Il terremoto che ha devastato la Turchia “devasta” anche i piani del sultano di Ankara, sia in chiave interna sia nello scenario internazionale.
“Il sisma che ha colpito la Turchia (e la Siria) all’alba del 6 febbraio può produrre conseguenze geopolitiche – rimarca Daniele Santoro, brillante analista di Limes – altrettanto drammatiche di quelle umanitarie. Non sarebbe d’altra parte la prima volta che un evento naturale di proporzioni catastrofiche cambia la traiettoria di una grande potenza, in termini tattici o nei casi più eclatanti persino in senso strategico.
La peste del 541 incrinò ad esempio la grande strategia di Giustiniano, allora impegnato nella (ri)conquista dell’Italia e del Nord Africa. Privando l’impero bizantino della potenza demografica – quindi economica e militare – necessaria a sostenere le ambizioni del basileus che eresse Ayasofya. Costringendolo a ripiegare su sé stesso e indebolendolo di fronte ai rivali che non erano stati toccati dall’epidemia.
Il terremoto che ha devastato ampie porzioni dell’Anatoliasud-orientale e della Siria settentrionale non è per portata paragonabile alla catastrofe epidemica che sconvolse i piani di uno dei più illustri predecessori del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan; non avrà verosimilmente conseguenze di carattere strutturale sulla traiettoria strategica di Ankara, ma nell’immediato rischia quantomeno di affievolirne il ritmo dell’ascesa geopolitica”.
Ombre sulle elezioni.
Di grande interesse è un report a più voci di Agenzia Nova: “La tragedia umanitaria si intreccia al destino politico dell’attuale leadership guidata dal presidente, Recep Tayyip Erdogan, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali previste il 14 maggio. Sebbene non vi sia ancora nessuna indicazione sul possibile rinvio del voto, appare altamente improbabile che si tengano le consultazioni, soprattutto per ragioni logistiche. Inoltre, il malcontento della popolazione per la gestione dell’emergenza potrebbe costare caro all’attuale capo dello Stato, che deve buona parte della sua ascesa politica all’incapacità con cui il Partito repubblicano – allora al potere – affrontò il precedente devastante terremoto del 1999. Agenzia Nova ne ha parlato con due esperti: Valeria Talbot, responsabile dell’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa presso l’Ispi, e Federico Donelli, professore di relazioni internazionali presso l’Università di Trieste.
Tra le prime misure disposte da Erdogan, spicca l’arresto sommario e senza processo di decine di presunti responsabili della costruzione di edifici apparentemente realizzati senza alcun rispetto dei criteri antisismici. La Procura della provincia turca di Malatya, per esempio, ha ordinato l’arresto di 31 persone nell’ambito di un’indagine sugli edifici crollati durante le due violente scosse di terremoto che hanno colpito il sud della Turchia lo scorso 6 febbraio. Secondo quanto riporta la stampa turca gli arrestati figurano: Nazmi Tosun, supervisore alla costruzione e rappresentante tecnico dell’Emre Apartment a Gaziantep; Hasan Alpargun, arrestato nella Repubblica turca di Cipro del Nord (Trnc) dopo che diversi edifici realizzati dalla sua società di costruzioni sono crollati nella provincia meridionale di Adana; l’appaltatore Ibrahim Mustafa Uncuoglu, arrestato a Istanbul; la polizia ha arrestato inoltre un altro appaltatore, Mehmet Ertan Akay, dopo che il suo edificio è crollato durante il terremoto a Gaziantep. Inoltre, la magistratura ha emesso un mandato di arresto per Akay con l’accusa di omicidio colposo e violazione del codice edilizio. Lo scorso 11 febbraio, inoltre, la polizia ha arrestato anche Mehmet Yasar Coskun, l’appaltatore di un grande edificio residenziale nella provincia duramente colpita dal sisma di Hatay. Coskun è stato arrestato all’aeroporto di Istanbul mentre si recava in Montenegro nel tentativo di fuggire dalla Turchia.
La decisione di incarcerare imprenditori del settore edile “è una mossa per cercare di arrestare l’ondata di malcontento che sta emergendo. E’ ovvio che da una parte c’è il tentativo di salvare il salvabile, allo stesso tempo stanno emergendo le carenze di questi anni in termini di preparazione a un evento del genere e anche i limiti della risposta”, ha dichiarato ad “Agenzia Nova” il professor Donelli. L’esperto ha evidenziato “due dati politici” emersi dopo il terremoto: la cattiva gestione dei fondi destinati a costruire edifici nel rispetto dei criteri antisismici; la rete clientelare con cui è stata gestita la costruzione degli edifici. Dal 1999, in Turchia, c’è una tassa destinata a rispondere agli eventi disastrosi, ha ricordato Donelli. “La grande domanda è: dove sono finiti questi soldi? Non è completamente vero che non sia stato fatto nulla, tanti investimenti sono stati fatti nelle grandi città, vedi Istanbul. Tuttavia, altrove è stato dato spazio a reti clientelari vicine alle élite politiche del partito Giustizia e sviluppo (Akp)” di Erdogan, ha affermato Donelli. La decisione di mettere alla sbarra gli imprenditori “è legata al tentativo di voler colpire un capro espiatorio per salvare sé stessi”, secondo l’esperto. Da parte sua, al riguardo, Talbot ha definito la decisione “un atto dovuto per il governo di fronte a una tragedia di queste dimensioni e alla rabbia della gente che ha iniziato a chiedersi se potesse essere evitata, se le case fossero state costruite con i criteri stabiliti dalla legge”. Secondo l’esperta dell’Ispi, rappresenta un “tentativo immediato di dare una risposta e di placare il malcontento”.
Il sisma ha colpito la Turchia a poco più di tre mesi dalle elezioni presidenziali e oggi ci si domanda quale potrebbe essere l’esito del voto, nel caso (improbabile) in cui si riescano a organizzare la campagna elettorale e i seggi tra l’altro in un feudo elettorale di Erdogan. Parlandone con “Agenzia Nova”, Talbot di Ispi ha affermato: “Di fatto c’è un problema oggettivo nelle dieci provincie colpite dal terremoto. Difficilmente da qui a metà maggio si creeranno le condizioni per consentire alla gente di votare. Si sta discutendo della possibilità eventuale di rinviare le elezioni e, vista la situazione, potrebbe essere un’opzione perché esiste una difficoltà oggettiva”. Inoltre, “la crisi umanitaria rappresenta una sfida ulteriore per Erdogan e per il suo partito. Già nell’ultimo anno il consenso nei confronti di Erdogan si era eroso, stando ai sondaggi, soprattutto a causa dell’inflazione galoppante”. Vale la pena ricordare, ha proseguito l’analista, che “l’economia è stata da sempre il termometro del consenso a Erdogan. Lo è stato quando era primo ministro. Già nel 2019, a causa delle difficoltà dell’economia, il partito Akp ha perso le principali città, come Istanbul e Ankara”. Negli ultimi mesi Erdogan ha recuperato consenso, secondo i sondaggi, che danno il presidente al 45 per cento, “al di sotto della soglia del 50 per cento” necessaria per essere eletto al primo turno, ha puntualizzato Talbot. In questo quadro le opposizioni, “sebbene si siano unite, non hanno ancora presentato uno sfidante. Non si sono posti finora come un’alternativa, anche se lo scenario rimane aperto”, ha concluso l’esperta.
La mancanza di alternativa a Erdogan è stata sottolineata anche da Donelli dell’Università di Trieste. “Ad oggi non sono state ancora posticipate. Diventa complicato immaginare che in due mesi si possa tenere un voto regolare in un terzo del Paese. Ho i miei dubbi che si riesca a votare a maggio”, ha detto Donelli. Il docente ha evidenziato, poi, il “contraccolpo a livello politico”, ovvero “le carenze e i rallentamenti negli interventi, ammessi dallo stesso Erdogan, che avranno una ricaduta politica”. Secondo l’esperto, “tanto la crisi economica che la situazione geopolitica regionale, tanto i danni del terremoto nel medio e lungo termine portano a pensare che la situazione politica di instabilità potrebbe essere vista negativamente dall’elettorato turco”.
Donelli si è concentrato, inoltre, sulla reale alternativa a Erdogan rappresentata dall’opposizione. “Dall’altro lato non c’è un vero candidato. C’è un gruppo di partiti che sta insieme ed è unito dal desiderio di battere Erdogan. Il timore – tra la popolazione – potrebbe essere quello che un governo di questo tipo, invece che dare stabilità, generi maggiore instabilità”, ha aggiunto. Per Donelli, “non è così scontato che anche con il terremoto Erdogan si giochi tutto il consenso”. Da una parte c’è un contraccolpo sulla governance in questi ultimi 20 anni, ha indicato, perché “è evidente a tutti che gli interventi fatti sono stati fatti sulla pelle della gente”. Tuttavia, c’è un “segmento della popolazione che vede Erdogan come l’unica figura in grado di risollevarli. Sull’altro fronte, manca una leadership”. “In questo momento un popolo turco ferito, come nel 1999, avrebbe bisogno di una figura rassicurante che non vedo nell’opposizione”, ha proseguito Donelli.
La crisi umanitaria generata dal terremoto e la già esistente fragilità economica del Paese potrebbe avere un impatto anche sulla politica estera della Turchia. A tal proposito, Donelli ha citato il caso della Libia, dove la Turchia “economicamente ha ottenuto molto poco, ma politicamente ha ottenuto tanto”. In particolare, “ha ottenuto che la stabilizzazione della Libia non è possibile senza il coinvolgimento turco. Dal punto di vista del medio termine, una eventuale sconfitta di Erdogan porterà a dei cambiamenti di politica estera, molto più conciliante, rispetto allo scontro dialettico di Erdogan”, ha affermato Donelli. Da parte sua, Talbot ha detto che a causa dello sforzo necessario per la ricostruzione potrebbe esserci la possibilità che la Turchia si concentri sul fronte interno e “potrebbe drenare risorse alla politica estera”. “E’ possibile che ci sia un ridimensionamento del ruolo esterno, ma è anche vero che se guardiamo al periodo della crisi valutaria questo non ha comportato in alcun modo una riduzione della proiezione esterna. Adesso siamo di fronte a una situazione diversa e ci potrebbero essere una crescita del malcontento popolare se non ci sarà una risposta alle esigenze della popolazione”, ha concluso”.
Scure tardiva
La magistratura di Ankara ha emesso almeno 113 mandati di arresto contro imprenditori e lavoratori edili, e avrebbe già concretamente arrestato una dozzina di persone. Il ministero della Giustizia ha quindi disposto in quasi 150 procure locali l’istituzione di unità investigative ad hoc per indagare appaltatori, geometri e altri esperti – assicurandosi inoltre che non fuggano o distruggano le prove.
Tra i primi a farne le spese è stato, venerdì scorso, un costruttore di appartamenti di lusso nella città meridionale turca di Hatay (tra le più gravemente colpite dal sisma), che è stato preso in custodia all’aeroporto di Istanbul mentre si stava recando in Montenegro.
“Tutti coloro che hanno commesso negligenze ed errori saranno ritenuti responsabili”, ha promesso il ministro della Giustizia Bekir Bozdag – mentre il presidente Erdogan ha annunciato che verranno costruite decine di migliaia di strutture antisismiche entro un anno.
Il giro di vite giudiziario contro il settore edile – concordano fonti diplomatiche e analisti politici – è però avvertito da molti come una mossa tardiva e ipocrita da parte del leader turco, additato da diversi membri dell’opposizione e da molti contestatori come uno degli indiretti responsabili della catastrofe. Da premier prima e da presidente poi, nel quasi-ventennio di governo Erdogan ha infatti promosso un selvaggio boom edilizio in tutto il Paese – nell’ambito del quale le autorità hanno chiuso sistematicamente un occhio verso gli appaltatori che non rispettavano i requisiti di sicurezza.
“Appena due settimane fa – annota Rodolfo Casadei su Tempi – Lütfü Savaş il sindaco della città metropolitana di Hatay, ex affiliato all’Akp passato nel 2014 al Chp (il partito storico kemalista), aveva denunciato in tivù durante un’intervista l’impreparazione della regione nell’eventualità di un terremoto. A una domanda di una giornalista di TV2 se l’Hatay fosse pronto ad affrontare lo shock di un sisma, aveva testualmente risposto: «No, non lo siamo. Non saprei dire quante volte abbiamo scritto ai ministeri nazionali su questo punto, ma nella maggior parte dei casi non abbiamo avuto risposta».
Il boom edilizio è stato il motore dello sviluppo economico della Turchia, che ha tenuto una media di crescita del Pil del 5,5 per cento annuo nel ventennio erdoganiano; molte delle imprese che hanno beneficiato delle commesse pubbliche e del più generale laissez-faire in materia di costruzioni sono riconducibili al partito Akp o addirittura al clan familiare di Erdogan.
I partiti di opposizione e la voce popolare fanno spesso riferimento alla “banda dei cinque”, una cabala di imprenditori legati al potere che in questi anni hanno vinto un quarto di tutti gli appalti pubblici per la costruzione di infrastrutture. Si tratta di Mehmet Cengiz presidente della Cengiz Holding, Cemal Kalyoncu capo della Kalyon Construction, Naci Koloğlu della Kolin Construction, Nihat Özdemir della Limak Holding e Mehmet Nazif Günal presidente della MNG Holding. Più in generale, negli ultimi cinque anni il 50 per cento delle gare di appalto è stata vinta sempre dalle stesse 20 compagnie. Ora evidentemente i nodi vengono al pettine, insieme a quelli dell’alta inflazione e della svalutazione della moneta nazionale che dal 2018 affliggono l’economia turca”.
E a maggio si vota. Ma forse il condizionale è d’obbligo. Perché il terremoto può offrire il pretesto all’autocrate di Ankara per rinviare di un anno le elezioni presidenziali. Per non finire sotto le “macerie” politiche.