Nel governo Netanyahu i ministri fanno a gara a chi è più fascista
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Nel governo Netanyahu i ministri fanno a gara a chi è più fascista

Che situazione viva oggi Israele lo sintetizza efficacemente li titolo di Haaretz: "I ministri del governo Netanyahu fanno a gara per chi è più fascista”

Nel governo Netanyahu i ministri fanno a gara a chi è più fascista
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Maggio 2023 - 14.39


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Che situazione viva oggi Israele lo sintetizza efficacemente li titolo di Haaretz

I ministri del governo Netanyahu fanno a gara per chi è più fascista”

Così lo svolgimento dell’editoriale: “Il sesto governo Netanyahu comincia ad assomigliare a una caricatura totalitaria. Non c’è quasi nessuna mossa associata al totalitarismo che non sia stata proposta da uno dei suoi membri estremisti e adottata dal resto degli incompetenti che lo compongono, nella loro competizione per vedere chi può essere più pienamente fascista. Il Comitato ministeriale per la legislazione discuterà domenica una proposta di legge sponsorizzata da Limor Son Har-Melech, MK di Otzma Yehudit, che richiederebbe a un’istituzione accademica di sospendere uno studente che sventoli la bandiera palestinese o esprima sostegno al terrorismo. La legislatrice, praticamente sconosciuta, ha cercato di farsi pubblicità alle spalle degli studenti arabi, perché cosa c’è di più facile che perseguitare i membri di una minoranza?


Son Har-Melech vuole mettere sotto torchio le istituzioni israeliane di istruzione superiore, trasformando gli accademici in agenti di polizia politica e gli studenti in veri e propri informatori. Il preambolo del disegno di legge afferma che “le istituzioni accademiche sono diventate un palcoscenico principale per l’incitamento nell’ultimo anno” e che la Giornata dell’Indipendenza israeliana è diventata “un giorno per sventolare le bandiere dell’organizzazione terroristica dell’Olp nelle istituzioni accademiche”. Si afferma inoltre che “è irragionevole che gli studenti siano costretti a imparare accanto a coloro che hanno espresso esplicito sostegno agli attacchi terroristici, a fronte del completo silenzio dell’amministrazione delle istituzioni”.


È infatti il governo che negli ultimi anni è diventato il principale palcoscenico dell’incitamento nello spirito dell’incitatore nazionale, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, e il plenum della Knesset una fucina di stupidità. Il tentativo di equiparare lo sventolio della bandiera palestinese al sostegno del terrorismo è di per sé un incitamento. L’Autorità Palestinese non è uno Stato nemico né un’organizzazione terroristica. Israele ha firmato accordi con l’Olp e la sua bandiera è stata esposta alla Knesset e in ogni piattaforma diplomatica possibile. Inoltre, Israele collabora con l’Autorità Palestinese da 30 anni e gode dei frutti del coordinamento della sicurezza con essa. La lotta contro la bandiera palestinese è quindi aberrante, ingrata e distaccata dalla realtà israeliana e internazionale. Fortunatamente per Israele, non tutti sono stati contagiati dall’epidemia fascista. Il Comitato dei direttori delle università in Israele ha pubblicato giovedì una lettera di obiezione. “Si tratta di una politicizzazione e di un’interferenza profonda e irragionevole nelle attività del campus. Un tentativo di usare il mondo accademico per l’esecuzione penale, trasformando l’amministrazione delle istituzioni in agenti di polizia, giudici e persino boia – e per reati che non hanno nulla a che fare con il mondo accademico”. Il presidente dell’Università di Tel Aviv, prof. Ariel Porat, ha avvertito in una lettera separata che se la legge verrà approvata, “si creerà un vero e proprio maccartismo nel campus: Gli studenti si seguiranno l’un l’altro per determinare se una parola o un’altra giustifichi una sospensione”.

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Il solo fatto di discutere questa proposta fascista è una macchia sul Comitato ministeriale per la legislazione e su Israele. Il suo posto giusto è nel cestino, e il posto di coloro che la propongono è fuori dalla Knesset. Non passa giorno senza che questo governo ci ricordi perché è importante continuare la protesta con pieno vigore”.


Una riflessione insindacabile

Eli Bahar è un ex consulente legale dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano. Insomma, uno che le cose le ha vissute dal di dentro e che di certo non si può tacciare di essere un filopalestinese. Ecco cosa scrive sul quotidiano “liberal” di Tel Aviv: “Nel luglio 2002, al culmine della seconda intifada, che ha causato un numero record di vittime del terrorismo, Israele ha assassinato il capo dell’ala militare di Hamas, Salah Shehadeh, con un attacco aereo. Oltre a Shehadeh, questa operazione ha ucciso 13 civili, tra cui donne e bambini. Una speciale commissione investigativa guidata dall’ex giudice della Corte Suprema Tova Strasberg-Cohen ha concluso che Shehadeh aveva rappresentato una minaccia “certa, immediata e significativa” per i cittadini israeliani. Di conseguenza, ha affermato che l’attacco contro di lui era giustificato sia dalla legge israeliana che da quella internazionale. Ma per quanto riguarda i civili uccisi a causa del particolare modus operandi scelto, la commissione ha affermato che il risultato è stato “sproporzionato” secondo i funzionari della difesa che hanno testimoniato di fronte ad essa. I funzionari dei servizi di sicurezza militari e dello Shin Bet hanno testimoniato che non avrebbero eseguito l’operazione se avessero previsto i danni collaterali che ne sono derivati.
La commissione ha anche affermato, come un assioma indiscutibile, che il “principio morale e normativo fondamentale” che guida Israele e i suoi organismi di difesa e di intelligence è sempre stato che se si sa con certezza che i bambini si trovano nel raggio di danno di un’operazione militare che potrebbe danneggiarli, “l’operazione non viene condotta”. Semplicemente.
Circa due settimane fa, Israele ha condotto “omicidi mirati” nella Striscia di Gaza, assassinando tre membri di alto livello della Jihad islamica: Khalil Bahtini, che era il comandante del gruppo per il nord di Gaza, Jihad Ghanam e Tareq Izzeldeen. Anche in questo caso, il modus operandi è stato un attacco aereo nel cuore della notte.
Oltre a questi tre alti funzionari, l’operazione ha ucciso anche 10 civili, tra cui la moglie e la figlia di 4 anni di Bahtini, la moglie e due figli di Ghanam e due figli di Izzeldeen. Sono stati uccisi anche alcuni vicini degli obiettivi, tra cui un medico con la moglie e il figlio in una casa e due sorelle in un’altra.
Ma a differenza del caso Shehadeh, i funzionari della difesa non hanno sostenuto che ciò fosse dovuto a informazioni errate o a una stima sbagliata del numero di potenziali vittime civili. Ciò implica che i morti civili dell’operazione erano stati previsti e presi in considerazione in anticipo. In altre parole, gli alti funzionari militari e politici che hanno ordinato l’operazione hanno apparentemente pensato che l’uccisione di quegli agenti della Jihad islamica in quel particolare momento fosse una giustificazione sufficiente – operativa, legale e morale – per la morte “collaterale” dei 10 civili uccisi, compresi i bambini.
La questione della proporzionalità è il criterio con cui vengono giudicate le operazioni militari, e questo giudizio si basa su ciò che i decisori sapevano in quel momento. Inoltre, si tratta di soppesare i benefici militari dell’operazione rispetto ai danni collaterali. Certo, “proporzionalità” è un termine scivoloso e difficile da definire. Ma la mancanza di una decisione chiara sulla misura delle vittime civili da utilizzare per determinare questa norma non significa che non ci possano essere limiti.
All’apice della seconda intifada, quando la decisione coinvolgeva il più alto ufficiale militare di Hamas, Israele ha concluso che sarebbe stato inaccettabile portare a termine l’operazione se avesse saputo che sarebbero stati uccisi dei bambini. Se fosse stato previsto, la morte di 13 persone uccise in questa operazione sarebbe stata sproporzionata e, di conseguenza, l’operazione sarebbe stata illegale. Come mai queste norme sono svanite come se non fossero mai esistite quando alti funzionari politici e militari hanno deciso di portare a termine l’ultima operazione? Dopo tutto, l’esito dell’operazione ha chiaramente violato gli standard stabiliti allora. In assenza di risposte e spiegazioni convincenti, sorge il sospetto che ci sia un abisso morale tra gli standard fissati nel caso Shehadeh e l’operazione contro gli alti funzionari della Jihad islamica.
Sia nella sentenza della Corte Suprema che ha dettato il quadro giuridico sugli omicidi mirati, sia nell’inchiesta sul caso Shehadeh, la conclusione è stata che Israele deve istituire una commissione d’inchiesta indipendente ed esterna ogni volta che ci sono vittime civili.
Proprio come il caso Shehadeh, l’operazione contro gli ufficiali della Jihad islamica richiede una profonda riflessione morale e sociale. Questo incidente non dovrebbe essere lasciato senza un’indagine esterna sostanziale per valutare il giudizio esercitato da politici, ufficiali militari e funzionari dello Shin Bet – per quanto di alto livello – e trarre le conclusioni appropriate.
Lo Stato deve istituire senza indugio una commissione d’inchiesta su questa vicenda”.

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Lo chiede un ex consulente dello Shin Bet.
E, per dirla col grande Peppino De Filippo, “ho detto tutto”.

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