Domenica la Turchia indicherà il nuovo presidente. Un nuovo-vecchio. Perché a prevalere sembra destinato ad essere il sultano di Ankara: Recep Tayyp Erdogan.
La spinta dell’ultradestra
Scrive Michela Mersa per Euronews: “Per la prima volta da quando Recep Tayyip Erdogan è salito al potere in Turchia, i cittadini turchi si trovano a dover scegliere il loro futuro leader in un ballottaggio, che vede a confronto il presidente uscente e il candidato unico dell’opposizione, Kemal Kılıçdaroğlu.
La situazione inedita mette l’elettorato nazionalista e di estrema destra in una posizione di potere. Infatti, il terzo classificato, il nazionalista Sinan Ogan, ha ottenuto il 5% delle preferenze al primo turno delle presidenziali: una percentuale che potrebbe potenzialmente rovesciare Erdogan, che il 14 maggio ha ottenuto il 49,5% dei voti contro il 45% del suo principale sfidante.
Questo scenario, in ogni caso, rimane molto improbabile, non solo perché i sondaggi danno come nettamente favorito il presidente uscente, ma anche perché martedì Ogan ha espresso pubblicamente il suo sostegno a Erdogan, glissando i tentativi di conquistarlo dell’opposizione.
Negli ultimi giorni Kılıçdaroğlu aveva moltiplicato i suoi appelli al leader dell’estrema destra, persino inasprendo le sue posizioni sui temi cari ai partiti nazionalisti, uno su tutti la presenza di milioni di rifugiati siriani in Turchia. “Lo annuncio qui. Rimanderò a casa tutti i rifugiati non appena sarò al potere, punto e basta”, ha dichiarato Kılıçdaroğlu.
“Per mesi ha parlato di inclusione, integrazione, differenza. Sai, noi daremo il benvenuto a tutti. Il nostro tavolo è aperto a tutti, ecc. E ora, nel giro di meno di dieci giorni, il candidato del CHP e il partito hanno fatto una svolta a destra”, ha commentato a proposito il politologo Sinan Ciddi.
Ma non è detta l’ultima parola. Sinan Ogan si è candidato alle elezioni presidenziali per conto di un’alleanza di partiti e il suo alleato Ümit Özdağ, una sorta di Jean-Marie le Pen turco, ha deciso di sostenere l’opposizione. E nessuno dei due ha la certezza di essere seguito dall’elettorato di estrema destra.
“Siamo in acque inesplorate. Non abbiamo mai assistito alle dinamiche politiche di un secondo turno elettorale. Quindi ho l’impressione che forse stiamo sopravvalutando il valore di questi due piccoli partiti di destra”, ha detto Ciddi. Qualunque sia il risultato di domenica, l’estrema destra è comunque riuscita a imporre i suoi temi fino alla fine della campagna elettorale”.
Il “kingmaker” che odia i curdi
Lo racconta così per affarinternazionali.it Alessia Chiratti: “È stato definito da subito un “kingmaker”, l’esponente politico che, al primo turno delle elezioni presidenziali in Turchia dello scorso 14 maggio, ha raccolto il 5.2% delle preferenze, conquistando gli indecisi nella sfida tra i due principali candidati, il presidente uscente Erdoğan e il leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu: stiamo parlando del candidato nazionalista e docente universitario Sinan Oğan, 55 anni, leader dell’alleanza ATA, nata agli inizi di marzo.
Dopo giorni di indecisioni, di colloqui e temporeggiamenti, Oğan ha sciolto la riserva: al secondo turno di domenica 28 maggio sosterrà Erdoğan, candidato per l’Alleanza popolare e leader dell’Akp (il Partito di Giustizia e Sviluppo). Nella sua dichiarazione, Oğan ha inoltre specificato di giudicare Kılıçdaroğlu un’alternativa non convincente al presidente uscente.
Intanto il 20 maggio si sono aperti i seggi all’estero per il secondo turno: sarà possibile votare fino al 24 maggio. Al primo turno l’affluenza degli elettori non residenti in Turchia si è fermata al 53% e, per citare solo alcuni paesi, i turchi in Italia e Usa hanno votato per Kılıçdaroğlu, mentre in Francia e Germania la maggioranza è andata a Erdoğan.
I partiti verso il ballottaggio
La fotografia della geografia politica turca ad oggi vede quindi una Turchia divisa quasi a metà, uscita dal primo turno per le votazioni presidenziali con un’affluenza alle urne di quasi il 90% e con Erdoğan, attestatosi al 49.5%, seguito dal leader kemalista del Chp (il Partito Repubblicano) Kılıçdaroğlu, fermatosi al 44.9%. Nello specifico, Erdoğan mantiene il controllo delle zone più interne della Turchia (Anatolia, dunque, ma anche province come quella di Gaziantep e di Şanlıurfa, nel sud est, fortemente colpite dal terremoto del 6 febbraio 2023); Kılıçdaroğlu, invece, facendo anche un paragone con i risultati elettorali del Partito Repubblicano alle ultime presidenziali del giugno 2018, conquista Istanbul (dove il sindaco Ekrem İmamoğlu si è candidato per il Chp), Ankara (dove è candidato, sempre tra le fila del Chp, il sindaco Mansur Yavaş), ma anche il distretto di Eskişehir, geograficamente vicino ad Ankara, quello di Antalya, Mersin e Adana, conservando inoltre la maggioranza nelle storiche roccaforti dell’ovest. Dal canto suo, Oğan supera l’8% nella provincia di Bilecik, vicino Bursa, ma va bene anche nella già citata Eskişehir (7.3%).
Alle elezioni parlamentari, invece, l’Akp ha retto il confronto con gli altri partiti: raggiunge il 35.6%, conquistando così 268 seggi nella Grande Assemblea Parlamentare, perdendo però terreno rispetto al 2018 (quando ottenne il 42.6% dei voti e 295 seggi). Sale in termini di rappresentanza il Chp (169 seggi con il 25.3%, contro il 22.6% del 2018), seguito da: 50 seggi al partito nazionalista Mhp (al 10%); 43 all’Iyi Partisi (il Buon Partito), nazionalista, kemalista e secolarista turco, fondato dall’ex ministra Meral Akşener; 61 seggi del Partito della Sinistra Verde, vicino ai curdi dell’Hdp di Selahattin Demirtaş, ancora in carcere; 5 seggi allo Yeniden Refah Partisi, fondato da Fatih Erbakan figlio di Necmettin, padre del Partito del Benessere (il Refah Partisi); infine, 4 seggi sono andati al TIP (Türkiye İşçi Partisi), il Partito dei Lavoratori di Turchia.
La questione dei rifugiati alle urne
Il presidente uscente Erdoğan sembra dunque vicino alla rielezione, nonostante non abbia dominato già dal primo turno e anche grazie all’endorsement di Oğan. Kılıçdaroğlu però non desiste dalla competizione e anzi ha più di recente abbandonato i toni conciliatori che invece ha dimostrato durante la campagna elettorale del primo turno e che gli avevano fatto conquistare il soprannome di “Gandhi turco”, nonché leader dell’”amore radicale”.
Kılıçdaroğlu, che aveva eliminato ogni dubbio sulle sue posizioni anche durante i suoi discorsi, spesso registrati dalla cucina della sua abitazione, e durante i quali aveva dichiarato di essere un curdo alevita, oggi sposa toni più duri, nazionalisti e anti-migranti: il leader dell’Alleanza della Nazione (che al suo interno ospita 7 partiti diversi, tanto da coprire tutto lo specchio elettorale, da sinistra a destra) ha promesso che, qualora fosse eletto il 28 maggio, procederà con il rimpatrio dei profughi siriani, dando seguito ad una promessa che aveva già fatto nel passato (ossia quella sul raggiungimento di un accordo con Damasco).
Il punto sui migranti per Kılıçdaroğlu è una questione di sicurezza nazionale. Lo stesso ha deciso di attuare una nuova strategia comunicativa, provando ad essere più presente sui social e accattivandosi l’interesse da parte della cosiddetta Generazione Z. Tutti cambiamenti che contribuiscono a rendere Kılıçdaroğlu più forte e deciso e che per alcuni versi lo avvicinano al presidente uscente: qualunque fosse il risultato elettorale al secondo turno, la strategia dei paesi del vicinato nei rapporti bilaterali con la Turchia non potrà non tenerne conto”.
Così stanno le cose. La destra ha imposto i suoi temi, le sue priorità, i suoi rancori. E questo è di per sé un segnale preoccupante per il futuro della Turchia.