutinio è giunto a un passo dal raggiungere il quorum della metà più uno dei voti, come è richiesto dalla Costituzione. Ma il Presidente del Parlamento e leader di Amal, con il consenso di Hezbollah, non consente il secondo scrutinio. Possibile? Davvero! Secondo lui al secondo scrutinio servirebbe comunque il quorum dei due terzi presenti in aula, e siccome i suoi e quelli di Hezbollah asseriscono che non si presenteranno in aula lui non convoca lo scrutinio. Hezbollah  così ha proposto la ricerca di un candidato che non escluda gli sciiti, cioè propongono di accordarsi sul loro candidato, visto che rifiutano ogni altro nome. Almeno sin qui.

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Bizzarro che una simile assurdità venga accettata, anche a livello internazionale, tanto che la Francia, ex potenza coloniale, ha un inviato speciale del presidente Macron presente a Beirut, per tentare di mediare tra le parti. Di più. Lui non solo tratta con tutti, anche chi ha preso due o tre voti in tutto, ma annuncia che sentiti tutti i partiti volerà in Arabia Saudita e in Iran. I grandi rivali, con l’Iran che controllando Hezbollah e le sue armi controlla di fatto quasi tutto nel Paese. Ma perché una trattativa del genere va fatta? E perché dovrebbe condurla l’inviato del signor Macron, Presidente di una Francia che non ha fatto proprio benissimo in passato? Forse perché Parigi ha interessi francesi a Riad e Tehran? L’inviato francese è giunto a proporre un dialogo nazionale prima dell’elezione del Presidente! Perché prima? Sembra evidente: perché Hezbollah per cedere su un nome che non le assicura totale fedeltà pretenderà certezze su chi sarà il futuro premier, il futuro capo dell’esercito, il futuro ministro di questo o di quello e soprattutto sul fatto che nessuno pretenderà di mettere il naso nei suoi arsenali. Qualcuno potrebbe accettare che il futuro governo italiano nasca da un negoziato in cui tutti si impegnano a non mettere il naso nell’arsenale delle BR? Tutto sommato operativi di Hezbollah sono stati condannati dal Tribunale Internazionale per l’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri e di 20 persone che viaggiavano con cui. Ma tutto questo a Macron sembra normale.  

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Così, esausti, i leader cristiani ora dicono che la discussione dovrebbe cambiare, comportare un cambio di sistema, non il rispetto di quello che c’è. E’ quello che ha detto infatti il leader di una delle più importanti formazioni cristiane, Samir Geagea. “Occorre un altro sistema, così non si può andare avanti”. E l’indicazione che ha dato, come il suo principale rivale nel campo cristiano, è quella di passare a un sistema meno centralizzato. 

Dunque si torna all’incubo di una cantonalizzazione del Libano? Molti lo escludono, convinti che sia un modo per costringere Hezbollah a trovare un accordo su un nome terzo senza porre troppe condizioni.  Ma anche se così fosse la questione è inquietante, come sempre. I cristiani rinchiusi nel loro cantone, gli sciiti padroni del sud, i sunniti nella loro Tripoli e zone limitrofe. Solo ricorrere a questa minaccia è la dimostrazione di un fallimento cristiano, perché più che una minaccia per gli altri sarebbe un darsi la zappa sui piedi da soli.

A differenza dai Paesi tormentati da guerre in atto, il Libano non ha bisogno di un’opzione federale per ritrovare le ragioni dell’unità nazionale, ma dell’opposto; ha bisogno di costruire davvero una vera  unità. Un vero federalismo va sempre bene, ma la cantonilazzazione, quello a cui in realtà si pensa in Libano quando si parla di minore centralismo, vorrebbe dire separazione su linee confessionali, ognuno per sé e nessuno per tutti, con i cristiani rinchiusi su stessi che lascerebbero il vero ruolo, l’ ago che sa tenere uniti sunniti e sciiti in una visione libanese, e quindi sceglierebbero o l’emigrazione o la guerra civile. Ma, si dirà, cosa potrebbero fare? 

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Il modello confessionale, la tripartizione settaria tra sunniti, sciiti e cristiani, non funziona. Ma la Costituzione ha in sé il rimedio, mai applicato. 

Gli accordi che posero fine alla guerra civile non prevedono infatti che ci sia per forza una sola Camera costituita al 50%  da cristiani e al 50% da musulmani (ottima idea, perché sono due polmoni, che non si pesano). Ma questa equazione, articolata al suo interno tra rappresentanti di tutte le comunità- viene suggerito negli accordi di pace che hanno valore costituzionale- potrebbe essere la Camera Alta, o delle Comunità, alla quale affiancare (finalmente) quella fatta dai rappresentanti di partiti politici fondati su programmi e non su appartenenze religiose e quindi non più confessionali, eletta votando come si vota da noi. Sarebbe un modello perfetto: una Camera alta che garantisce tutte le comunità, affinché nessuna venga esclusa,  e una Camera bassa che dà diritti a tutte le persone in base alle loro idee e non alla loro appartenenza (tribale).  Così si costruirebbe davvero la comune cittadinanza. Questo sistema non è mai stato preso in considerazione perché l’occupante siriano non erano interessato alla cittadinanza, ma alla costruzione di fedeli vassalli. 

Ora i leader cristiani potrebbero indicare questa opzione contenuta nella costituzione vigente,  per ritrovare sintonia con una popolazione esausta dal tribalismo e clientelismo dei ras.  Piuttosto che agitare lo spettro della cantonalizzazione che si ritorcerebbe, per altro, da subito contro di loro, obbligherebbero il cosiddetto fronte della resistenza guidato da Hezbollah a svelare chi sia. E tutto questo l’inviato francese lo sa, e molto bene, visto che è stato a lungo ministro degli esteri. Sarebbe il modo migliore per salvare dal fallimento politico ed economico ormai ben oltre le porte il Libano e farne un esempio virtuoso per Siria, Iraq e molti altri. Se interessasse. Ma forse interessa altro.   

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