Presidente Meloni, a Parigi tranne Marine Le Pen non la ama nessuno: e a ragione
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Presidente Meloni, a Parigi tranne Marine Le Pen non la ama nessuno: e a ragione

Il fatto che dalle parti dell’Eliseo sono convinti che “il governo più a destra nella storia d’Italia dopo Benito Mussolini” rappresenti,un “cancro” che se non isolato e combattuto a tempo, rischia di produrre metastasi nel resto del corpo europeo.

Presidente Meloni, a Parigi tranne Marine Le Pen non la ama nessuno: e a ragione
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Dicembre 2022 - 12.37


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Presidente Meloni, se ne faccia una ragione: a Parigi, tranne la sua amica, ci stava sfuggendo “camerata”, Marine Le Pen, nessuno la ama. Certo, vi potranno essere delle “tregue”, si potrà raggiungere una “pace”, ma sarà sempre una pace “armata”. 

A Parigi nessuno la ama

Il fatto è, presidente Meloni, che dalle parti dell’Eliseo sono convinti che “il governo più a destra nella storia d’Italia dopo Benito Mussolini” (copyright) rappresenti, scusi la poco gradevole metafora medica, un “cancro” che se non isolato e combattuto a tempo, rischia di produrre metastasi nel resto del corpo europeo. Giusto, sbagliato, eccessivo? Ognuno la può pensare come meglio crede, siamo ancora in democrazia dopotutto, ma una cosa è certa: Macron considera il governo da lei guidato, un problema, e grosso. 

Il nodo migranti

E qui entriamo nella più stretta attualità. I rapporti tra la Francia e l’Italia sull’accoglienza dei migranti soccorsi in mare sono tutt’altro che normalizzati. E adesso rischiano di raffreddarsi ulteriormente, almeno per restare al botta e risposta andato in onda alla vigilia del summit di Alicante. Ad infiammare il dibattito sono state fonti dell’Eliseo che, rispondendo ad una domanda sui rapporti con il governo di Giorgia Meloni dopo il caso Ocean Viking, hanno spiegato: “Per essere concreti, oggi, la questione dell’applicazione del diritto, che è la questione che ci ha diviso con le autorità italiane il mese scorso, non è risolta”. E ancora: “Non abbiamo visto, in ogni caso fino a questo punto, modifiche nella posizione delle autorità italiane sull’applicazione del diritto dello Stato di bandiera. Noi consideriamo che il diritto richiami la responsabilità primaria degli Stati della zona Sar”, hanno aggiunto. E a proposito di un nuovo incontro tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni, dall’Eliseo hanno negato la possibilità di un bilaterale al vertice di Alicante. “Da quanto sappiamo, la signora Meloni continua a cercare una data per la sua visita a Parigi per la quale si è impegnata a lavorare dopo l’episodio del mese scorso sul caso Ocean Viking”, hanno aggiunto le medesime fonti. Sottolineando che all’Eliseo stanno “aspettando una conferma, in ogni caso che ci proponga delle date per poter venire a Parigi. Questo ovviamente non impedisce lo sviluppo di contatti a margine di tutti i vertici ed eventi in cui si vedono (con Macron, ndr), quindi ovviamente (il recente vertice di Tirana, ndr) e Alicante questa settimana e, naturalmente, il Consiglio europeo, che sarà il primo Consiglio europeo per Meloni, la prossima settimana, con questioni molto importanti per tutti noi e soprattutto per l’Italia”.

 “Se l’Italia persiste, ci saranno conseguenze”, aveva avvertito in un’intervista del al quotidiano Le Parisien la ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, a seguito del rifiuto delle autorità italiane di accogliere la Ocean Viking. Colonna, già ambasciatrice di Francia a Roma, denuncia “la mancanza di umanità” dell’Italia, in riferimento alla vicenda della nave che alla fine ha attraccato a Tolone, in Francia. “La decisione è scioccante. Questi metodi non sono accettabili. E’ una fortissima delusione”, afferma la responsabile della diplomazia transalpina.

La titolare del Quai d’Orsay aggiunge, poi, “che ci saranno conseguenze se l’Italia persiste in questo atteggiamento… L’Italia non rispetta né il diritto internazionale, né il diritto marittimo. La regola è quella del porto sicuro più vicino: la nave era in prossimità delle coste italiane”, dichiara nell’intervista.

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La risposta di Roma

Dichiarazioni, quelle provenienti da fonti dell’Eliseo, che hanno raccolto una secca smentita di Palazzo Chigi, con fonti della presidenza del consiglio che hanno fatto sapere come la premier non abbia “assunto alcun impegno per una visita a Parigi, né dall’Eliseo è arrivato alcun invito ufficiale“, sottolineando che inviti di questo tipo “non si facciano a mezzo stampa“. Una dichiarazione glaciale, che però non è ufficiale ma rilasciata soltanto da fonti di Palazzo Chigi. Esattamente come a parlare per Parigi sono solo fonti dell’Eliseo. 

Presidente, ascolti quel sindaco

Da un lancio dell’Agenzia Dire: “Dal primo novembre a oggi “gli sbarchi sono stati 12 e il numero dei migranti giunti è stato di 1.179. Nello stesso periodo dello scorso anno gli sbarchi erano stati 5 e il numero dei migranti sbarcati era stato di 561″. A dare i numeri del fenomeno immigrazione che riguarda Pozzallo è il sindaco della cittadina ragusana, Roberto Ammatuna, che aggiunge: “È evidente che l’assenza delle navi ong non solo non ha prodotto una diminuzione degli sbarchi ma addirittura, così come si evince dai numeri, sono addirittura raddoppiati se confrontati con lo stesso periodo dello scorso anno. Questa è l’ennesima dimostrazione che le motivazioni dell’aumento degli sbarchi non sono dovute alla presenza delle navi ong che svolgono una funzione umanitaria importantissima, ma sono da ricercare nelle mutate condizioni dello scenario internazionale”. Secondo Ammatuna “è compito del governo italiano e soprattutto dell’Europa cercare insieme delle soluzioni”

In punta di diritto

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sottolinea in una nota del 28 ottobre scorso “l’erroneità, in punto di diritto, delle affermazioni del ministro dell’Interno del Governo italiano, Matteo Piantedosi, in relazione alle attività di Search & Rescue (Sar) ad opera di organizzazioni umanitarie”.
Il neo ministro dell’Interno, che – ricorda l’associazione – è fra gli autori del decreto “Sicurezza-bis” nel 2019, torna a descrivere le attività di salvataggio delle Ong in mare attraverso la lente del contrasto alla migrazione irregolare, “violando dal nostro punto di vista quanto prescritto dal diritto internazionale del mare e sui diritti umani in tema di soccorso marittimo”. Secondo l’Asgi, il ministro distingue in “modo artificiale e illegittimo” le operazioni di primo soccorso in mare dalla fase dello sbarco in un “luogo sicuro” (Pos, place of safety). “Egli considera l’ingresso nei porti europei a seguito di operazioni di soccorso avvenute fuori dalla Sar italiana, alla stregua di un’attività che viola le norme sull’immigrazione e non invece come l’ultima (e necessaria) fase che conclude un evento Sar”. Un soccorso è “un’operazione per recuperare persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e portarle in un luogo sicuro” in base al paragrafo 1.3.2 della Convenzione Sar. La stessa Convenzione obbliga gli Stati a cooperare per garantire che “i sopravvissuti assistiti siano sbarcati dalla nave che li ha assistiti e condotti in un luogo sicuro (par. 3.1)”.

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Di grande interesse è il saggio del professor Fulvio Vassallo Paleologo, tra i più autorevoli studiosi italiani di diritto del mare e diritto umanitario, pubblicato su Questioni Giustizia (il trimestrale di Magistratura democratica)

“L’obbligo di salvare la vita in mare  – rimarca Vassallo Paleologo – costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (Sar) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta, o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale o dalle autorità di coordinamento dei soccorsi, non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety). Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la paventata “chiusura” dei porti italiani, non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

In base all’art. 33 della Convenzione di Ginevra, «Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Tale obbligo è stato ribadito nel rapporto «Rescue at Sea: A Guide to Principles and Practice as Applied to Migrants and Refugees», elaborato nel 2006 dall’Imo e dall’Unhcr e sottoposto ad aggiornamento nel 2015. In tale documento viene evidenziato l’obbligo che incombe al comandante della nave che compie l’intervento di soccorso di tutelare adeguatamente i richiedenti asilo, verificando la loro presenza a bordo, comunicandola all’Unchr ed effettuando lo sbarco unicamente laddove sia possibile garantire loro adeguata protezione.

Va ricordato anche l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione), secondo cui «Le espulsioni collettive sono vietate» e «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». In base all’articolo 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, le espulsioni collettive, e secondo la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, anche i respingimenti collettivi in acque internazionali (caso Hirsi), sono vietati

Come ha affermato la Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza Hirsi, «secondo il diritto internazionale in materia di tutela dei rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non sarebbe se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, o a bordo di una nave battente bandiera dello stesso, bensì se essa sia sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso». Per la Corte, «dotato di questo contenuto e di questa estensione, il divieto di respingimento costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva» (articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, articolo 42 § 1 della Convenzione sullo status dei rifugiati e articolo VII§1 del Protocollo del 1967).

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Lo stretto coordinamento che emerge tra la Guardia costiera italiana, nel suo Comando centrale (Imrcc), la Marina militare con una nave presente nel porto di Tripoli, e la cd. Guardia costiera “libica” potrebbe quindi configurare un vero e proprio respingimento collettivo, attuato anche direttamente dall’Italia, vietato dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla Cedu e dall’art. 19 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea. Se infatti, per la configurazione di un respingimento collettivo, in base a quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, occorre che i migranti siano soggetti alla potestà esclusiva del Paese che respinge, in questo caso l’Italia, la circostanza che le persone siano a bordo di imbarcazioni coinvolte in attività Sar inizialmente coordinate da autorità italiane, le sottopone alla piena giurisdizione dell’Italia, che in questa qualità deve anche garantire un luogo di sbarco nel place of safety più vicino, e non nel porto più vicino. Sono queste le ragioni che potrebbero portare ad una ulteriore condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, sempre che vengano superate le questioni procedurali sulle quali si riducono sempre più gli interventi dei giudici di Strasburgo.

Quando le autorità italiane cedono alle autorità libiche la responsabilità Sar, inizialmente assunta dopo il primo avvistamento dei natanti da soccorrere, anche con riferimento alle persone che, trovandosi a bordo di gommoni in acque internazionali, ricadono già sotto la sua giurisdizione esclusiva, indipendentemente dallo stato di bandiera dei mezzi civili o militari che vengono soccorsi, si realizzano tutti gli estremi di un trasferimento di giurisdizione che equivale ad una consegna (rendition) di quelle stesse persone alle autorità di un Paese che non garantisce un luogo di sbarco sicuro, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nel quale sono note le collusioni tra autorità statali e trafficanti, e che da ultimo si trova in una fase di conflitto armato e di gravi violazione dei diritti umani anche ai danni della popolazione libica, al punto che a tale riguardo sono in corso indagini da parte della Corte Penale internazionale “.

Questo, presidente Meloni, è diritto. E l’Italia, fino a prova contraria, resta uno stato di diritto. Anche in mare. 

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