Tunisia, autoritarismo, crisi economica, macelleria sociale: i push factor di una fuga biblica

Autoritarismo, crisi economica, devastazione sociale. Sono questi i fattori scatenati di una fuga biblica dalla Tunisia

Tunisia, autoritarismo, crisi economica, macelleria sociale: i push factor di una fuga biblica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Aprile 2023 - 18.39


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Quello della Tunisia è diventato il “mare della morte” (35 le vittime accertate nell’ultimo naufragio della vigilia di Pasqua) perché la Tunisia è diventata un Paese da cui fuggire.

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Autoritarismo, crisi economica, devastazione sociale. Sono questi i fattori scatenati di una fuga biblica.

Il fattore Saied

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Sa un report di Agenzia Nova: “Dopo le dichiarazioni del presidente della Repubblica della Tunisia, Kais Saied, contro i “dettami” dall’estero e le richieste “inaccettabili” dei creditori stranieri, sarà molto difficile per il Paese nordafricano ottenere un prestito da 1,9 milioni di dollari dal Fondo monetario internazionale (Fmi) entro il 2023. Lo ha dichiarato oggi l’analista finanziario ed economico Bassem Ennaifer al sito web d’informazione “Tunisie Numerique”. L’impatto delle parole del capo dello Stato “è stato immediato: il valore delle obbligazioni tunisine è subito diminuito sui mercati, il che significa che i rischi per l’economia tunisina sono elevati. Ciò comporterà infatti grandi difficoltà nelle operazioni di approvvigionamento”, ha detto Ennaifer. L’esperto ha avvertito che ora gli operatori economici privati, ma anche gli Stati, potrebbero “non essere in grado di ottenere il rimborso dei debiti” da parte di Tunisi “Inoltre, le agenzie di rating declasseranno nuovamente la Tunisia”, ha spiegato l’economista, spiegando che questa circostanza potrebbe provocare un nuovo aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse, con un conseguente e significativo rincaro dei prezzi per la popolazione.

Intanto, il debito estero della Tunisia è aumentato a tal punto da assorbire quasi l’85 per cento delle entrate derivanti dal turismo e dalle rimesse dei tunisini residenti all’estero, che costituiscono la maggiore fonte di valuta straniera per il Paese, riducendone la riserva. È quanto emerge dalla nota quotidiana sugli indicatori finanziari e monetari della Banca centrale tunisina, riportata da sempre da “Tunisie Numerique”. Secondo il documento, il debito estero della Tunisia è di 2.450 milioni di dinari (circa 738 milioni di euro) ed è pari al 244 per cento delle entrate del settore turistico, che ammontano complessivamente a 1.004,2 milioni di dinari (302 milioni di euro). Le rimesse dei tunisini all’estero, invece, in leggero aumento negli ultimi due anni, sono stimate in 1.889,3 milioni di dinari (569 milioni di euro).

L’aumento del debito estero aggrava dunque la già critica situazione economica della Tunisia. Negli ultimi mesi, uno degli elementi che ha destato maggiore preoccupazione per la situazione economica tunisina è stata la decisione del Fondo monetario internazionale (Fmi) di ritardare l’approvazione finale del maxi-prestito di 1,9 miliardi di euro, inizialmente prevista per il 19 dicembre. Una mossa che rischia di bloccare la catena dei finanziamenti internazionali necessari ad evitare il tracollo finanziario del Paese. Per ammissione della direttrice generale delle risorse e dei saldi presso il ministero delle Finanze, Ibtisam Ben Aljia, la Tunisia dovrebbe mobilitare da prestiti esterni entro fine anno ben 5 miliardi di dinari (1,47 miliardi di euro). E senza la prima tranche dell’Fmi, i creditori potrebbero tirarsi indietro, sia quelli occidentali che gli arabi del Golfo. Ma per il presidente della Repubblica tunisina Saied, i dettami imposti alla Tunisia dall’Fmi “sono inaccettabili” e rischiano di provocare un ulteriore impoverimento del Paese. Per il presidente tunisino esiste un’alternativa, ovvero “contare su noi stessi”. “La pace civile non è una cosa semplice”, ha poi affermato Saied, aggiungendo: “Vogliamo che il mondo rispetti la volontà del popolo tunisino”.

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Lo scorso primo aprile, la ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, aveva chiesto all’omologo tunisino, Nabil Ammar, di chiudere il prima possibile i negoziati per un accordo con l’Fmi. Si era trattato dunque di un “primo contatto positivo tra i ministri” durante il quale era stato ribadito “il sostegno immancabile della Francia al popolo tunisino, soprattutto di fronte all’emergenza economica”, come aveva scritto il dicastero francese in un messaggio su Twitter. Secondo Parigi, tuttavia, la priorità è “la finalizzazione dell’accordo con l’Fmi”. Ammar, da parte sua, aveva garantito la disponibilità a proseguire “il dialogo costruttivo con tutti i partner della Tunisia, per accompagnare le riforme volute dai tunisini dopo l’esperienza dell’ultimo decennio”. Negli ultimi mesi, anche l’Italia, sia singolarmente, sia all’interno dell’Unione europea, si era mobilitata per cercare un modo di far uscire la Tunisia dalla crisi economica. Lo scorso 27 marzo, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, aveva avuto un incontro a Tunisi con il presidente tunisino, Kais Saied, incentrato sulla necessità di siglare l’accordo con l’Fmi per sbloccare il prestito. Lo scorso gennaio, inoltre, il ministro degli Esteri dell’Italia, Antonio Tajani, aveva dichiarato che se l’Fmi decide di intervenire, Roma non avrebbe alcun problema a sostenere la Tunisia”.

Racconto dal campo

E’ quello a firma Matteo Garavaglio, da Tunisi, per Il Manifesto: “Oggi parlare di Tunisia significa affrontare crisi sistemiche: politiche, economiche e sociali. L’ultima in ordine di tempo riguarda la comunità subsahariana, da anni parte fondamentale del tessuto tunisino e oggi corpo estraneo alle dinamiche interne del piccolo Stato nordafricano, almeno a livello apparente.

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Il 21 febbraio scorso il presidente della Repubblica Kais Saied ha fatto sapere alle 21mila persone presenti sul territorio nazionale di non essere più le benvenute: «Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia. La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili, è il momento di mettere la parola fine a tutto questo», le dichiarazioni del responsabile di Cartagine che hanno portato a un’ondata di attacchi e violenze nei confronti di cittadini che fino al giorno prima lavoravano in maniera regolare o meno, studiavano o aspettavano di partire verso l’Italia per scappare dalla povertà dei propri paesi di origine e dalle aggressioni di stampo razzista, un problema che in Tunisia precede le parole di Saied.

Nonostante Paesicome Costa d’Avorio, Mali e Guinea abbiano messo a disposizione voli di rimpatrio volontario per gestire le numerose richieste di rientro, gli arrivi a Lampedusa negli ultimi giorni hanno riacceso la parola «emergenza» per descrivere l’aumento delle partenze dalla Tunisia. Aumenti che non si possono descrivere solo a livello di cifre ma che vanno inquadrati nelle esperienze di chi ha vissuto in prima persona le conseguenze degli attacchi xenofobi da parte del presidente, poi successivamente ritirati.

Abayomi (nome di fantasia, ndr), 30 anni, viene dalla Costa d’Avorio e per giorni si è recato all’ambasciata del suo Paese per richiedere la carta consolare, un documento che a quanto pare offre protezione nel caso venisse fermato per strada dalla polizia. Il passaporto lo ha dimenticato nella sua vecchia casa.

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«Non ho neanche avuto il momento di pensare. All’improvviso sono entrati dei tunisini nella mia stanza e mi hanno lanciato pietre dicendomi di andarmene. Da un giorno all’altro ho perso tutto. Ho pensato di tornare in Costa d’Avorio ma lì la situazione è anche peggio, devo pensare a mia madre. Sono venuto qui per andare in Europa ed è quello che farò, anche se al momento non posso lavorare». Per rifare il passaporto Abayomi dovrebbe recarsi in un commissariato e fare denuncia. Il rischio è di venire arrestato una volta dichiarata la propria posizione di irregolarità.

Nonostante il governo abbia chiarito le sue posizioni e ritirato le pesanti accuse promosse da Saied, oggi la Tunisia resta un Paese particolarmente pericoloso per la maggior parte dei subsahariani. In questi giorni a Lampedusa sono arrivate principalmente persone originarie dell’Africa occidentale, primo segnale dell’insicurezza che offre al momento il piccolo Stato nordafricano ma che non deve stupire.

Come sottolinea il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), i veri effetti di questa situazione si sapranno nei prossimi mesi o addirittura anni. Il viaggio resta un’opzione estrema i cui rischi sono valutati nel minimo dettaglio: «In questi giorni ho visto molti video di naufragi e di intercettazioni della Guardia costiera. Ogni giorno mi chiedo se partire o meno ma quando vedo i miei amici che mi mandano video dall’Italia, che altro posso fare?», continua Abayomi.

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Lo scoppio di questa ennesima crisi migratoria non deve aver fatto felice il governo italiano, da anni (prima del mandato di Giorgia Meloni) impegnato ad avere l’aiuto di Tunisi nella lotta all’immigrazione clandestina. L’ultimo incontro tra i vertici italiani e tunisini risale a gennaio 2023 e, giusto il giorno dopo le dichiarazioni di Saied, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso il suo pieno appoggio al governo di Najla Bouden.

Nel frattempo il presidente continua nel suo disegno autoritario per la Tunisia. Congelato il parlamento e sciolto il governo il 25 luglio 2021, cominciato a governare con pieni poteri e organizzato elezioni per il rinnovo del parlamento dove l’unica notizia è stato il tasso di astensione, ha inaugurato ieri la prima plenaria dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, chiusa da quasi due anni. Eletti presidente e vicepresidente dell’Arp, la novità è stata il divieto di accesso ai giornalisti della stampa tunisina e internazionale”.

Uno Stato in default

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A tratteggiarlo in una interessante intervista a Francesco De Palo per Formiche.net è Akram Ezzamouri, ricercatore del programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dello Iai (Istituto affari internazionali) 

“Il Paese  – rimarca l’analista – sta attualmente attraversando una situazione economica molto critica e si sta riprendendo a fatica dagli impatti della pandemia da Covid-19 e della guerra Russia in Ucraina. L’aumento dell’inflazione, che secondo gli ultimi dati ha raggiunto il 10,4%, il tasso di disoccupazione del 15,2% e la carenza di beni di prima necessità stanno alimentando il malcontento dei tunisini e ne stanno compromettendo le condizioni di vita. Mentre la situazione economica attuale deve molto anche alle dinamiche politiche e partitiche che hanno caratterizzato la Tunisia post-2011, la deriva autoritaria avviata dal presidente Kais Saied sta avendo un impatto molto importante nell’esacerbarne le condizioni. Il Paese sta attraversando una deriva autoritaria avviata ormai dal luglio 2021, mese in cui il Presidente tunisino ha dato il via a uno smantellamento dei fragili e neonati apparati (e dinamiche/check and balances) democratici del Paese, arrivando fino alla stretta degli ultimi mesi. Le ultime settimane sono state caratterizzate infatti da un’ondata di incursioni e arresti che hanno preso di mira politici, membri della società civile, attivisti e giornalisti, nonché da dichiarazioni cospiratorie che hanno alimentato le ostilità e le discriminazioni violente contro i migranti subsahariani che vivono in Tunisia.

Tuttavia, il dinamismo diplomatico che ha investito alcuni paesi dell’UE (e l’Ue), tra cui l’Italia in prima fila, esprime i timori principalmente per il collasso economico del Paese e per l’immigrazione, mancando di considerare lo stretto legame che esiste tra situazione politica e situazione economica. Questo approccio contribuisce a considerare un’emergenza quella in Tunisia solamente quando Italia ed Europa ne sono direttamente intaccati (in questo caso soprattutto sul fronte migratorio).

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Per far fronte alla situazione politica domestica il sindacato UGTT ha promosso, insieme a diverse organizzazioni partner una nuova “Iniziativa di Salvezza” con l’obiettivo di risolvere la situazione politica del paese. Ad ogni modo, di questa iniziativa si sa poco e gli osservatori dubitano del suo successo. Considerata la limitata inclusività del processo intrapreso e la scarsa propensione di Saied a impegnarsi con tutti gli attori, è improbabile che la tabella di marcia che verrà presentata e proposta ottenga il supporto di partiti di opposizione e organizzazioni di società civile mancando così di slancio e trazione necessari per l’uscita del paese dalla crisi politica.

Quanto al peso della Wagner sull’incremento del flusso di migranti verso l’Italia,Ezzamouri rileva:“Il Gruppo Wagner è stato ed è attivo in diversi paesi in tutto il mondo, principalmente in contesti di conflitto o di instabilità politica, come Siria, Libia, Centrafrica e Mali. Tuttavia le attività del gruppo sono soprattutto operazioni militari e al momento non esistono prove che suggeriscono il coinvolgimento diretto di Wagner nel favorire la migrazione dall’Africa verso l’Europa. E’ comunque vero che l’instabilità alimentata anche da Wagner in altri contesti possa essere un ulteriore driver indiretto di migrazioni.

Per quanto riguarda la Tunisia, quello che contribuisce a giustificare l’impennata di partenza dalle coste del Paese è l’instabilità economica e soprattutto politica del paese, senza considerare la sfida del cambiamento climatico che impatta gravemente sulle condizioni di vita offerte da diversi paesi del mediterraneo e specialmente dalla Tunisia”.

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Da questa condizione insostenibile fuggono in massa. Ma l’Italia e l’Europa continuano a ricercare nella sponda Sud del Mediterraneo “gendarmi” da finanziare e armare per fare il lavoro sporco al posto nostro. Kais Saied è uno di questi.

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