Porti lontani, la "logistica della crudeltà": le Ong portano il governo in tribunale

Le organizzazioni Sos Humanity, Mission Lifeline e Sea-Eye hanno avviato un'azione legale al Tribunale civile di Roma "contro la sistematica assegnazione di porti lontani da parte delle autorità italiane"

Porti lontani, la "logistica della crudeltà": le Ong portano il governo in tribunale
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Aprile 2023 - 15.47


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Il mare. E i tribunali. I due fronti di lotta del mondo solidale al governo securista e ai sui decreti disumani.

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La logistica della crudeltà

Annota N.Palazzolo su Today: “Nuovo soccorso di migranti nel Mediterraneo e nuova battaglia legale delle Ong contro l’Italia. Le organizzazioni Sos Humanity, Mission Lifeline e Sea-Eye hanno avviato un’azione legale al Tribunale civile di Roma “contro la sistematica assegnazione di porti lontani da parte delle autorità italiane”. Giovedì in 69 sono stati tratti in salvo dall’ong Humanity mentre viaggiavano con onde alte oltre due metri su un gommone al largo della costa libica. “Una persona era priva di sensi, soffrivano il mal di mare ed erano esausti e disidratati”, spiega l’Ong. Alla nave è stato assegnato il porto di Ravenna “a oltre 1.600 chilometri di distanza dall’area del salvataggio – dicono da Sos Humanity -. Questo crea un rischio inutile per i sopravvissuti e tiene le navi lontane dalla regione Sar per molti giorni”.Il capitano ha quindi chiesto al centro di coordinamento dei soccorsi italiano responsabile di riconsiderare la decisione e “di assegnare invece Humanity 1 a un luogo sicuro nelle vicinanze in modo che i 69 sopravvissuti possano sbarcare immediatamente”. Sos Humanity sottolinea che “dal dicembre 2022 l’assegnazione sistematica di porti remoti da parte delle autorità italiane non è in linea con il diritto marittimo internazionale. Ciò stabilisce che dovrebbe essere assegnato un luogo sicuro ‘con una deviazione minima dalla rotta della nave’ e che i centri di coordinamento dei soccorsi responsabili ‘garantiscano che lo sbarco avvenga il più rapidamente possibile’. I porti lontani sono stati appaltati a organizzazioni non governative di ricerca e soccorso”. Per le ong la “politica dei porti lontani” delle autorità italiane “mette chiaramente in pericolo il benessere dei sopravvissuti in difficoltà e mira a limitare illegalmente le attività delle organizzazioni civili di soccorso in mare”. 

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Quei respingimenti criminali

Ne dà conto Annalisa Cangemi per fanpage.it: “Sea Watch documenta due nuovi respingimenti illegali da parte dei libici. L’Ong diffonde la notizia e le immagini riprese dall’aereo che utilizza per monitorare la situazione nel Mediterraneo centrale: “Ieri il nostro Seabird ha assistito alla quotidianità europea nel Mediterraneo: due respingimenti illegali verso la Libia da parte della cosiddetta Guardia costiera libica in collaborazione con Frontex. Una delle barche è stata incendiata dopo la cattura delle persone”, ha scritto l’organizzazione umanitaria su Twitter.

Intanto è arrivata a Marina di Carrara la nave di Emergency, la Life Support, con 55 persone a bordo, tra cui tre donne, tre bambini e tre minori non accompagnati: tutti i migranti sono scesi a terra.

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“Fortunatamente è andato tutto bene. Siamo stati intimiditi dai libici per allontanarci, ma tutti i migranti erano già saliti a bordo. Le persone soccorse provengono da Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Etiopia, Nigeria, Palestina, Sudan e Somalia. La nave alla deriva, con il motore in panne, era stata segnalata da Alarm Phone, il telefono per soccorrere i migranti creato nel 2014 da un gruppo di Ong. Erano tutti stipati su un gommone di otto o nove metri, alcuni a cavalcioni sui tubolari che già si stavano sgonfiando e altri rannicchiati, costretti tutti a stare per ore e giorni nella stessa posizione, senza neppure spostarsi per i propri bisogni. Ora stanno bene. C’è chi è reduce da mesi o anni passati nei lager libici dove hanno subito torture. Gli abbiamo dato un posto letto, da mangiare e gli abbiamo spiegato dove stanno andando e cosa li aspetterà”, ha spiegato Carlo Maisano, responsabile per Emergency del soccorso in mare.

Il racconto di una minore salvata da Life Support

“Sono orfana di entrambi i genitori e ho lasciato il mio Paese perché in guerra – ha raccontato una minore non accompagnata a bordo –. Mi avevano detto la Libia era un passaggio molto semplice per raggiungere l’Europa. Invece ci sono rimasta per tre anni. Lì sono stata imprigionata, sia da parte delle milizie che dei trafficanti. Volevano che pagassi più soldi per il viaggio in mare: mi spogliavano, mi appendevano ad un gancio e mi torturavano. Intanto mi filmavano affinché io mandassi il video ai miei familiari, ma io non avevo nessuno al mondo a cui chiedere soldi e aiuto. Per questo motivo, quando ho visto il gommone con cui avremmo attraversato il mare, non ho avuto paura: mi interessava solo lasciare la Libia. Quando siamo rimasti senza motore in mezzo al mare, completamente alla deriva, tutti a bordo pensavano che sarebbero morti ed erano angosciati, io ero pronta a qualsiasi destino, mi bastava sapere di non essere più in quel luogo maledetto”.

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Una strategia persecutoria

Di grande interesse è il report di Francesco Ferri, Programme Developer Migration, di ActionAid.

La sua analisi è del 27 febbraio, subito dopo la strage di Cutro.

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“La strage che si è consumata lungo le nostre coste  – rimarca Ferri – ha reso chiare le politiche degli attori che, negli ultimi quindici anni, a livello italiano ed europeo hanno promosso politiche finalizzate al confinamento delle e dei i migranti alle frontiere esterne dell’Unione Europea.

Davanti alla morte di decine di persone a due passi dalla nostra costa è inevitabile provare profondo dolore. È necessario fare in modo che all’espressione collettiva del dolore facciano seguito accurate riflessioni sulle cause strutturali che rendono possibili eventi di questo tipo. Molti dei commentatori politici tendono ad isolare quanto accaduto dal contesto nel quale le stragi prendono forma. Per chi, come noi di ActionAid, presta specifica attenzione ai processi di esternalizzazione delle frontiere e di contrasto sistemico alla mobilità delle persone, appare chiaro quanto questa strage in mare sia – al pari di tante altre – il prodotto di specifiche traiettorie politiche tutt’ora in corso.

Il primo decreto del 2023 – successivamente convertito in legge – è stato infatti dedicato al soccorso in mare con finalità dichiaratamente punitive nei confronti delle organizzazioni che operano nel Mediterraneo centrale. Non c’è da sorprendersi se, a pochi in giorni dalla ratifica definitiva del provvedimento, molte persone hanno perso la vita mentre concludevano il viaggio in mare. Più in generale, il contrasto alle migrazioni – attuato anche attraverso la violazione sistematica dei diritti consolidati – è il paradigma dominante, da lungo corso, nella gestione delle politiche migratorie. In questo schema, il governo in carica sta sperimentando un deciso salto di qualità.

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Da questa prospettiva, l’ultimo naufragio è il prodotto sia delle scelte politiche attuate dal governo in carica sia delle strategie sviluppate da governi, istituzioni nazionale e sovranazionali, agenzie europee nell’ultimo decennio. Per uscire dall’ombra del costante rischio di un naufragio collettivo, è necessario contrastare efficacemente le iniziative politiche dell’attuale esecutivo. Nonostante l’approvazione definitiva del decreto in tema di soccorso in mare, dobbiamo continuare le mobilitazioni affinché sia superato ogni profilo normativo e ogni iniziative amministrative finalizzate al contrasto delle operazioni di salvataggio.

Noi di ActionAid proseguiremo con l’attività di monitoraggio sulle risorse impiegate dall’Italia a sostegno delle politiche di esternalizzazione delle frontiere. Lo facciamo con il progetto The big wall attraverso il quale individuiamo e analizziamo i finanziamenti destinati a programmi, progetti, fondi e altre iniziative speciali a beneficio di Paesi terzi, situati in particolare lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Il quadro che emerge è allarmante e chiama direttamente in causa le responsabilità di molti attori istituzionali italiani ed europei. Il contrasto alla mobilità delle persone – attuato anche attraverso il sostegno finanziario nei confronti di origine e di transito delle e dei migranti – rende i viaggi e le partenze radicalmente più insicuri e contribuisce a determinare stragi di questa portata.

Contrastare l’azione del governo in carica è necessario ma non sufficiente. Bisogna mobilitarsi nel medio periodo per affermare principi e regole del tutto diverse, che consentano la migrazione in condizioni sicure per chi è attualmente costretto a intraprendere viaggi rischiosi. Accanto alle responsabilità dell’esecutivo, infatti, sono facilmente scorgibili quelle dei governi che, nell’ultimo decennio, si sono alternati, in una sostanziale continuità nelle scelte politiche di fondo in tema di migrazioni e soccorso in mare”.

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Modello tunisino

Globalist ne ha scritto a più riprese. Di seguito parti di un recente report dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionali), uno dei più autorevoli think tank italiani ed europei di politica estera 

“Sezioni chiuse e diversi fermi tra gli iscritti: all’indomani dell’arresto di Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista di opposizione Ennahda, sulla Tunisia cala la scure della repressione politica. “Gli agenti sono arrivati al quartier generale e hanno ordinato a tutti quelli che erano all’interno di uscire prima di chiuderlo – racconta a Rfi Riadh Chaibi un esponente del partito – aggiungendo che “la polizia ha chiuso anche gli uffici di altri partiti in tutto il paese e vietato qualsiasi riunione”. Il giro di vite sulle attività politiche imposto dal presidente Kais Saied è confermato anche dal Fronte di salvezza nazionale (Fsn), principale coalizione di opposizione di cui Ennahdha fa parte, a cui è stato impedito ieri di tenere una conferenza stampa alla luce dell’arresto di Ghannouchi: “La polizia ha impedito lo svolgimento della conferenza stampa e ha installato barriere davanti alla sede del partito”, ha detto il portavoce del Fsn Ahmed Néjib Chebbi -. Intervenendo a una cerimonia nella sede dei servizi di sicurezza, Saied ha invitato la giustizia ad “assumere il suo ruolo in questa fase che sta attraversando il paese”. E senza citare l’arresto di Ghannouchi ha avvertito: “Stiamo conducendo una guerra spietata contro coloro che cercano di minare lo stato e le sue istituzioni”. Una circolare del ministero dell’Internoriferisce che le riunioni negli uffici di Ennahda e in quelli del Fsn nella regione di Tunisi sono vietati nell’ambito dell’emergenza in vigore nel paese.

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L’arresto del leader di Ennahda e la chiusura delle sedi dell’opposizione è solo il punto d’arrivo di una svolta autoritaria in atto da tempo nel paese. Nelle ultime settimane gli arresti ai danni di giornalisti, imprenditori e sindacalisti avevano fatto temere un’ulteriore svolta autoritaria da parte del presidente Saied che, dal luglio 2021 ad oggi, ha prima rimosso il primo ministro e sciolto parlamento, e poi ha concentrato su di sé tutti i poteri con modalità che in molti avevano definito da “colpo di stato”. Da allora la Tunisia ha subìto una progressiva trasformazione istituzionalecon l’adozione di una controversa Costituzione che ha instaurato un sistema iper-presidenziale, l’insediamento di unnuovo parlamento fortemente ridimensionato e limitazioni all’indipendenza della magistratura. Nel corso di questi mesi, Saied ha represso con violenza le proteste di chi lo accusava di voler riportare il paese verso l’autoritarismo e lo scorso 21 febbraio ha denunciato la presenza di “orde di migranti subsahariani” in Tunisia che avrebbero minacciato sul piano demografico “l’identità arabo-islamica” del paese. Il suo discorso, che riflette echi della teoria complottista della ‘grande sostituzione’– molto in voga anche tra i partiti di estrema destra in Europa –, ha di fatto segnato un immediato peggioramento delle condizioni di vita di migliaia di migranti presenti nel paese, in un clima di tensioni sociali inasprite dalla crisi economica e da un’inflazione galoppante.

Il discorso di Saied e la successiva “caccia all’uomo” sono stati denunciati con fermezza da forze politiche e organizzazioni di varia natura e hanno contribuito al boom di partenze di migranti verso l’Europa. Guardando ai dati dell’Unhcr e del ministero italiano dell’Interno, nei primi due mesi e mezzo del 2023 la Tunisia si è, dunque, imposta come il primo paese di partenza dei flussi via marediretti verso l’Italia, scavalcando la Libia, al primo posto lo scorso anno…”.

Commenta Lorenzo Fruganti, Ispi Mena Centre: “L’arresto di Rachid Ghannouchi e la chiusura delle sedi di Ennahda sembrano configurarsi come l’ennesimo atto di un graduale processo di repressione del dissenso pubblico portato avanti dal presidente Kais Saïed a partire dalla sua presa dei poteri il 25 luglio del 2021. Se tale arresto rientra nella strategia del capo dello stato volta a far ricadere su Ennahda le responsabilità per le attuali difficoltà socioeconomiche della Tunisia, la mossa di Saïed potrebbe finire per minare la stabilità politica del paese in un momento di grande incertezza sul piano economico e finanziario. D’altra parte, fermo nella sua volontà di non scendere a compromessi, il presidente continua a rifiutare ogni iniziativa di dialogo nazionale (inteso a risollevare le sorti dello stato) avanzata dalle forze di opposizione e dalle organizzazioni della società civile, sostenendo che quest’ultimo dovrebbe aver luogo solo nel quadro del nuovo parlamento eletto. Un organo legislativo che, tuttavia, è fortemente ridimensionato nelle sue funzioni e dal quale restano esclusi i partiti che si sono schierati contro il “colpo di stato” di Saïed”.

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Così l’analista dell’Ispi.

Un colpo di stato gradito a Roma. Tra securisti ci s’intende meglio. Se poi sono pure razzisti e odiano i migranti, ancora di più.

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