Israele: la rivoluzione democratica inchioda il governo dei "golpisti"
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Israele: la rivoluzione democratica inchioda il governo dei "golpisti"

La rivolta che sta mettendo in crisi il primo ministro più longevo nella storia d’Israele, Benjamin “Bibi” Neanyahu, raccontiamo una giornata eccezionale quasi in diretta.

Israele: la rivoluzione democratica inchioda il governo dei "golpisti"
Israele proteste contro il governo Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Marzo 2023 - 14.31


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Globalist ha raccontato in presa diretta la “rivoluzione democratica” che sta scuotendo Israele. Lo ha fatto con il contributo prezioso delle più autorevoli firme del giornalismo israeliano. Lo ha fatto dando voce alla protesta dal basso che si è sviluppato nelle dodici settimane che hanno cambiato il volto dello Stato ebraico. Lo abbiamo fatto dando risalto al movimento dei “refusenik”, i militari che si sono opposti al “golpismo” della ultradestra al governo. 

La rivoluzione democratica.

Ed oggi che i riflettori mediatici internazionali, e nostrani, tornano a inquadrare Israele e la rivolta che sta mettendo in crisi il primo ministro più longevo nella storia d’Israele, Benjamin “Bibi” Neanyahu, raccontiamo una giornata eccezionale quasi in diretta.

Rivolta nella notte, in Israele. Il premier Benjamin Netanyahu ha licenziato il ministro della Difesa Yoav Galant (contrario al provvedimento sulla Giustizia) e i leader delle proteste anti-riforma hanno indetto subito diverse manifestazioni in tutto il Paese. Scontri da Tel Aviv a Gerusalemme, anche nei pressi della residenza del premier. Secondo i media israeliani, sono scese in strada centinaia di migliaia di persone. La polizia ha aperto gli idranti e lanciato lacrimogeni. Ora Netanyahu starebbe valutando di ritirare la riforma. Il presidente Herzog chiede di fermarla. E i partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism sarebbero pronti a sostenere la sua decisione. 

Se la legge di riforma giudiziaria sarà fermata, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, si dimetterà dal suo incarico pur continuando ad appoggiare dall’esterno la maggioranza. È quanto – secondo i media – avrebbe detto in queste ore al premier Benyamin Netanyahu intenzionato, in base a molte fonti, a fermare il provvedimento di fronte alla estesa protesta in corso nel Paese.
Intanto il presidente della Commissione Costituzione della Knesset Simchà Rothman (Sionismo Religioso) – uno degli architetti della contestata riforma – ha invitato i sostenitori della destra a manifestare a supporto della legge contro la sua sospensione. “Non ci ruberanno le nostre elezioni”, ha scritto su Twitter e citato dai media invitando la base a manifestare fuori della Knesset a Gerusalemme e a non “mollare sulla scelta del popolo”. Il leader del sindacato dei dipendenti degli aeroporti israeliani Pinchas Idan ha annunciatol’arresto immediato di tutti i decolli dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Si tratta, ha spiegato, di una protesta nei confronti della grande riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu e contro il licenziamento del ministro della difesa Yoav Gallant. Poco prima il leader della centrale sindacale Arnon Bar David aveva preannunciato uno sciopero generale in tutto il Paese se Netanyahu oggi non fermerà quella riforma. 

Bloccato da uno sciopero a sorpresa anche il porto commerciale di Ashdod, nel sud di Israele. In mattinata uno sciopero improvviso è stato proclamato anche negli ospedali. Le università hanno annunciato il blocco ad oltranza delle lezioni in quanto, hanno affermato “non ci può essere vita accademica dove non c’è più democrazia”. Chiusi anche numerosi centri commerciali, ed agitazioni fra i dipendenti del ministero della giustizia. Secondo i media è possibile inoltre una chiusura delle filiali delle banche, anche se essa richiede una autorizzazione particolare. I trasporti pubblici sono stati autorizzati a continuare a fornire i loro servizi. Ciò anche, è stato spiegato, per consentire ai dimostranti di raggiungere Gerusalemme per partecipare ad una grande manifestazione di fronte al parlamento.

McDonald’s ha annunciato che tutti i suoi punti vendita in Israele chiuderanno lunedì per la massiccia adesione dei dipendenti allo sciopero generale. Tra le tante categorie che stanno aderendo all’astensione dal lavoro contro la riforma giudiziaria e il licenziamento del ministro della Difesa, che si è schierato per il “no”, ci sono anche gli infermieri che hanno deciso di fermarsi: “Chiediamo di fermare la legislazione e avviare un dialogo tra le parti. Lavoriamo tutti insieme per salvare vite umane, indipendentemente dal background di qualsiasi persona, è tempo di agire insieme per la protezione nazionale”.

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Dopo il licenziamento da parte del premier Netanyahu del ministro della Difesa Yoav Gallant, i leader delle proteste anti riforma hanno indetto da subito una manifestazione a Tel Aviv di fronte al ministero della Difesa. Altri manifestanti sono andati a dimostrare in segno di solidarietà sotto la casa dell’ex ministro, a Gerusalemme, e proteste si sono svolte anche a Beersheva e ad Haifa. I leader delle proteste hanno indetto una manifestazione di massa alle 14 (ora locale) davanti la Knesset a Gerusalemme. “Non consentiremo alcun compromesso – hanno sostenuto – che danneggi l’Indipendenza della Corte Suprema”. Gli stessi hanno chiesto che il ministro Gallant sia riportato alla responsabilità della difesa. Oggi il governo ha convocato una Commissione che intende modificare il meccanismo di nomina dei giudici della Corte assicurando alla maggioranza politica la preminenza nella scelta. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha attaccato la decisione di Netanyahu, sostenendo che “il premier può licenziare il ministro, ma non può licenziare la realtà del popolo di Israele che sta resistendo alla follia della maggioranza”.  Il segretario generale dell’Histadrut, il potente sindacato laburista, Arnon Bar-David, ha annunciato una conferenza stampa per oggi durante la quale potrebbe annunciare uno sciopero generale.

Il ministro della Giustizia israeliano, Yariv Levin, chiamato dal premier proprio col compito di sovrintendere la riforma del sistema giudiziario con l’obiettivo di ridurre il potere della Corte suprema, ha annunciato che “rispetterà” l’attesa decisione da parte di Netanyahu di fermare la riforma giudiziaria, avvertendo però che l’attuale situazione caotica potrebbe causare l’immediata caduta del governo. Motivo per il quale, ha sottolineato il Guardasigilli, “occorre uno sforzo da parte di tutti per stabilizzare il governo e la coalizione”. 

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha rinnovato l’appello al governo e al premier Netanyahu a fermare il progetto di riforma della giustizia dopo la nottata di proteste che ha scosso il Paese. “Per il bene dell’unità del Popolo d’Israele, per le responsabilità a cui siamo tenuti io vi invito a fermare immediatamente il processo legislativo”, ha affermato il capo di Stato.

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è “profondamente preoccupata” per gli sviluppi in Israele e la decisione del Primo ministro di licenziare il ministro della Difesa. Lo ha dichiarato la sua portavoce Adrienne Watson. Gli eventi “sottolineano ulteriormente l’urgente necessità di un compromesso”. Come il presidente ha recentemente discusso con il primo ministro Netanyahu, “i valori democratici sono sempre stati, e devono rimanere, un segno distintivo delle relazioni Usa-Israele. Le società democratiche sono rafforzate da controlli ed equilibri e i cambiamenti fondamentali in un sistema democratico dovrebbero essere perseguiti con la più ampia base possibile di sostegno popolare”, ha aggiunto.

“He is unfit”

“Non è adatto”. 

E’ il titolo dell’editoriale di Haaretz. L’inadatto in questione è Benjamin Netanyahu.  “Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant domenica sera. Lo ha fatto non perché Gallant stesse facendo un cattivo lavoro, ma il contrario: perché ha fatto la cosa giusta. Per proteggere l’esercito dal crollo, Gallant ha detto che era necessario fermare la legislazione distruttiva che avrebbe sconvolto il nostro sistema di governo. In questo modo ha agito in modo responsabile e da statista, ma ha violato il codice mafioso dei fan sfegatati di Netanyahu. Il prezzo è stato immediato e crudele. Gallant aveva ragione quando sosteneva che la legislazione doveva essere fermata immediatamente a causa di un “chiaro e attuale pericolo” per la sicurezza nazionale. “Nelle ultime settimane è successo qualcosa”, ha detto Gallant. “Ho incontrato comandanti e soldati prima delle operazioni. Ho sentito le voci provenienti dal campo e sono preoccupato”. Poi ha detto in modo inequivocabile: “Non darò una mano a questo”.

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Ora, tutti i deputati del Likud che hanno ancora un briciolo di integrità e si sentono responsabili per il futuro di Israele devono trovare il coraggio di unirsi a Gallant nell’opporsi alla revisione legale. Il deputato Yuli Edelstein ha dichiarato domenica che la sua assenza al voto iniziale della Knesset su questa legge non è stata casuale, lasciando intendere che non la sosterrà nemmeno nelle votazioni finali. Il deputato David Bitan si è detto contrario a portare avanti la legge, ma non ha ancora deciso come voterà. Possiamo solo sperare che trovino il coraggio di andare fino in fondo e che la loro coraggiosa opposizione sia d’ispirazione per molti altri deputati del Likud che hanno il voltastomaco per l’assalto alla democrazia israeliana da parte di Netanyahu e dei suoi partner e per i danni che si accumulano al tessuto vitale, alla sicurezza e all’economia del Paese. Più persone nel Likud troveranno il coraggio di unirsi a loro per opporsi all’avanzamento della legislazione, maggiori saranno le possibilità di salvare Israele. A differenza di Gallant, il Ministro dell’Agricoltura Avi Dichter sembra vedere la crisi che sta colpendo Israele come un’opportunità di promozione. Anche se in conversazioni private si è detto contrario all’approvazione della legge senza dialogo, domenica ha annunciato che la sosterrà nelle votazioni finali della Knesset. Secondo fonti del Likud, Netanyahu sta pensando di sostituire Gallant con Dichter. Possiamo solo sperare che si tratti di un’ulteriore manovra di Netanyahu volta ad aiutarlo a dividere e governare. Altrimenti, Dichter potrebbe ancora passare alla storia di Israele come il brutto profittatore del colpo di Stato contro il nostro sistema di governo. Ai deputati del Likud che ancora si ostinano a tacere e a sostenere la legge va detto chiaramente che Israele è a un bivio storico e il suo futuro è nelle loro mani. Non devono rimanere in silenzio di fronte alla decisione irresponsabile di Netanyahu di licenziare Gallant, dando così una mano alla distruzione di Israele”.

Un Paese al bivio

Così lo racconta Noa Landau, tra le più brillanti firme di Haaretz, in un articolo dei giorni scorsi:
“All’inizio della settimana più critica della storia di Israele, dopo che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha spento, in diretta TV, la fantasia infondata che si sarebbe comportato come un leader responsabile e avrebbe fermato il colpo di Stato, si sta cominciando a capire che è più probabile che il freno non sarà la Knesset ma piuttosto l’Alta Corte di Giustizia, il che potrebbe portare a una crisi costituzionale. Anche in questo scenario, c’è chi continua a illudersi che il Likud, o almeno alcuni dei suoi legislatori e membri del gabinetto, dimostreranno responsabilità verso lo Stato e rispetto per la legge.

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È probabile? Ricordiamo un episodio del passato non così lontano. Esattamente tre anni fa, il 25 marzo 2020, il Likud sfidò apertamente una sentenza dell’Alta Corte. Nessuno ha bloccato l’autostrada Ayalon, nessun deposito è stato trasferito all’estero, i riservisti non si sono rifiutati di fare i volontari, le donne non hanno marciato in abito rosso, eppure la crisi costituzionale che ora minaccia di smantellare le fondamenta della democrazia era già iniziata. È stato l’inizio della pandemia di coronavirus, dell’induzione della Knesset che ha portato all’insediamento del governo Netanyahu-Gantz. Dopo le elezioni del 2 marzo, i 61 membri della Knesset richiesti hanno chiesto un voto per sostituire il presidente della Knesset Yuli Edelstein. Il famoso “moderato” Edelstein ha rifiutato di dimettersi. Il suo partito Likud, che non è riuscito a raccogliere la maggioranza per formare una coalizione, temeva di perdere l’esca necessaria per attirare Benny Gantz nel proprio governo; ha cercato di ritardare il più a lungo possibile l’elezione di un nuovo presidente tra le fila di Kahol Lavan, Labor-Meretz, Yisrael Beiteinu e Joint List, che avrebbe potuto influire sulla sua capacità di formare un altro governo.


La storia si ripete sempre. Così come è irragionevole aspettarsi che Netanyahu cambi improvvisamente aria, è irragionevole aspettarsi che il Likud si comporti oggi in modo diverso nel caso in cui la sentenza dell’Alta Corte non sia di suo gradimento. Pensate che le persone che votano per impedire la squalifica di un primo ministro, per consentire ai funzionari di accettare donazioni per pagare le loro spese legali e per permettere a criminali condannati di far parte del gabinetto si preoccupino della legge? A questo punto farebbero qualsiasi cosa non solo per rimanere al potere, ma per mantenerlo per sempre. La prossima settimana, fino alla pausa pasquale, è davvero la più critica nella storia dello Stato. Abbiamo il dovere di protestare con tutte le nostre forze per cercare, contro ogni previsione, di fermare l’acquisizione politica del Comitato per le nomine giudiziarie. Ma se la legge passerà, dovremo abbandonare l’illusione che esista una soluzione magica a questa crisi. Non c’è. Così come è stata lunga la strada che ci ha portato a questo punto, lo sarà anche quella per uscirne. Fate un respiro profondo. Le battaglie formative appaiono sempre lente, estenuanti e brutte da vicino. Solo a distanza di tempo possono essere riassunte con esaltante chiarezza”.

Gerusalemme, primo pomeriggio. Almeno in 100mila sono davanti alla Knesset. Le forze di polizia sono in stato  di massima allerta.. Come riporta Haaretz citando fonti di alto livello, l’allerta riguarda la presenza – anche quella annunciata sui social – de “La Familia”, gruppo ultras del Beitar Gerusalemme. La curva del Beitar è di estrema destra e scende in piazza in sostegno di Netanyahu. Nella sua storia, La Familia è stata protagonista di numerose violenze xenofobe

La rivoluzione continua. E Globalist continuerà a raccontarla.

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