Apocalisse-Siria. Centinaia di migliaia di sfollati, senza più una casa a cui tornare, in questo momento sono costretti a sopravvivere in condizioni disastrose nei centri temporanei allestiti nelle zone colpite dal terremoto che ha devastato Siria e Turchia, lo scorso 6 febbraio. I rifugi sono sovraffollati e non ci sono servizi igienici adeguati, né acqua pulita sufficiente per tutti. Una situazione che aumenta esponenzialmente il rischio di nuove epidemie di colera. È l’allarme lanciato oggi da Oxfam, al lavoro per soccorrere la popolazione nei due Paesi. Una delle situazioni più critiche si registra ad Aleppo, dove in alcuni rifugi oltre 150 persone, incluse donne e bambini, sono costrette a condividere un unico bagno.
“Non c’è né privacy, né dignità – ha raccontato ai team di Oxfam una donna che si trova in uno dei centri allestiti in città – a volte devo aspettare anche una giornata intera per poter usare i servizi igienici”.
“I casi di colera in Siria erano già in aumento prima del terremoto e adesso il rischio di nuovi focolai è altissimo per chi si trova in tendopoli improvvisate o nelle moschee che ospitano gli sfollati – spiega Stefania Morra, responsabile del programma di azione umanitaria di Oxfam Italia – È fondamentale, in questo momento, impedire che ci siano nuove vittime per una malattia del tutto prevenibile”.
Non meno grave è la situazione in Turchia, dove fino ad oggi è stata messa a disposizione solo una parte dei container previsti dal Governo.
Anche qui centinaia di migliaia di famiglie si trovano in questo momento a dover arrangiarsi in piccoli rifugi improvvisati, privi di servizi igienici e senza acqua corrente.
“Non pensiamo al futuro, ma solo a sopravvivere giorno dopo giorno”, racconta Aziza Ahmet, una rifugiata siriana madre single di tre figli, che come tantissimi suoi compatrioti fuggiti in Turchia a causa della guerra iniziata 12 anni fa, si è ritrovata costretta a dover lasciare tutto ancora una volta.
La risposta di Oxfam in Siria e Turchia
In Turchia Oxfam sta fronteggiando l’emergenza assieme ad una rete di organizzazioni e cooperative femminili, in coordinamento con le autorità pubbliche, per accelerare l’allestimento di campi e rifugi adeguati; portando beni di prima necessità, cibo, coperte, acqua pulita e kit igienici agli sfollati; informando i sopravvissuti su dove trovare alloggio e creando spazi sicuri per donne e bambini. Con l’obiettivo di soccorrere 1,4 milioni di persone, anche attraverso il ripristino delle infrastrutture idriche distrutte dal sisma e il sostegno alla ripresa delle attività economiche.
Anche in Siria, ad Aleppo, i team di Oxfam sono al lavoro per portare beni di prima necessità, soprattutto acqua pulita e kit igienico sanitari a oltre 26 mila sfollati; si sta inoltre lavorando per testare la sicurezza di centinaia di edifici e per riparare le infrastrutture idriche che servono migliaia di persone, con l’obiettivo di portare aiuto a 300 mila siriani nei prossimi 6 mesi.
“Siamo impegnati in una corsa contro il tempo per soccorrere più persone possibile nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, ma le sfide e i bisogni qui sono enormi e crescono di ora in ora”, conclude Morra.
Un bilancio apocalittico.
Sono passate due settimane dal disastroso terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria nella notte fra il 5 e il 6 febbraio ma il conto dei morti continua a salire: la Protezione civile della Turchia ha detto che si sa che sono morte almeno 40.642 persone nel paese, a cui si devono sommare almeno 5.800 persone morte in Siria, secondo i dati del governo siriano e delle Nazioni Unite riportati da al Jazeera. In totale dunque i morti sono più di 46mila.
I dati non sono definitivi e sono destinati a crescere ulteriormente: in diverse città sono ancora in corso i lavori per liberare i corpi dalle macerie e anche oggi ci sono state notizie di ritrovamenti di superstiti. In Turchia circa un milione di persone ha dovuto abbandonare la propria casa perché distrutta o inagibile.
La denuncia di Msf.
Un convoglio umanitario di Medici senza frontiere (Msf), formato da 14 camion, è entrato ieriin Siria dalla vicina Turchia.
“Tuttavia – avverte la Ong in una nota -, è necessario un aumento urgente degli aiuti: nei dieci giorni successivi al terremoto, il numero di camion che hanno attraversato il confine è stato inferiore alla media del 2022”.
Il convoglio di Msf, entrato attraverso il valico di frontiera di Hammam, nel nordovest, trasporta 1.296 tende destinate alle famiglie (di almeno 5 persone) rimaste senza casa a causa del terremoto e altrettanti kit invernali per isolarle dal freddo. Altri convogli di aiuti di Msf, con forniture mediche e non, sono previsti nei prossimi giorni. “Abbiamo svuotato le nostre scorte di emergenza in tre giorni, donando agli ospedali quasi 12 tonnellate (4.000 metri cubi) di attrezzature chirurgiche e medicinali. Le nostre équipe hanno fornito supporto alle strutture sanitarie della zona fino all’esaurimento delle scorte” dichiara Hakim Khaldi, capomissione di Msf in Siria. “Ma non abbiamo visto alcun aiuto dall’esterno. Gli aiuti stanno arrivando in quantità trascurabili per il momento”. Tuttavia, avverte Msf, è necessario un aumento urgente del volume delle forniture per far fronte all’entità della crisi umanitaria.
Oltre al terribile bilancio umano, il sisma avrà pesanti ripercussioni geopolitiche.
Di grande interesse è l’analisi di Gilles Kepel, specialista del mondo islamico, sul Figaro, tradotta e pubblicata in Italia da Il Foglio.
Annota Kepel: “Il terremoto che ha devastato la Turchia orientale e il nord-ovest della Siria lunedì 6 febbraio ha provocato un trauma nella regione e una grande inquietudine in Europa”, scrive Gilles Kepel. “Il numero di morti è di 21 mila (la cifra, dalla pubblicazione del pezzo, è raddoppiata, ndr), e migliaia di edifici sono crollati come castelli di carta, perché molti non rispettavano le norme di costruzione antisismica, soprattutto nella Siria devastata da un decennio di guerra civile e di pessima governance. I governi europei hanno inviato aiuti e soccorritori, che si sono scontrati però con i problemi geopolitici che caratterizzano la regione colpita. I soccorsi alla Turchia sono stati mandati nonostante Erdogan moltiplichi i litigi con la Svezia e la Grecia, e sia in conflitto con la maggior parte delle istituzioni e dei governi europei. La necessità lo costringe temporaneamente a mettere in sordina il linguaggio xenofobo che è diventato uno degli asset della sua campagna per le elezioni presidenziali, previste per il 14 maggio (le conseguenze catastrofiche del terremoto, tuttavia, potrebbero ritardarle). Anche se può utilizzare lo stato di emergenza per mettere il bavaglio ai suoi avversari – Twitter è stato appena disattivato, malgrado il social network abbia svolto un ruolo chiave per le operazioni di soccorso – le gravi carenze e i ritardi nell’organizzazione dei soccorsi rischiano di ritorcersi contro il presidente turco, come lasciano presagire le numerose reazioni furiose delle vittime del terremoto.
Quanto ai soccorsi in Siria, il problema è ancora più complicato e sottomesso a dei blocchi politici. Da una parte il regime di Assad è colpito dalle sanzioni internazionali, dall’altra gran parte della zona colpita è sotto il controllo dei ribelli, i jihadisti nella provincia di Idlib, i soldati turchi a Afrin e i curdi dell’Ypg nel nord-est. I ritardi e le lentezze nell’arrivo dei soccorsi moltiplicano le vittime giorno dopo giorno, vittime che muoiono sotto gli edifici crollati perché le squadre di soccorso non possono arrivare sul posto in tempo. Se la Russia e qualche paese arabo inviano dei soccorsi nei territori controllati dal regime di Damasco, la provincia di Idlib resta invece in gran parte irraggiungibile, perché l’unico passaggio autorizzato a partire dalla Turchia è fuori uso a causa del terremoto. La regione frontaliera siro-turca è oggi uno dei peggiori focolai di tensioni geopolitiche, un epicentro le cui linee di frattura si prolungano attraverso tutto il medio oriente e verso l’Europa. Costituisce la soglia attraverso cui passarono, verso l’est, migliaia di jihadisti europei per raggiungere il “califfato” di Daesh alla fine del decennio 2010, e tramite la quale transitano oggi verso l’ovest e l’Europa milioni di migranti originari di una vasta zona che si estende fino al sub-continente indiano.
La stampa locale segnala evasioni di prigionieri jihadisti di Daesh che hanno approfittato del crollo degli edifici penitenziari, in un contesto dove la catastrofe umanitaria rischia di tradursi in una recrudescenza delle tensioni e delle violenze, mentre i governi europei sono in allarme rosso sul tema dei campi di detenzione situati in zona curda, campi che si stanno trasformando in nuove cittadelle per Daesh. Gli scontri a fuoco frontalieri tra turchi e curdi sono seguiti con preoccupazione dalle capitali europee, perché la violenza e l’insicurezza rischiano di tradursi in un aumento dei flussi di rifugiati che intraprendono la rotta per l’Europa, esercitando una nuova pressione sulle frontiere orientali dell’Unione. Questo grande focolaio di instabilità è situato anche tra due importanti zone di conflitti internazionali: la guerra russo-ucraina, che è il primo scontro armato di tale entità sul territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale, e la spirale di violenze tra Israele e la Palestina da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere – il direttore della Cia, Bill Burns, paragona l’attuale situazione agli inizi della seconda Intifada nell’autunno 2000 (i cui molteplici attentati suicidi prepararono il terreno all’attacco kamikaze di al Qaida su New York e Washington l’11 settembre 2001)”.