Indopacifico: il fronte avanzato di una terza guerra mondiale
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Indopacifico: il fronte avanzato di una terza guerra mondiale

Siamo in una terza guerra mondiale a pezzi. Così aveva avvertito a più riprese Papa Francesco. E’ così. E un pezzo importante, strategico di questa guerra, in prospettiva ancora di più del conflitto in Ucraina, è nell’indopacifico.

Indopacifico: il fronte avanzato di una terza guerra mondiale
Militare della Cina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Aprile 2023 - 14.12


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Siamo in una terza guerra mondiale a pezzi. Così aveva avvertito a più riprese Papa Francesco. E’ così. E un pezzo importante, strategico di questa guerra, in prospettiva ancora di più del conflitto in Ucraina, è nell’indopacifico.

Le manovre del Dragone cinese

Resta molto alta la tensione nell’area asiatica dopo le esercitazioni militari della Cina intorno all’isola di Taiwan. E mentre Mosca ha fatto sapere di sostenere le operazioni cinesi, iniziano oggi nelle Filippine le manovre militari congiunte con gli Usa. Il locale Ministero della Difesa di Taipei ha riferito di aver rilevato fino alle 11 locali (le 5 in Italia) un totale di 26 jet militari e nove navi da guerra cinesi intorno all’isola, all’indomani della fine delle manovre di tre giorni su vasta scala decisi in risposta all’incontro di Los Angeles tra la presidente di Taipei Tsai Ing-wen e lo speaker della Camera americana Kevin McCarthy. La Cina “ha inviato aerei militari che hanno attraverso la linea mediana dello Stretto di Taiwan da nord, dal centro e dal sud”, ha comunicato il ministero in una nota.

La Cina ha simulato durante gli ultimi tre giorni attacchi di precisione e blocchi intorno all’isola durante le esercitazioni, inviando dozzine di aerei da combattimento e bombardieri. Nonché una decina di navi da guerra, inclusa la portaerei Shandong. il Ministero della Difesa ha affermato di aver avvistato tra i caccia militari anche i modelli J-16 e Su-30, che effettuavano pattugliamenti di prontezza al combattimento intorno all’isola. L’aeronautica militare, la marina e gli equipaggi missilistici a terra di Taiwan “stanno monitorando e rispondendo da vicino”, ha precisato il ministero in una nota. La vita a Taiwan è proseguita normalmente nonostante le tensioni, senza segni di panico o interruzione, e anche i voli civili intorno all’isola, compreso lo Stretto di Taiwan, sono hanno accusato alcuna interruzione.

Intanto le Filippine e gli Stati Uniti hanno iniziato oggi le loro più grandi esercitazioni militari congiunte nel Paese del sudest asiatico, mentre i due alleati di lunga data cercano di contrastare la crescente influenza della Cina nella regione. Circa 18.000 soldati prenderanno parte alle esercitazioni, che includeranno il lancio di proiettili veri per la prima volta nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino rivendica quasi interamente. Una delle esercitazioni prevede l’atterraggio di elicotteri militari su un’isola filippina al largo dell’estremità settentrionale dell’isola principale di Luzon, a circa 300 km da Taiwan. Il lancio dell’annuale esercitazione ‘Balikatan’, che in filippino significa ‘Fianco a fianco’, arriva di fatto in risposta all’esercitazione militare di Pechino a Taiwan, che la Cina ritiene parte del suo territorio.

La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha criticato la Cina per il comportamento “irresponsabile” in merito alla tre giorni di giochi di guerra che hanno portato l’isola ad essere accerchiata. “In qualità di presidente, rappresento il mio Paese nel mondo”, ha scritto Tsai nella notte su Facebook. Le visite all’estero, comprese le tappe negli Usa, “non sono nuove e sono ciò che la gente si aspetta. Tuttavia, la Cina sta usando le manovre militari per l’ instabilità a Taiwan e nell’area e non è un atteggiamento responsabile di una potenza regionale”. Tsai ha ricordato di aver anche “autorizzato pienamente il segretario alla Difesa a rispondere secondo le competenze militari e il ministro la terrà sempre informata”. In questo momento, “l’esercito e il popolo sono uniti, non vengono fuorviati da false informazioni e la protezione della Taiwan democratica è la massima priorità. Malgrado le esercitazioni militari cinesi siano terminate, l’esercito nazionale e la squadra di sicurezza nazionale – ha concluso la presidente – continueranno a mantenere le loro posizioni e a difendere il Paese, per favore state tranquilli e tifate ancora una volta per l’esercito nazionale che è in prima linea a proteggere la nostra patria.

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Le operazioni cinesi intorno a Taiwan hanno causato preoccupazione in Giappone, con le isole meridionali vicino a Taiwan e a ischio coinvolgimento in un conflitto. Il ministro della Difesa giapponese Yasukazu Hamada ha descritto le operazioni militari della Cina come un “addestramento intimidatorio” per prendere il controllo di mare e aria intorno all’isola. La Cina sembra aver mostrato un “atteggiamento intransigente” riguardo alle questioni di Taiwan durante le esercitazioni, ha aggiunto Hamada.

Polveriera nucleare

Annota Pierre Haski, direttore di France Inter nella sua analisi pubblicata in Italia da Internazionale ((Traduzione di Andrea Sparacino): “Nessuno vuole la guerra: non la vuole la Cina (malgrado le apparenze), non la vogliono gli Stati Uniti e soprattutto non la vogliono i taiwanesi. Eppure, da tre giorni, tutti giocano a intimidire l’avversario nella contesa che riguarda quest’isola popolata da 24 milioni di persone e diventata, come ha titolato qualche anno fa il settimanale l’Economist, “il luogo più pericoloso al mondo”. 

I mezzi dispiegati dall’esercito popolare di liberazione cinese sono considerevoli, con la presenza della portaerei Shandong, fiore dall’occhiello della marina di Pechino, e la comparsa nei cieli del nuovo aereo da combattimento cinese J-15. Le manovre militari, che hanno violato ripetutamente la zona di identificazione aerea taiwanese, hanno l’aria di una prova generale dell’eventuale invasione dell’isola. 

In questo clima di estrema tensione, un cacciatorpediniere statunitense ha effettuato una missione di libertà di navigazione nelle acque internazionali, proprio nel mezzo dell’esercitazione della marina cinese. 

Nessuno vuole la guerra, dicevamo. Ma la guerra è chiaramente alla mercé di un incidente e di un’escalation indesiderata. Soprattutto lo scontro armato è ormai un’opzione realistica nel contesto di una crisi che presenta tutti gli ingredienti per un peggioramento nei prossimi mesi e nei prossimi anni, anche perché al momento sembra non esistere una buona soluzione. 

Pechino non può certo accettare senza reagire la tappa di viaggio negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen e soprattutto il suo incontro in California con il presidente della camera dei rappresentanti, il repubblicano Kevin McCarthy. Eppure, probabilmente grazie al fatto che McCarthy non ha visitato Taiwan, la reazione è stata meno drammatica rispetto all’anno scorso, quando la presenza di Nancy Pelosi a Taipei aveva provocato il lancio di missili sui cieli dell’isola. 

In ogni caso il messaggio resta chiaro: come sottolinea Xi Jinping, Taiwan “è il cuore” della politica cinese. Il numero uno cinese ha addirittura confidato ai suoi ospiti che qualsiasi velleità di indipendenza dell’isola costituisce per lui “un’umiliazione personale”. 

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Ma davvero la Cina è disposta a lanciarsi in un’avventura militare per conquistare Taiwan? Non nell’immediato, prima di tutto perché l’esercito cinese non è pronto, e in secondo luogo perché Pechino ha ancora altre opzioni. 

La scadenza cruciale arriverà a gennaio dell’anno prossimo, tra meno di un anno, quando si terranno le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan, paese realmente democratico che ha già vissuto diverse alternanze politiche. 

La presidente in carica, proveniente dal Partito democratico progressista (Dpp) storicamente favorevole all’indipendenza ma oggi più incline a mantenere lo status quo, non potrà ripresentarsi dopo aver completato il secondo mandato. La sfida, di conseguenza, sarà tra il suo vicepresidente Lai Tching-te, che difenderà i colori del Dpp, e un candidato ancora da scegliere all’interno del principale partito d’opposizione, il Kuomintang, erede del generale Chiang Kai-shek (rivale di Mao) e più favorevole a un riavvicinamento con Pechino. 

La Cina ha tutto l’interesse a favorire una vittoria del Kuomintang, dunque presenterà la sfida in termini drastici: da un lato la pace in caso di vittoria del Kuomintang, dall’altro la guerra con l’affermazione del Dpp… La maggioranza dei taiwanesi è ostile a qualsiasi riunificazione con la Cina continentale, ma di sicuro possiamo attenderci un intenso lavoro di logoramento psicologico da parte di Pechino. 

Se le previsioni saranno confermate e il Dpp vincerà nuovamente le elezioni entreremo in una fase molto pericolosa, perché a quel punto una evoluzione pacifica della vicenda risulterebbe improbabile. E forse guarderemo davvero alle manovre degli ultimi giorni come a una prova generale di invasione”. 

Taiwan, una storia di contese e “ultime frontiere”

Di grande interesse e utilità è il report storico-politico di Antonio Bonanata per Rai News: “Tolto il fronte ucraino, l’isola di Taiwan rappresenta forse il groviglio geopolitico più caldo di questi mesi, con un’ulteriore impennata di tensione nelle ultime settimane. L’idea ormai dominante è di un sempre maggiore accerchiamento di quella che, nella vulgata, viene descritta come “isola contesa” da parte della Cina, delle sue navi e dei suoi aerei; ma che è, di fatto, un territorio libero e indipendente e tale vuole continuare ad essere.

L’antica Formosa (la “Lussureggiante”, come la chiamarono i colonizzatori portoghesi nel XVI secolo) fin dal VII secolo d.C. era stata oggetto di scorribande di pirati cinesi e giapponesi. La sua strategica posizione, infatti, a metà tra il Mar Cinese Orientale e quello Meridionale, l’ha quasi condannata – si può dire – a un futuro di rivendicazioni e di tentazioni d’annessione, cosa che in questi giorni si sta puntualmente riproducendo.

Nella prima metà del XVII secolo, entrata nell’orbita dell’impero olandese, Taiwan diventa hub logistico per le rotte commerciali di Amsterdam; ma l’influenza dura poco: nel 1644 la Cina annette l’isola nel suo sistema dei tributi e gli abitanti di Formosa non possono far altro che piegarsi al volere del potente vicino. Nel 1683, infine, la definitiva annessione all’impero cinese.

Le sorti della “Lussureggiante” si riaprono all’influsso occidentale nel 1858, quando con il Trattato di Tientsin, che mette fine alla Seconda guerra dell’oppio (1856-1860) tra Cina e Regno Unito, Formosa torna a immaginare un futuro di libertà sotto l’ala protettrice delle potenze europee e degli Usa. Ma passano pochi anni e Taiwan è di nuovo oggetto di contesa: alla fine del XIX secolo, infatti, il Giappone sconfigge la Cina nella Prima guerra sino-giapponese (combattuta per il controllo della penisola coreana) e si annette anche la piccola ma super-strategica isola posta di fronte alle coste cinesi (la separano solo 150 km di mare).

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Rimasta sotto il vessillo del Sol Levante sino alla fine della Seconda guerra mondiale (quando l’impero nipponico fu sconfitto dagli Alleati), Taiwan tornò sotto l’influsso cinese a metà degli anni Cinquanta del XX secolo, quando dopo la fine della guerra civile con i comunisti di Mao vi fu posto il governo nazionalista. Ed è proprio nel 1949 che Taiwan è diventata “l’ultima frontiera”, il territorio che racchiude processi storico-politici secolari e simboleggia più di un semplice pezzo di terra contesa. Il generale nazionalista Chiang Kai-shek e il suo partito Kuomintang (Kmt), sconfitti dal Grande Timoniere, si rifugiano a Taipei, che viene riconosciuta come capitale dell’esiliata Repubblica di Cina (diversa dalla Repubblica popolare).

Punto di riferimento per gli Stati Uniti per un ventennio, il governo nazionalista taiwanese nel 1971 perde il suo seggio presso l’Onu a favore della Repubblica comunista di Pechino. Con il successivo isolamento internazionale, che si accentuerà dal 1978 in poi, con la fine dei rapporti diplomatici con Washington, l’isola vive un parallelo periodo di prosperità economica e di forte industrializzazione, che la fa competere con le potenze regionali di Corea del Sud, Singapore e Hong Kong.

L’inesorabile processo di democratizzazione del governo di Taipei la porta, con una serie di veloci tappe, a godere dell’appoggio delle potenze occidentali: nel 1987 viene soppressa la legge marziale, nel 1996 si tengono le prime elezioni libere, nel 2000 il candidato del Partito progressista democratico (diverso, quindi, dal Kuomintang) si impone alle urne. Contemporaneamente, i rapporti con Pechino – dall’iniziale tensione e chiusura – si fanno sempre più distesi sin dalla fine degli anni Ottanta.

Il 1992 è l’anno-simbolo: viene stabilita la regola del Consenso, secondo cui c’è “una sola Cina” e ogni relazione diplomatica tra i due soggetti politici deve essere impostata secondo questo principio. Nella prima metà degli anni Novanta, allo stesso tempo, si sviluppavano forti relazioni economiche, anche in virtù dell’intensa crescita economica di Taiwan. I rapporti tornarono a essere tesi nel 1996, quando la Cina (nel corso delle elezioni presidenziali a Taipei), svolse imponenti esercitazioni militari nello Stretto di Formosa (proprio come quelle condotte in questi ultimi tre giorni); gesto ripetuto nel 1997, con il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese. Un anno dopo furono ripresi colloqui informali.

Il principio del Consenso, secondo l’accusa di Xi Jinping, è stato letteralmente calpestato dall’attuale presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, accusata da Pechino di ribellione. Alla luce di questa tesi si spiegano i frequenti contatti con l’alleato americano e la recente visita di Tsai Ing-wen in California (o la discussa missione a Taipei dell’ex speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi). Da parte sua, il leader di Pechino ha segnato in rosso una data: il 2049, centesimo anniversario della nascita della Repubblica popolare. Entro quell’anno, infatti, la “provincia ribelle” dovrà essere tornata sotto il dominio del Dragone”.

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