Il 24 dicembre di qualche tempo fa, la Libia “pacificata” avrebbe dovuto sancire la sua esistenza democratica con libere elezioni. Globalist ne scrisse da subito, documentando, con articoli e interviste, che il solo averlo pensato possibile sanciva la bancarotta della comunità internazionale. Così è stato. Le elezioni non si sono tenute, il Paese nordafricano è in perenne balia del caos armato. E la Libia è uno Stato fallito. Ora a sancirlo è anche l’Onu.
Uno Stato fallito
Ne scrive Giulio Cavalli su La Notizia del 23 dicembre: “Se servissero altre prove ieri i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti hanno espresso profonda preoccupazione per il perdurare della crisi politica in Libia e la loro delusione per la mancanza di progressi. In un comunicato rilasciato ieri e ripreso dai media libici, i Paesi membri hanno affermato il loro forte sostegno all’inviato delle Nazioni unite, Abdoulaye Bathily, per dare nuovo slancio “al vacillante processo politico e migliorare la stabilità nel Paese”.
Il Consiglio di sicurezza ha invitato tutte le parti libiche e le principali parti internazionali interessate a dialogare con l’inviato Onu “in uno spirito di compromesso e in modo trasparente e inclusivo”, ribadendo l’impegno a sostenere il dialogo tra libici, allo scopo di formare un governo unificato riconosciuto in tutto il Paese e in grado di rappresentare l’intero popolo libico. Da febbraio ormai la Libia divisa tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba (nella foto), riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Fathi Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, inizialmente da Egitto e Russia ma oggi apparentemente abbandonato a sé stesso.
I Paesi membri del Consiglio di sicurezza hanno invitato tutte le parti a mantenere la calma sul terreno, dove è in vigore un cessate il fuoco dall’ottobre 2020, affermando di sostenere la volontà del popolo libico di scegliere chi lo governa attraverso nuove elezioni. Gli Stati membri del Consiglio di sicurezza hanno poi sottolineato l’importanza di condurre un dialogo nazionale complessivo e hanno incoraggiato gli sforzi del Consiglio di presidenza, con il sostegno della Missione delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, per raggiungere la riconciliazione nazionale.
I membri del Consiglio di sicurezza sottolineano nel comunicato l’importanza di istituire un meccanismo guidato dalla Libia per determinare le priorità di spesa e garantire che le entrate derivanti dal petrolio e dal gas siano gestite in modo trasparente e responsabile. L’organismo del Palazzo di vetro di New York ha sollecitato a sostenere l’accordo di cessate il fuoco nell’ambito del piano d’azione approvato dal Comitato militare congiunto 5+5 (formato da cinque alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest del Paese).
Infine, i membri hanno chiesto il “ritiro senza ulteriori indugi di tutte le forze, combattenti e mercenari stranieri dal Paese”, e la necessità di compiere progressi verso la smobilitazione, il disarmo e il reinserimento dei gruppi armati come concordato dal comitato militare congiunto 5+5. La domanda rimane sempre la stessa. Se la Libia come Stato non esiste cos’è la Libia di cui tutti parlano per risolvere il problema – dicono loro – dell’immigrazione?
Esattamente a chi stiamo dando i soldi per gestire i centri in cui – lo dice l’Onu e lo dicono le organizzazioni internazionali – vengono illegalmente trattenuti i migranti? Chi sono i referenti del programma dell’Ue Frontex? Se la Libia non esiste significa che non esiste nemmeno la retorica degli ultimi governi. Qualcuno se n’è accorto?”.
Cavalli conclude il suo documentato e giustamente severo articolo con una domanda dal sapore retorico. La risposta è: no, nessuno se ne è accorto, Tanto meno a Roma.
Il premier minaccioso
Annota Agenzia Nova: “Le dichiarazioni sempre più ruvide del premier del governo parallelo basato in Cirenaica, Fathi Bashagha, evidenziano le crescenti difficoltà dell’esecutivo non riconosciuto dalla Comunità internazionale. Nei suoi interventi pubblici, l’ex ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale (Gna) utilizza toni sempre più aspri, battendo spesso il tasto sulla difesa della “sovranità” e del “cittadino libico” nel tentativo di recuperare consensi interni dopo alcune uscite a vuoto. A partire dall’articolo scritto e poi “rinnegato” da Bashagha sul quotidiano britannico “The Times” lo scorso maggio, dal titolo “La Libia dalla parte del Regno Unito contro l’aggressione russa”. Il testo aveva scatenato polemiche soprattutto nella Libia orientale dominata dal generale Khalifa Haftar, il quale si avvale notoriamente del sostengo dei mercenari russi del gruppo Wagner. Ma è soprattutto con il maldestro tentativo di entrare a Tripoli con la forza il 27 agosto scorso che Bashagha ha perso gran parte della sua credibilità. Il tentato golpe, concluso con un tragico bilancio di 32 morti e 159 feriti, ha probabilmente segnato il punto più basso della carriera dell’ex uomo forte di Misurata.
Non è tutto. Bashagha si è espresso recentemente contro l’estradizione negli Stati Uniti dell’ex agente dell’intelligence libica Abu Agila Mohammad Masud Kheir al Marimi, sospettato di aver fabbricato la bomba che distrusse il volo Pan Am 103 sopra la città di Lockerbie, in Scozia, nel 1988. Il premier libico designato dal Parlamento parla di atto “illegale e inaccettabile”, ma sulla testa di Masud pendeva un manato di cattura dell’Interpol. In un post su Facebook, il premier dell’est ha affermato che la consegna di un cittadino libico a una parte straniera “è un processo pericoloso che ha avuto luogo al di fuori del sistema giudiziario e non può essere paragonato al processo che ha avuto luogo durante l’era del colonnello Muammar Gheddafi“, ritenendo quanto accaduto “un rapimento inaccettabile che viola la dignità dei libici e la sovranità del Paese”. Dichiarazioni che forse strappano qualche “mi piace” su Facebook, ma che allontanano ulteriormente Bashagha dall’orbita di Washington, che già non vedevano di buon occhio gli ammiccamenti dei politici dell’est alla Russia.
Da mesi ormai la Libia è divisa tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, inizialmente da Egitto e Russia ma oggi apparentemente abbandonato a sé stesso. Il premier designato si è scagliato contro l’Eni, l’unica azienda internazionale a non aver mai abbandonato il Paese (nemmeno durante la guerra), che in più garantisce di fatto l’unica fonte di reddito del Paese, peraltro mentre i prezzi del petrolio sui mercati internazionali sono altissimi, e che sta per investire diverse decine di miliardi di dollari nel Paese nordafricano. In un post su Twitter, Bashagha ha voluto inviare un “messaggio alla leadership di Eni: siamo venuti a conoscenza del fatto che avete iniziato discussioni con l’attuale dirigenza illegittima della Noc e con il passato Governo di unità nazionale, il cui mandato è scaduto lo scorso dicembre”. Le discussioni, tenutesi nell’ambito Consiglio supremo libico per gli affari energetici convocato a Tripoli dal premier riconosciuto Dabaiba, “avevano come scopo la modifica delle quote delle partecipazioni nelle aree offshore libiche, a grave danno degli interessi sovrani della Libia e del suo popolo”, aggiunge Bashagha, chiedendo “di cessare immediatamente di portare avanti queste misure che danneggeranno le comuni e storiche relazioni tra Libia e Italia”.
C’è dell’altro. Il capo dell’esecutivo basato nell’est del Paese ha avvertito che “coloro che rinunciano ai diritti dei libici e sfruttano la nostra grande nazione in un momento di difficoltà avranno la responsabilità legale e morale”. Tramite una dichiarazione ripresa dalla stampa libica, Bashagha ha aggiunto che “lo sfruttamento del cosiddetto Consiglio libico supremo per gli affari energetici per stringere accordi sospetti senza uno studio di fattibilità e la conoscenza dei loro benefici per lo Stato libico avrà conseguenze disastrose per tutti”. Il politico libico ha anche messo in guardia “i partner stranieri dal trattare opportunisticamente le fonti di reddito dei libici sfruttando la divisione politica”.
La “sentenza” di Saleh
Da un lancio dell’Ansa del 29 novembre: “Il mandato dell’esecutivo in Libia, cioè del governo di unità nazionale, di 18 mesi, è terminato. Il governo guidato da Abdul Hamid Dbeibeh aveva missioni specifiche: riconciliazione nazionale, elezioni, unificazione delle istituzioni e la soddisfazione delle richieste dei cittadini, e ha fallito”.nLo ha detto alla stampa il presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, dopo aver incontrato il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, secondo la pagina Facebook dell’ufficio media del presidente.
“Nei prossimi giorni verrà raggiunto un accordo con il Consiglio di Stato sul fascicolo delle posizioni sovrane”, ha aggiunto Saleh secondo cui il cambiamento è necessario secondo lo stesso meccanismo che una volta era stato adottato in accordo tra le due Assemblee, osservando che il Consiglio di Stato è un organo consultivo e non legislativo. Esiste una dichiarazione costituzionale in Libia, secondo la quale sono stati eletti il Congresso Nazionale, la Camera dei Rappresentanti e l’Assemblea Costituente. Quindi c’è una base costituzionale, e c’è una nuova bozza di Costituzione, che è attualmente in fase di proposta, secondo Saleh. Per quanto riguarda le cariche sovrane, Aguila Saleh ha spiegato che la nomina o il licenziamento di persone che occupano cariche sovrane rientra nelle competenze della Camera dei Rappresentanti.
“L’accordo politico prevede consultazioni con il Consiglio di Stato. Più di un anno fa a Bouznika (in Marocco) è stato concluso un accordo con il Consiglio di Stato per cambiare coloro che occupano posizioni sovrane. La Camera dei Rappresentanti ha fatto la sua parte in conformità con questo accordo, ma il Consiglio di Stato è in ritardo”. Saleh ha aggiunto di essersi recentemente incontrato a Rabat con il presidente del Consiglio di Stato, Khaled Al Mishri e di aver concordato di attivare l’accordo di Bouznika, sottolineando che tra le due parti c’è un riavvicinamento e che nei prossimi giorni si troverà un consenso sugli incarichi di governo.
Testimonianze dall’inferno
“Sono stato detenuto in Libia. Ho visto persone morire davanti ai miei occhi”. Darius (nome di fantasia) è uno dei 261 migranti a bordo della Humanity1, lo scorso 6 dicembre dal ponte della nave umanitaria ha visto la Guardia costiera libica ‘agganciare’ una carretta del mare in difficoltà e prendere i migranti a bordo.
“I militari libici hanno fermato con la forza un gommone con a bordo circa 50 persone – denuncia Sos Humanity -. Sei persone sono rimaste in acqua a seguito della rischiosa manovra, mentre le altre sono state portate con la forza a bordo della motovedetta e riportate in Libia”. “Qui stavamo urlando – dice adesso Darius dal ponte della Humanity 1 – ma non potevamo fare niente. In quel momento abbiamo capito che i nostri fratelli avrebbero sofferto di nuovo. Sappiamo cosa succede in Libia. Sarà un incubo. Saranno puniti per aver tentato di fuggire. Difficilmente riesci a trovare le parole per spiegare cosa accade laggiù. Vendono la gente come fosse pane”.
E l’Italia persevera
Scrive Duccio Facchini su Altreconomia: “ L’Italia fornirà altre 14 imbarcazioni alle milizie libiche per intercettare e respingere le persone in fuga nel Mediterraneo. La commessa è stata aggiudicata definitivamente nella primavera di quest’anno per 6,65 milioni di euro nell’ambito di una procedura curata da Invitalia, l’agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia che sulla carta dovrebbe occuparsi dell’”attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” e che invece dall’agosto 2019 ha stipulato una convenzione con il ministero dell’Interno per garantire “supporto” tecnico anche sul fronte libico. La copertura finanziaria dei nuovi “battelli” è garantita, così come tante altre, dalla “prima fase” del progetto “Support to integrated Border and migration management in Libya” (Sibmmil) datato dicembre 2017, cofinanziato dall’Unione europea, implementato dal Viminale e inserito nel quadro del Fondo fiduciario per l’Africa (Eutf).
Si tratta in questa occasione di 14 mezzi “pneumatici con carena rigida in vetroresina” da 12 metri -come si legge nel capitolo di gara – in grado di andare a una velocità di crociera di almeno 30 nodi, con un’autonomia di 200 miglia nautiche, omologati al trasporto di 12 persone e destinati a “svolgere i compiti istituzionali delle autorità libiche” (è la seconda tranche di una procedura attivata oltre tre anni fa). Quali non si poteva specificarlo. Anche sull’identità dei beneficiari libici c’è scarsa chiarezza da parte di Invitalia, il cui amministratore delegato è Bernardo Mattarella. Negli atti non si fa riferimento infatti né all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs) né alla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim), che opera sotto il ministero dell’Interno libico, quanto a una generica “polizia libica”.
Chi si è assicurato la commessa, con un ribasso del 5% sulla base d’asta, è stata la società B-Shiver Srl con sede a Roma. B-Shiver è la ragione sociale del marchio Novamarine, nato a Olbia nel 1983 e poi acquisito negli anni dal gruppo Sno. “È uno dei must a livello mondiale perché ha fatto una rivoluzione nel campo dei gommoni, con il binomio carena vetroresina e tubolare”, spiega in un video aziendale l’amministratore delegato Francesco Pirro.
B-Shiver non si occupa soltanto della costruzione dei 14 mezzi veloci ma è incaricata anche di “erogare un corso di familiarizzazione sulla conduzione dei battelli a favore del personale libico”: 30 ore distribuite su cinque giorni.
Nell’ultima versione del capitolato sembrerebbe sparita la possibilità di predisporre in ogni cabina di pilotaggio dei “gavoni metallici idonei alla custodia di armi”, come invece aveva ipotizzato il Centro nautico della polizia di Stato nelle prime fasi della procedura di gara”.
Così Facchini.
In conclusione: la Libia è uno Stato fallito, dove però sguazzano signori della guerra, milizie armati e trafficanti di esseri umani. E c’è ancora chi parla di elezioni. Mentre neanche a Natale c’è pace per i migranti. Respinti in mare, riportati nei lager libici. Anche con le imbarcazioni fornite dall’Italia alla cosiddetta Guardia costiera libica.