Li paghiamo per fare il lavoro sporco. Li armiamo e addestriamo per affinare le loro capacità criminogene. E ora gli consegnamo i disperati del mare. Una vergogna senza fine. Una vergogna italiana.
Lavoro sporco
Sono state consegnate alla Guardia costiera di Tripoli le trenta persone che fuggivano dalla Libia e ieri sono state soccorse dal mercantile Grimstad. “L’ordine di riportarle indietro – ha denunciato SeaWatch – è arrivato direttamente dal centro di coordinamento e soccorso di Roma ed è una gravissima violazione del diritto internazionale”.
A comunicarlo a Seawatch, che con il suo aereo Seabird da ventiquattro ore monitorava il barchino e sollecitava soccorsi per i naufraghi, l’equipaggio del mercantile. “Abbiamo ricevuto istruzioni da Mrcc Roma di farli sbarcare a trenta miglia dal terminal di Zuentina dove verranno presi in consegna dalla Guardia Costiera libica” dicono da bordo.
All’equipaggio, da Seabird avevano chiesto di non far sbarcare i naufraghi in Libia, perché “il dovere di soccorso include di far sbarcare le persone in un porto sicuro secondo le convenzioni Sar (Ricerca e soccorso ndr) e le linee guida dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale, un’agenzia Onu) sul trattamento da riservare alle persone soccorse in mare. La Libia non è un posto sicuro, le persone rischiano torture e anche la morte”.
Per l’Ong, “il centro di coordinamento del soccorso marittimo in Italia sta ora istruendo il capitano del Grimstad a infrangere la legge”. Nell’ottobre 2021 – ricordano – il comandante del mercantile Asso28 è stato condannato a un anno di reclusione in Italia per aver consegnato profughi alla Guardia costiera libica.
E ieri altre trentacinque persone, tra cui un minore non accompagnato, che scappavano da quella realtà e da quasi quattro giorni viaggiavano senza né cibo, né acqua sono state soccorse nelle scorse ore da LifeSupport di Emergency.
“Le autorità italiane – afferma il capomissione Albert Mayordomo – ci hanno assegnato il porto di Livorno per lo sbarco, a 4 giorni e quasi 670 miglia nautiche di distanza dal luogo in cui è avvenuto il salvataggio. L’assegnazione di porti lontani non rispetta il diritto internazionale e posticipa senza motivo l’assistenza di cui hanno bisogno le persone soccorse”.
Caccia ai migranti
La resoconta Alessandro Scipione in un documentato report per agenzia Nova: “I disordini esplosi a Zawiya, nella Libia nord-occidentale, rischiano di scatenare una caccia ai migranti irregolari in Libia e, in particolare, contro gli africani sub-sahariani, sulla falsariga di quanto sta accadendo in Tunisia. La tensione in questa importante città costiera della Tripolitania, tra i punti principali delle partenze dei migranti e snodo cruciale delle esportazioni di prodotti petroliferi, è degenerata nella disobbedienza civile dopo la diffusione sui social media libici di filmati di torture perpetrate da persone definite come “africani” ai danni di altri individui identificati come “giovani libici”, anche se dalle immagini non sembra possibile alcuna identificazione. La diffusione del video, corredato da commenti in cui si punta il dito contro presunti migranti sub-sahariani assoldati per torturare gli arabi,ha suscitato la rabbia della popolazione di Zawiya, che da mercoledì 26 aprile è scesa in strada per manifestare la propria indignazione. “Non possiamo indossare l’uniforme militare senza far nulla mentre i libici vengono torturati da criminali stranieri”, ha detto il comandante della regione militare della costa occidentale in Libia, Salah el Din el Namroush, già ministro della Difesa.
“I gruppi armati usano gli immigrati clandestini nei loro crimini, il che li rende loro partner nel crimine. Ciò rappresenta un grande pericolo per la sicurezza libica e la pace sociale e mina gli sforzi di pace e stabilità in Libia. Questo dossier deve essere elaborato seriamente per porre fine ai gruppi armati e all’immigrazione clandestina”, ha commentato su Twitter Muhammed Ahmed Jibreel, politico, blogger e candidato a un seggio parlamentare nella città di Misurata. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Libia c’erano almeno 694.398 migranti di oltre 42 nazionalità sparsi in tutto il Paese a novembre-dicembre 2022: un numero che è continuato ad aumentare rispetto ai 683.813 del periodo settembre-ottobre. Solo nel gennaio 2018 l’Oim ha registrato un numero maggiore di migranti (704.142) nel Paese nordafricano. “Chiediamo a tutte le città della Libia di unirsi a noi. Queste bande criminali e questi migranti devono essere espulsi dalla nostra città. Non permetteremo più la tortura e il rapimento dei nostri giovani!”, ha detto ad “Agenzia Nova” Muhammad Khaled, un residente di Zawiya. Un nuova campagna contro i migranti irregolari, e in particolare contro i subsahariani, potrebbe portare a un aumento dei flussi verso l’Italia, come già avvenuto in Tunisia. Questa eventualità, unita al possibile ingresso nella Libia orientale di migliaia di sfollati in fuga dal Sudan, dove il conflitto tra generali rivali sta degenerando nella guerra civile, potrebbe rappresentare un problema enorme in estate, quando il bel tempo favorisce notoriamente le partenze dei migranti via mare. Intanto i dimostranti di Zawiya hanno diffuso sui social media le loro richieste per porre fine alle manifestazioni: lo scioglimento del Consiglio municipale e lo svolgimento delle elezioni amministrative; il licenziamento del direttore della sicurezza; limitazioni all’accesso di auto blindate e armate in città e il trasferimento in periferia dei quartier generali delle milizie; l’annullamento delle decisioni illegittime del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa (non è chiaro a cosa si riferiscano esattamente); una riforma degli organi di sicurezza della città; l’arresto di bande criminali subsahariane affiliate alle milizie locali e coinvolte nel traffico di esseri umani; l’arresto di tutti i criminali coinvolti in omicidi e altri atti criminali; raid nei siti di contrabbando di carburante e droga, prevenzione della vendita di carburante e droga all’interno della città; la formazione di un comitato di sicurezza composto da persone note per la loro efficienza e integrità; la fine della copertura offerta dalle tribù e dagli sceicchi di Zawiya ai criminali.
Secondo Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute ed esperto di questioni libiche, il primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk (Libia orientale), Fathi Bashagha, ha diffuso sulla sua pagina Facebook immagini presentate come episodi di tortura compiuti da parte di africani ai danni di arabi. L’analista non esclude la possibilità che si tratti di fenomeni “orchestrati” per suscitare la rabbia della popolazione, orientandola e strumentalizzandola per fini politici. A Zawiya la situazione era già tesa prima della diffusione di questo tipo di immagini. Il 23 e il 24 aprile, gli scontri tra milizie rivali avevano causato la morte di almeno quattro civili. Testimoni oculari hanno raccontato che, durante gli scontri, sono stati impiegati lanciarazzi e armi di medio calibro. Alla fine del febbraio scorso, due persone erano rimaste uccise e altre due ferite a seguito degli scontri tra un gruppo armato affiliato al ministero dell’Interno e un altro del ministero della Difesa del Governo di unità nazionale (Gun, l’esecutivo riconosciuto dall’Onu) nei pressi della raffineria di petrolio della città. Raffineria che è stata ora chiusa dai manifestanti, circostanza che potrebbe avere gravi ripercussioni sulla produzione di carburante e la fornitura di energia elettrica nel Paese. L’infrastruttura, infatti, priva la Tripolitania di circa 120.000 barili al giorno di carburante. E, come se non bastasse, anche le importazioni di carburante dall’estero sono ostacolate. Fatto, quest’ultimo, che rischia di privare le centrali elettriche del combustile necessario e che potrebbe degenerare in diffusi blackout che, in piena estate, arrivano a durare anche più di 20 ore al giorno.
La municipalità di Zawiya è nota anche per essere la roccaforte di Abd al Rahman Milad, ufficiale della Guardia costiera libica accusato di traffico di esseri umani e carburante e di aver commesso crimini contro i migranti. Conosciuto con il nome di “Bija”, Milad era stato rilasciato nella primavera del 2021 su ordine del pubblico ministero dopo che sarebbero decadute le accuse nei suoi confronti. Egli fa parte degli Awlad Buhmira, la tribù che fa capo alla famiglia Buzeriba che rappresenta l’Agenzia di sostegno alla stabilizzazione, a sua volta guidata da Abd al Ghani al Kikli, meglio noto come Ghaniwa (o Gnewa), uno dei più potenti capi militari di Tripoli. Intanto, la 52esima Brigata di fanteria è stata costretta a ritirarsi stanotte da Zawiya, nella Libia nord-occidentale, per la forte ostilità della popolazione e delle milizie locale. Fonti di “Agenzia Nova” riferiscono che, durante il ripiegamento, alcuni veicoli del convoglio militare, mentre procedevano a gran velocità sotto colpi di arma da fuoco, hanno investito dei manifestanti che erano in strada, causando un numero imprecisato di feriti. La 52esima Brigata guidata dal comandante Mahmoud Bin Rajab è affiliata al Governo di unità di nazionale del premier Abdulhamid Dabaiba.
Dal febbraio 2022 la Libia è divisa da due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est)”.
Così Scipione. Questa è la Libia oggi.
Crimini efferati
Globalist li ha documentati in decine di articoli. Oggi ci ritorniamo riportando quanto scritto per Il Manifesto da Stefano Mauro: “Nel loro ultimo rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il gruppo di esperti della missione Indipendent Fact-Finding Mission on Lybia (Iffm) documenta «un’interminabile serie di violazioni dei diritti umani perpetrate sia contro i libici che contro i migranti», che evidenziano una «situazione terribile nel paese».
«Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che siano stati commessi crimini contro l’umanità in Libia», ha affermato la commissione d’inchiesta. Dall’inizio del loro mandato nel 2020, gli investigatori hanno raccolto più di 2800 interviste a testimoni e vittime. «In questi tre anni le violenze si sono moltiplicate – ha spiegato Mohamed Auajjar, capo della Iffm – la missione ha documentato casi di detenzione arbitraria, omicidi, torture, stupri, schiavitù sessuale e sparizioni forzate, confermando pratiche diffuse e violenze in tutto il paese».
Per la prima volta la missione aggiunge quello che molti migranti, soprattutto donne, riferiscono nei loro racconti all’arrivo in Italia o in altri paesi europei: la schiavitù sessuale che si aggiunge all’elenco delle violazioni dei diritti umani, praticate in particolare nei centri di detenzione per migranti di Mabani, al-Shwarif, Zuwarah, Sabratha, Sabha e Bani Walid.
«La missione si rammarica che queste vittime di crimini efferati siano state, oltre a uomini e donne, bambini e minorenni che hanno un disperato bisogno di protezione», ha affermato Auajjar. Secondo le testimonianze di numerosi migranti detenuti nei centri di Maya, Ayn Zarah e Gharyan, «la loro preoccupazione non era morire nelle acque del Mediterraneo, ma tornare nella prigione dove profughi e migranti sono oppressi e torturati dalle guardie».
«Le donne migranti vengono regolarmente stuprate come prassi usuale nei centri di detenzione – ha spiegato Tracy Robinson, membro della missione – abbiamo riscontrato anche casi di schiavitù di persone vendute a soggetti esterni per svolgere vari servizi, con un’infinità di segnalazioni che non eravamo stati in grado di stabilire nei nostri precedenti cicli di monitoraggio».
Le Nazioni Unite hanno, inoltre, documentato numerosi casi di collusione fra le autorità libiche, gruppi armati nominalmente integrati nelle forze di sicurezza e organizzazioni criminali perché «lo sfruttamento dei migranti è indubbiamente fra i business più lucrativi dell’economia di guerra della Libia». Un esempio è legato all’attività di Abd al-Rahman Milad (alias Al Bija) – capo della Guardia costiera libica nel settore di Zawiya – che è stato sanzionato dall’Onu «per traffico di migranti» o riguardo a Imad Trabelsi (capo delle milizie di Zintan), attuale ministro dell’interno del Governo di unità nazionale (Gnu) guidato da Abdul Hamid Dbeibah – che lo scorso febbraio ha incontrato a Roma il suo omologo italiano Piantedosi proprio riguardo alla gestione dei migranti.
Presentando il rapporto, Mohamed Auajjar ha affermato che l’assistenza dell’Ue alle autorità libiche, «ha aiutato e incoraggiato la commissione di questi crimini, compresi quelli contro l’umanità», visto che «molti migranti, alcuni dei quali avrebbero potuto ottenere asilo, sono stati fermati, detenuti e sbarcati in Libia con l’unico scopo di impedirne l’ingresso in Europa, a corollario della politica europea sull’immigrazione».
Riguardo alla presentazione del rapporto la Commissione europea ha affermato di aver preso le accuse «molto sul serio», pur sottolineando che il lavoro in Libia è stato svolto in coordinamento con le agenzie delle Nazioni Unite, confutando le accuse secondo cui l’Ue pagherebbe pur di trattenere i migranti in Libia. Da parte sua il governo di Tripoli ha respinto il rapporto e, attraverso il ministero degli esteri, ha invitato «la missione delle Nazioni Unite a presentare alle autorità le sue informazioni sulle vittime di violenza e schiavitù sessuale o sulle accuse di connivenza con i trafficanti».
Ecco a chi abbiamo consegnato 30 persone che fuggivano da quell’inferno in terra: la Libia.
Niente da dire, presidente Meloni? E Lei, ministro Piantedosi, si è complimentato con il suo omologo tripolino, legato a filo doppio con il clan di Zawiya?