I migranti affogati venivano da Afghanistan, Iraq e Siria: in fuga dalle guerre ignorate
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I migranti affogati venivano da Afghanistan, Iraq e Siria: in fuga dalle guerre ignorate

I migranti affogati nella strage di Cutro venivano da paesi dove si combatte e si muore nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale

I migranti affogati venivano da Afghanistan, Iraq e Siria: in fuga dalle guerre ignorate
I migranti morti nel naufragio di Cutro
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Febbraio 2023 - 12.47


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Non è un dato di cronaca. E’ un possente atto d’accusa verso la comunità internazionale. Verso quell’Occidente che blatera di valori da difendere in Ucraina e ignora colpevolmente le altre guerre che affliggono il pianeta. Le guerre “ignorate”. I popoli dimenticati. E traditi da quello stesso Occidente che in alcuni di quei Paesi ha portato la guerra in nome di quei “valori” democratici presi a pretesto per scatenare conflitti che con quei valori conclamati, libertà, democrazia, difesa dei diritti umani,  non avevano nulla a che fare. I migranti provenivano da Iraq, Iran, Afghanistan e Siria. L’Afghanistan tradito. L’Afghanistan, che l’Occidente dopo venti anni di guerra, ha lasciato ignominiosamente in balia dei talebani. Una fuga vigliacca, scellerata, suggello d’infamia di un fallimento politico ancorché militare.

L’Iraq, che ha ancora su di sé le ferite di due guerre volute dagli Usa e che invece della stabilità hanno portato destabilizzazione in Medio Oriente. Quanto a popoli traditi quello siriano è ai primissimi posti. Tradito da un Occidente che non ha fatto nulla per fermare la mano del “macellaio di Damasco”, il presidente siriano Bashar al-Assad quando decise di fare guerra al “suo” popolo colpevole di essere sceso in strada, sull’onda delle “Primavere arabe”, per chiedere diritti, libere elezioni, giustizia. Un criminale di guerra che l’Occidente ha lasciato libero di usare armi di distruzione di massa contro i civili.

E l’Iran, dove il regime teocratico-militare degli ayatollah e dei pasdaran risponde con la più brutale repressione alla “rivoluzione dei diritti” che da mesi è in atto, nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale, tutta presa dall’invio di armi a Kiev.  Ognuna di queste guerre, ognuno di questi tradimenti produce tragedie umanitarie, costringe una moltitudine di esseri umani alla fuga. Una fuga disperata. Che per molti finisce tragicamente. Come racconta la strage di migranti consumatasi nel Crotonese.

La denuncia

Quei migranti potevano essere salvati. Non è vero che le condizioni del mare rendevano impossibile avvicinare la barca dei migranti”. A sostenerlo, durante Non è l’Arena, su La7, è stato Orlando Amodeo, per lunghi anni dirigente medico della polizia di Stato e da anni soccorritore a Crotone. A spiegare il mancato intervento delle autorità a causa del mare grosso erano stati in giornata il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la Guardia di Finanza. “Noi abbiamo imbarcazioni in grado di affrontare il mare anche a forza 6 o forza 7 – ha detto ancora Amodeo – Io sono salito a bordo di quelle imbarcazioni, qui in questi anni, e abbiamo compiuto salvataggi in condizioni simili”. Amodeo ha raccontato che lui stesso negli anni scorsi con mare forza 7 (come quello di oggi) con un barchino da pescatore. “Si parla di questo bambino morto? Se fosse stato figlio loro sarebbero usciti anche col mare forza 21” ha concluso Amodeo. Nel corso della giornata era arrivata la ricostruzione della Guardia di Finanza (in particolare il Reparto aeronavale di Vibo Valentia, competente per territorio) che aveva spiegato che il barcone probabilmente partito dalla Turchia 4-5 giorni fa era stato avvistato nella serata di ieri da un velivolo Frontex in attività di pattugliamento. E’ stato attivato il dispositivo per intercettarlo, con una vedetta e un pattugliatore veloce, “che, nonostante le proibitive condizioni del mare che questa notte insistevano lungo le coste, si sono impegnati nella ricerca”. Tuttavia, continua la nota, “le unità del Corpo, nonostante gli sforzi operati per raggiungere il target, considerate le difficili condizioni meteomarine e l’impossibilità di proseguire ulteriormente in sicurezza, facevano rientro agli ormeggi di base. Veniva così attivato il dispositivo di ricerca a terra, lungo le direttrici di probabile sbarco, coinvolgendo anche le altre forze di polizia nelle ricerche lungo la costa. Successivamente, le pattuglie e i soccorsi nel frattempo giunti sul posto, non potevano far altro che constatare lo spiaggiamento dell’unità ormai completamente smembrata”.

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Secondo le prime testimonianze delle persone sopravvissute al naufragio il peschereccio era partito da Mersin, una città costiera della Turchia sudorientale non lontana dalle zone più colpite dal devastante terremoto di inizio febbraio In molti altri casi le navi partono dai porti della Turchia orientale come Smirne o Bodrum. 

La rotta Est

Ne scrive, in un documentato report, Linkiesta: La rotta Est dei migranti, “ Quella che parte dalla Turchia – il Paese pagato con altri 6 miliardi dall’Europa per gestire i flussi di migranti – per arrivare direttamente sulle coste di Calabria e Puglia. Spesso a bordo di velieri, con costi molto più alti della rotta del Mediterraneo centrale. Ma più pericolosa, anche perché in questo tratto di mare le Ong non sono presenti. A percorrere la rotta Est sono soprattutto afghani, iracheni, pachistani, siriani. Molte sono famiglie in fuga da teatri di guerra, quelle che si affidano ai cosiddetti viaggi in “prima classe” delle rotte migratorie con biglietti dai 10mila ai 4mila dollari. Ma il timore ora, guardando le immagini della barca spezzata in due sulla spiaggia di Cutro, è che le grandi barche a vela affidate dai turchi a scafisti russi e ucraini possano aver lasciato spazio o essere stati affiancati da traversate meno costose e meno sicure su barconi fatiscenti capaci di ospitare centinaia di persone. Soprattutto dopo il terremoto che ha fatto migliaia di sfollati tra Turchia e Siria, il timore è che gli “standard” si siano abbassati. È la legge della domanda e dell’offerta, che vale anche per l’immigrazione. E i numeri da questa rotta, nonostante il muro tra Grecia e Turchia e i respingimenti verso le isole greche, sono raddoppiati. Frontex nel 2022 ha segnalato 29mila migranti sulla rotta dell’Egeo, 18mila dei quali sbarcati in Italia. Solo uno su tre è approdato in Grecia per poi provare a proseguire via terra attraverso i Balcani. E adesso, alla grande fuga dall’Afghanistan potrebbe aggiungersi quella dai territori della Turchia e della Siria devastati dal terremoto. Da Bodrum, da Smirne, da Izmir si parte direttamente verso l’Italia. Nel 2022 solo in Calabria sono sbarcate 18mila persone, il 15 per cento degli arrivi complessivi in Italia, il doppio rispetto ai 9.600 del 2021 e nove volte di più rispetto ai 2.500 del 2020. Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, spiega: «Chi arriva da questa rotta fugge da contesti drammatici di guerra e privazione dei diritti umani. Ci auguriamo che le grandi attestazioni di solidarietà di un anno e mezzo fa nei confronti del popolo afghano non vengano meno adesso. Si parla troppo di difesa dei confini, ma queste non sono persone da cui difendersi bensì persone disperate da proteggere. E l’approccio non può che essere umanitario. Fino a quando l’approccio sarà securitario, tragedie come questa non potranno che aumentare. Occorre dare priorità ai soccorsi in mare, anche al largo delle coste della Calabria, di cui devono farsi carico tutti i Paesi interessati e non solo l’Italia e si devono aprire canali di ingresso regolari che non esistono».

Cimitero-Mediterraneo

Lo documenta Il Sole24Ore: “Il numero continua a salire e tocca ormai quota 26mila in dieci anni. Già 225 nel solo 2023, calcolando quelli del naufragio di oggi davanti alle coste crotonesi. Erano stati 2.406 nel 2022. Sono le vittime dei viaggi della speranza. Migranti partiti dall’Africa e dall’Asia col sogno di raggiungere l’Europa. Ma annegati durante la traversata, prima di toccare terra. A volte a pochi metri dalla meta. come è accaduto per l’ultimo barcone partito dalla Turchia. Ed il Mediterraneo diventa così un vero e proprio cimitero che inghiotte i corpi senza più restituirli per la sepoltura o l’identificazione. E’ l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) a tenere il conto delle vittime con il Missing migrant project, attivo dal 2014.

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I naufragi “invisibili”

Il progetto prende in considerazione tre rotte: Mediterraneo Centrale, Occidentale e Orientale. La prima, che collega Libia e Tunisia all’Italia, è la più letale in tutto il mondo. Oltre 17mila tra morti e dispersi registrati dal 2014 ad oggi. E c’è evidenza che molti naufragi restano “invisibili” – appaiono imbarcazioni senza nessuno a bordo, oppure affiorano resti di barche – sfuggendo così al conto dell’Oim. Il numero delle tragedie è dunque sottostimato. Le cause dell’alta mortalità di questa rotta? È la più frequentata, ma c’è anche da considerare che i trafficanti di uomini impiegano gommoni e barche spesso fatiscenti. Ed a guidarle sono non di rado gli stessi migranti che vengono brevemente addestrati in modo sommario prima della partenza. Alla rotta occidentale sono attribuiti 2.300 morti, mentre 1.700 sono stati registrati in quella orientale.

Dalla Turchia un quinto degli arrivi

Proprio dalla Turchia, da Smirne, era partito il barcone affondato in Calabria. E da quell’area proviene circa il 20% degli arrivi in Italia. I trafficanti turchi utilizzano barconi in legno di più grandi dimensioni rispetto a quelli che partono da Libia e Tunisia, ma anche barche a vela. Il viaggio è infatti più lungo, c’è un migliaio di chilometri da percorrere e non si possono usare gommoni o barchini. La qualità delle unità messe in mare, che non di rado vengono condotte da scafisti russi e ucraini, è tuttavia frequentemente modesta. L’Unione europea ha concesso 6 miliardi di euro alla Turchia per fermare il flusso di migranti che arrivavano in Europa via terra, dai Balcani. Quel flusso è così drasticamente calato negli ultimi anni, ma una parte dei migranti che affollano la Turchia tenta la fortuna via mare puntando proprio verso 

Le stragi maggiori

La strage maggiore del Mediterraneo centrale, almeno tra quelle conosciute, risale al 19 aprile del 2015: un peschereccio partito da una spiaggia ad una cinquantina di chilometri da Tripoli si ribalta nel canale di Sicilia. Un numero certo di quanti fossero a bordo non c’è, ma molte testimonianze concordano che fossero circa 850 persone, tra cui una cinquantina di bambini. I sopravvissuti furono solo 28. Due anni prima all’alba del 3 ottobre 2013, l’orrore si era materializzato a due passi dall’isola dei Conigli, la spiaggia paradiso di Lampedusa. Un barcone di 20 metri partito da Misurata, in Libia, si rovescia a mezzo miglio dall’isola. Il bilancio è di 368 morti accertati ed una ventina di dispersi. Otto giorni dopo, altra tragedia, nota come la “strage de bambini”: affonda un barcone con a bordo circa 200 persone, tra cui una sessantina di minorenni.

Da Mare Nostrum a Triton

Proprio in seguito a questi eventi il Governo presieduto da Enrico Letta lancia la campagna Mare Nostrum, imponente missione di salvataggio in mare come navi ed aerei di Marina Militare ed Aeronautica. La sostituisce un anno dopo la missione a guida europea Triton. Si fa però strada il concetto di “pull factor”: assetti di salvataggio in mare, è la teoria, condivisa da molti nel Governo attuale, costituiscono un fattore attrazione delle partenze di migranti verso l’Europa. C’è stato quindi un progressivo depotenziamento dell’attività di soccorso Ue nel Mediterraneo.

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L’impegno delle Ong

Parallelamente, è scesa in acqua una flotta umanitaria – di ong tedesche in maggioranza, ma anche italiane, francesi e spagnole – che ha provato a non lasciare sguarnito il Canale di Sicilia. In tutti questi anni, tuttavia, i naufragi non si sono mai fermati. Per restare al 2023 lo scorso 14 febbraio si sono registrati 18 morti e 55 dispersi davanti alle coste libiche di Qasr Al-Akhyar, mentre il 24 sono stati 22 i morti a sud di Bengasi, sempre in Libia”.

“Modello Erdogan”

Globalist lo ha denunciato in un report del 23 gennaio scorso: Dopo il Memorandum infame con la Libia, ecco il patto scellerato con la Turchia. A darne conto è Libero, in totale ed entusiastica sintonia con la linea “securista” e anti Ong portata avanti sui migranti dal governo Meloni-Salvini-Piantedosi. 

Patto scellerato

Scrive Libero: “ Un patto che potrebbe cambiare radicalmente le carte in tavola sulla lotta all’immigrazione clandestina. Italia e Turchia unite per mettere un freno agli sbarchi senza sosta che si sono susseguiti negli ultimi anni. E a sottolineare l’intesa tra Roma e Ankara è arrivato un colloquio telefonico tra Matteo Piantedosi e il ministro degli Interni turco Suleyman Soylu. In base a quanto reso noto dal ministero degli Interni di Ankara, al centro del dialogo c’è stato il contrasto all’immigrazione clandestina e collaborazione tra Italia e Turchia su temi relativi la sicurezza e la guardia costiera. I due avrebbero anche parlato delle crescenti relazioni tra i due Paesi e su come incrementare la collaborazione tra il Viminale e Ankara. E l’intesa tra la Turchia e l’Italia sul fronte migranti era già nata alG20 di Bali nel colloquio tra Giorgia Meloni e il presidente turco Erdogan.  Nel corso del colloquio al G20 Meloni ed Erdogan si sono trovati d’accordo nella necessità di lavorare insieme per contrastare la migrazione irregolare e favorire la risoluzione della crisi libica. Inoltre, si legge in una nota, “hanno condiviso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali”.

 E ora l’intesa per un presidio sulle coste potrebbe rappresentare quel passo in più sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina. Una collaborazione su un tema così determinante per il Mediterraneo che potrebbe avere conseguenze anche sui “flussi” che arrivano con le navi delle Ong”.

Così il giornale diretto da Alessandro Sallusti. 

Cimitero-Mediterraneo. Dove si sono perpetrati crimini, consumate stragi di innocenti, decine di migliaia i morti affogati, dove, con i finanziamenti italiani ed europei, va avanti la pratica dei respingimenti forzati in mare condotti dalla cosiddetta Guardia costiera libica. Non importano i lager libici. Non importa lo scempio dei più elementari diritti umani, non importa che con i soldi, miliardi di euro, dell’Europa si finanzino autocrati sanguinari (Erdogan in primis) diventati Gendarmi del Mediterraneo. Ciò che conta, a Roma come a Bruxelles (UE), è sempre e solo l’esternalizzazione delle frontiere. Il patto scellerato con Ankara va in questa direzione. La Turchia il Paese pagato con altri 6 miliardi dall’Europa per gestire i flussi di migranti. E i risultati si vedono. Tragicamente si vedono. 

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