Migranti, Meloni colpita dal "fuoco amico" del governo di destra svedese
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Migranti, Meloni colpita dal "fuoco amico" del governo di destra svedese

Quello che arriva dal governo di estrema destra di Stoccolma è dunque un vero e proprio schiaffo alle speranze di un altro governo di destra, quello di Giorgia Meloni

Migranti, Meloni colpita dal "fuoco amico" del governo di destra svedese
Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Gennaio 2023 - 18.51


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Quando si dice colpiti dal “fuoco amico”. 

L’Unione europea non riuscirà, nel 2023, a raggiungere un accordo sulla ripartizione fra i Paesi dei richiedenti asilo. Lo ha dichiarato al Financial Times la presidenza svedese, che il primo gennaio ha assunto l’incarico per la prima metà dell’anno Il quotidiano britannico ricorda che i rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina e gli arrivi di clandestini in Europa attraverso il Mediterraneo e i Balcani hanno raggiunto livelli mai visti dal 2015, aumentando la pressione sui Paesi Ue perché approvino il più volte rinviato «patto sui migranti», proposto dalla Commissione nel 2020, che punta a ridurre l’impatto dei flussi sui Paesi di primo arrivo. «Cercheremo di fare avanzare il lavoro – ha dichiarato il rappresentante permanente svedese presso le istituzioni europee, Lars Danielsson – ma non sarà possibile completarlo durante la presidenza svedese». 

Scrive in proposito Alessandra Ziniti su Repubblica: “Non ci sarà nessun patto europeo sui migranti fino al 2024. La nuova presidenza svedese, che guiderà i lavori del Consiglio Ue per il prossimo semestre, mette subito le mani avanti: “Faremo sicuramente avanzare il lavoro, ma non vedrete un patto migratorio completano durante la presidenza svedese. Ci sarà non prima della primavera del 2024″, dice al Financial Times l’ambasciatore della rappresentanza svede a Bruxelles Lars Danielsson che precisa ” Io ricevo istruzioni dal governo”-

Quello che arriva dal governo di estrema destra di Stoccolma è dunque un vero e proprio schiaffo alle speranze di un altro governo di destra, quello di Giorgia Meloni appunto, che nei primi due mesi aveva rivendicato con orgoglio tra i suoi risultati quello di aver portato la gestione condivisa dei flussi migratori in cima all’agenda politica europea. Le aspettative del governo italiano, come ribadito dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi  nell’intervista a Repubblica dell’ultimo dell’anno, erano quelle di una rapida concretizzazione della risposta europea alle richieste degli Stati costieri, anche tramite l’approvazione dell’Action plan presentato qualche settimana fa dalla Commissione europea.

L’Action plan per il Mediterraneo

Ma l’esito interlocutorio dell’ultima riunione dei ministri Ue di dicembre e adesso la dichiarazione dell’ambasciatore svedese a Bruxelles lasciano chiaramente intendere che i tempi di un accordo sul tema migranti sono ancora assai lontani. Soprattutto perchè lo schieramento dei Paesi sovranisti è assolutamente intenzionato a far valere le proprie ragioni, legate soprattutto ai movimenti secondari all’interno dell’Unione europea e al numero delle richieste d’asilo decisamente superiore nei Paesi del centro nord Europa, rispetto alle richieste di aiuto avanzate con decisione dai Paresi costieri a cominciare dall’Italia. Nonostante l’apprezzamento espresso più volte da Meloni e Piantedosi per le iniziative europee, che il governo italiano non abbia troppa fiducia in una reale soluzione condivisa in tempi brevi lo dimostra la decisione di andare avanti con misure nazionali senza attendere un ben al di là da venire accordo tra i 27 Stati membr. Da qui la decisione di varare subito le norme antiong previste dal decreto immigrazione, tra cui quella che prevede che i migranti soccorsi dalle navi umanitarie debbano essere informati della possibilità di chiedere asilo a bordo, radicando così la competenza nello Stato di cui la nave batte bandiera. Una interpretazione del diritto internazionale, quella sposata dal governo italiano che nessuno in Europa sembra intenzionato ad accogliere”. 

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L’”ammiraglia Meloni”

«Immigrazione illegale e tratta di esseri umani: è finita l’Italia che si accanisce con chi rispetta le regole e fa finta di non vedere chi le viola sistematicamente». Lo scrive su Instagram la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, postando un reel con un estratto degli ultimi «appunti di Giorgia» nel giorno in cui entrava in vigore il decreto con la stretta sulle Ong. Il diritto internazionale «non prevede che ci sia qualcuno che può fare il traghetto nel Mediterraneo o in qualsiasi altro mare e fare la spola per trasferire gente da una nazione all’altra». Le norme «vogliono circoscrivere il salvataggio dei migranti a quello che è previsto dal diritto internazionale con alcune regole abbastanza semplici: se tu ti imbatti in una imbarcazione e salvi delle persone le devi portare al sicuro, quindi non le tieni a bordo continuando a fare altri salvataggi multipli finché la nave non è piena» che non è «salvataggio fortuito di naufraghi». In secondo luogo, ci deve essere «coerenza tra le attività che alcune navi svolgono nel Mediterraneo e quello per cui sono registrate: navi commerciali che si mettono a fare la spola per il salvataggio dei migranti è una cosa che stride abbastanza». Poi servono «screening di chi è a bordo, informazioni chiare sui meccanismi di salvataggio, regole per impedire che nel raccogliere queste persone a bordo non si metta a repentaglio la sicurezza dell’imbarcazione cui ci si avvicina. Regole stringenti che ci consentono di rispettare il diritto internazionale». Se non vengono rispettate «non c’è autorizzazione a entrare in acque internazionali, e se si viola quell’autorizzazione si procede con fermo amministrativo dell’imbarcazione la prima volta per due mesi, la seconda con sequestro ai fini della confisca. Lo facciamo anche per rispettare i migranti perché qualcuno se sta rischiando la vita ha diritto a essere salvato ma cosa diversa è farsi utilizzare dalla tratta degli esseri umani del terzo millennio e continuare a far fare miliardi di euro a degli scafisti senza scrupoli».

Ma ci faccia il piacere…

Con la consueta arguzia pungente e cognizione di causa, Sergio Scandura, inviato di Radio Radicale e profondo conoscitore di fatti e misfatti mediterranei, twitta: “Meloni parla di “autorizzazione a entrare in acque internazionali”. Porti pazienza signora Premier: conosce le leggi internazionali? Da quando le acque internazionali richiedono “autorizzazione”? 

Rinfrescare la memoria fa sempre bene

“L’Italia  – ricorda Roberta Covelli in un documentato report del 15 novembre 2022 per Valigia Blu – è già stata condannata in diverse occasioni dalla Corte Europea dei Diritti Umani per respingimenti collettivi. Nel caso Hirsi, nel 2012, per respingimenti verso la Libia, come nel caso Sharifi, nel 2014, per espulsioni verso la Grecia, la colpa italiana risiedeva proprio nel non aver garantito alle persone l’accesso alla richiesta di protezione, trattando collettivamente e maniera sommaria procedure che vanno invece affrontate individualmente e con la giusta complessità.

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L’asilo, infatti, e più in generale la protezione internazionale, è un diritto umano fondamentale, riconosciuto da numerose dichiarazioni e carte costituzionali e definito proprio dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Operare uno sbarco selettivo, allora, vietando a una nave carica di naufraghi di sostare oltre il tempo necessario a verificare eventuali situazioni di emergenza e invitare all’uscita dalle acque territoriali il “carico residuo”, senza verificare se a bordo ci siano richiedenti asilo, significa, di fatto, non riconoscere il diritto alla protezione. Ed ecco perché, in questo modo, attuando una selezione sanitaria che si trasforma in discriminazione umanitaria, l’Italia ha smesso di essere un porto sicuro, inducendo una delle quattro navi, la Ocean Viking, a sbarcare in Francia, innescando una serie di reazioni diplomatiche, con rimpalli di responsabilità e un fondo nemmeno troppo nascosto di ipocrisia. 

Reazioni e note, strategie e propaganda

Ecco allora arrivare la dichiarazione congiunta dei ministri di Italia, Malta, Cipro e Grecia, che, oltre a disinformare  sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo e a usare un lessico criminalizzante (“immigrati illegali” per richiedenti asilo o in generale persone senza documenti), critica l’attuale sistema europeo, basato sul Regolamento di Dublino III  (pur senza mai citarlo). Si tratta di un sistema che attribuisce al paese di primo approdo il dovere di esaminare le domande di protezione. Ma mentre l’assistenza in capo agli Stati d’ingresso è obbligatoria, la ricollocazione delle persone sbarcate è prevista solo in chiave volontaristica, cioè in base alle eventuali disponibilità manifestate.

In un sistema del genere, la Francia può così comodamente sfilarsi dagli impegni assunti, usando come ragione (o come pretesto) la violazione degli obblighi da parte dell’Italia. Che la presidente Meloni, il vicepresidente Tajani e altri ministri si lamentino di una simile reazione ha allora due possibili spiegazioni. O le decisioni dei ministri Piantedosi, Crosetto e Salvini sono state assunte nell’ignoranza dei meccanismi europei di ricollocazione, dunque credendo di poter forzare da una situazione di svantaggio, o l’obiettivo di simili atti non è in chiave europea, per una miglior distribuzione di oneri e responsabilità, ma di semplice propaganda interna. In ogni caso, i danni di questa gestione muscolare ricadono sugli italiani e sui naufraghi.

La retorica del pericolo alla base della violazione dei diritti

Sotto il governo Meloni gli stranieri non sono trattati peggio del solito: la violazione dei diritti di migranti, naufraghi e richiedenti asilo non è un’esclusiva dell’estrema destra. Basti pensare al citato memorandumcon la Libia, siglato sotto il governo Gentiloni, o alla riduzione di un grado di giudizio per i richiedenti asilo, prevista dal decreto Minniti-Orlando. Quanto alla più recente gestione di sbarchi e naufragi, sotto il governo Draghi le navi delle Ong hanno spesso dovuto attendere diversi giorni prima di ricevere l’indicazione di un porto sicuro. E, sulla gestione dei flussi, la civile Europa non è da meno, con la Gran Bretagna che tenta la deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda, con un accordo non molto diverso da quello dell’Unione europea, che nel 2016 ha siglato il Joint Way Forward, per il rimpatrio dei cittadini afghani.

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Insomma, che il governo sia liberale o di destra estrema, la situazione degli stranieri resta sempre pessima. Sono allora i cittadini, spesso elettori coccolati dalla retorica di difesa dei confini, a doversi preoccupare quando i propri governi, oltre alla consueta disumanità burocratica, si esibiscono anche in forzature giuridiche come quelle a cui stiamo assistendo.

Lo si è visto con la cosiddetta norma “anti-rave”, lo si vede con il tentativo di sbarco selettivo: il concetto di sicurezza pubblica viene talmente allargato da diventare discrezionale. Se oggi mille naufraghi ricevono questo trattamento emergenziale, e vengono raccontati con una narrazione bellica sulla difesa dei confini, questo approccio repressivo e securitario sarà risparmiato agli italiani, compresi gli elettori di Fratelli d’Italia, se e quando protesteranno contro misure di governo?

Le parole e il diritto: un rapporto biunivoco

Nella gestione dei flussi migratori, con la scelta ignava degli ultimi anni di appaltare alla guardia costiera libica il pattugliamento del Mediterraneo e di scoraggiare le ONG con codici di condotta, fermi amministrativi delle navi e attese interminabili nelle indicazioni dei porti, le persone sono raccontate come cose. Che il ministro Piantedosi parli di “carico residuale” non è che il plateale (ma ennesimo) esempio di questa tendenza.

In una situazione simile, è allora indispensabile dare valore alle parole, quelle con cui si racconta il presente come quelle che, nel passato, sono state poste a tutela di tutti. E la denuncia di abusi, forzature, illegittimità non può che essere costante e intransigente, per riconoscere le parole che violano i diritti, anche (e soprattutto) quando sono le parole del diritto, senza illudersi che basti il lessico giuridico o un timbro ministeriale per rendere una norma giusta. 

“Non si osa governare senza le leggi, ma si istituisce come metodo di governo l’illegalismo, autorizzato a farsi beffa delle leggi”, spiegava Calamandrei, riguardo al rapporto tra fascismo e regole. Che i decreti interministeriali siano illegittimi lo deciderà il Tar, cui le Ong interessate hanno già fatto ricorso, ma la coscienza di un popolo non può essere appaltata alle sue leggi, né ai suoi tribunali: va ribadito, ancora e ancora, che il diritto di asilo (e pure la libertà di movimento) sono diritti umani, che i naufraghi si soccorrono, che le persone non sono cose”.

Parole sacrosante. Da incorniciare e inviare a Palazzo Chigi. Destinataria: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

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