Migranti, tra l'ex ministro Minniti e monsignor Perego chi è più di sinistra
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Migranti, tra l'ex ministro Minniti e monsignor Perego chi è più di sinistra

Un tempo, essere dalla parte dei più deboli, dei meno garantiti, dei “senza voce” e senza diritti, era un tratto distintivo, identitario, della sinistra. Un tempo.

Migranti, tra l'ex ministro Minniti e monsignor Perego chi è più di sinistra
Migranti e fondazione Migrantes
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Novembre 2022 - 14.33


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Il senso di questo articolo è nello scoprire chi è più di sinistra. Su un tema di drammatica attualità come è quello dei migranti. Un tempo, essere dalla parte dei più deboli, dei meno garantiti, dei “senza voce” e senza diritti, era un tratto distintivo, identitario, della sinistra. Una ragion d’essere. Un tempo.

Ma procediamo con ordine. E svelando l’identikit di uno dei partecipanti al “concorso”. E’ stato ministro dell’Interno e dirigente di primo piano del PD, e prim’ancora delle filiere post comuniste: Pds, DS…Come titolare del Viminale ideò e realizzò il Memorandum d’intesa Italia-Libia. E coniò l’affermazione secondo cui “sicurezza è parola di sinistra”.

Il “patto infame”

A quello sciagurato Memorandum Globalist ha dedicato decine di articoli, interviste, report. In questa occasione riprendiamo una parte del documento reso pubblico da Save the Children, una delle  40 organizzazioni della società civile che con un documento congiunto avevano chiesto al Parlamento costituitosi dopo le elezioni del 25 settembre di cancellare quel patto “criminale”.

Di seguito alcuni passaggi del documento di Save the Children, organizzazione meritoria di cui tutto si può dire, e tutto bene, tranne che sia un covo di esagitati estremisti di sinistra. : 

“Omissione di soccorso, respingimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e violenze: ecco a cosa sono sottoposti i migranti e rifugiati in Libia e non possiamo restare in silenzio di fronte a tutto questo. È chiaro a chiunque cosa avviene ogni giorno nel Mediterraneo e nei centri di detenzione in Libia, ma l’attenzione da parte della politica e delle Istituzioni è nulla, anzi sembra remare contro. L’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerare la Libia un Paese con cui poter stringere alleanze, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai Paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. La guerra in Ucraina ha dimostrato che in Europa un’altra accoglienza è possibile ma anche mostrato la ferocia di un doppio standard per chi arriva dal Mediterraneo.

Diritti negati di comune accordo 

Come già detto, e purtroppo più volte visto, il Memorandum non si limita a creare progetti di cooperazione bilaterale. L’accordo prevede infatti il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento: continuare a supportarla, non solo equivale a contribuire direttamente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione, definiti ufficialmente “centri di accoglienza”, dove le persone vedono quotidianamente calpestati i propri diritti, sottoposte a trattamenti inumani e degradanti.

Dal 2017 all’11 ottobre 2022 quasi centomila bambini, donne e uomini sono stati intercettati in mare dai dalla Guardia Costiera Libica, per poi essere riportate in un Paese che non può essere considerato sicuro. Essere una persona migrante in Libia significa infatti essere costantemente a rischio: di essere arrestato, detenuto, abusato, picchiato, sfruttato. Significa vedersi spogliati di ogni diritto e non ricevere alcuna tutela.

Tutto ciò si inserisce in un quadro politico particolarmente instabile, in cui le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come gli sfollati. Sono numerosi i report delle Nazioni Unite, confermati anche dalle testimonianze dei migranti che riescono a lasciare il Paese, che riportano come episodi di violenza, torture e riduzione in schiavitù siano all’ordine del giorno nei centri di detenzione in Libia. In più, vengono confermate la commistione delle autorità libiche con le milizie, e il loro coinvolgimento nel sistema di detenzione arbitraria, sfruttamento e abuso dei migranti e dei richiedenti asilo. In questo scenario è sempre più difficile tracciare i fondi e i mezzi inviati grazie al nostro Memorandum. 

Un rinnovo inaccettabile  

La Libia è un Paese che presenta situazioni di insicurezza e instabilità verso il quale non vanno in nessun modo sostenuti rimpatri o trasferimenti, inclusi quelli dei minori. È evidente che riformare o migliorare il sistema Memorandum ed in generale di blocco delle partenze dalla Libia vorrebbe dire continuare a mantenere intatte le condizioni affinché proseguano le violazioni ai danni di donne, uomini, bambini e bambine. Sussiste infatti, un’impossibilità strutturale di apportare qualsiasi forma di miglioramento delle condizioni di vita delle persone migranti in Libia, a cui si aggiunge un inadeguato accesso dei richiedenti asilo e rifugiati alla protezione internazionale. Il Memorandum Italia-Libia non sta ponendo nessun limite alle violazioni dei diritti delle persone migranti, al contrario crea proprio le condizioni per il loro proseguimento, agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura consumate regolarmente e tali da costituire crimini contro l’umanità, così come definito dalla Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite.

È urgente che l’Italia è l’Europa riconoscano le proprie responsabilità e non rinnovino gli accordi con la Libia”.

Questo appello è caduto nel vuoto. Con silenzio-assenso, quel Memorandum è stato rinnovato per altri tre anni.

Il confronto

E qui veniamo ai due protagonisti a confronto. Il primo, di cui abbiamo già dato elementi sufficienti per identificarlo, è Marco Minniti. Da persona intelligente qual è, Minniti ha riflettuto su ciò che ha prodotto quel Memorandum. Giungendo a conclusioni “revisioniste” ma non autocritiche.

La prima riflessione è declinata in un colloquio con Brando Ricci per l’agenzia Dire:  “Guardare con attenzione alla Libia, perché è un “termometro” geopolitico del mondo, e se la temperatura sale il segnale è da cogliere subito, e poi a tutto il Nord Africa, dove crisi alimentare e instabilità possono portare a nuove primavere arabe “senza però alcuna prospettiva di cambiamento, solo tensioni e destabilizzazione”. L’invito, e le intuizioni, sono del presidente della Fondazione Med-Or Marco Minniti, ascoltato dall’agenzia Dire a margine dell’incontro annuale a Roma dell’organizzazione che presiede.

Gli scontri tra milizie a Tripoli

Minniti, già ministro degli Interni durante il governo guidato dal primo ministro Paolo Gentiloni, fra il 2016 e il 2018, parla di Tripoli sollecitato sugli scontri fra milizie rivali che in un contesto di grande fragilità politica, la settimana scorsa, sono tornati a colpire la città, facendo registrare vittime. “La Libia è il Paese al mondo che più di tutti risente delle tensioni internazionali, in quanto epicentro, negli ultimi anni, delle attività di tanti Paesi diversi, dalla Turchia alla Russia fino al Qatar e gli Emirati Arabi Uniti”. E allora a Tripoli “bisogna guardare come un termometro, stando attenti alla temperatura”, avverte il presidente di Med-Or, che mette in guardia sulle possibilità di un “effetto domino in tutto il Nord Africa, dove già si soffrono in modo particolare gli effetti della crisi alimentare provocata dalla guerra in Ucraina”, fra i maggiori esportatori al mondo di grano.

Dall’Ucraina al Mediterraneo

Per Minniti, del resto, l’emergenza scoppiata nell’est dell’Europa, si risolve soprattutto “facendo emergere un nuovo ordine mondiale che veda fra i suoi protagonisti il Mediterraneo, una ragione senza la quale è impossibile pensare a una pace globale”. Il monito è parte di un più ampio “messaggio in bottiglia”che Minniti affida alla platea presente al Med-Or Day, costituita da numerosi ministri del governo, e ai dirigenti dell’esecutivo con cui condivide il panel, il titolare della Farnesina Luigi Di Maio e il responsabile della Difesa Lorenzo Guerini. Il presidente della fondazione, nata su iniziativa di Leonardo con un focus sulla formazione e uno sguardo rivolto al Mediterraneo allargato, dal Sahel fino all’Estremo Oriente, prima invita ad aprire la bottiglia “dopo la fine di settembre”, data delle elezioni anticipate che si sono rese necessarie dopo le dimissioni del primo ministro Mario Draghi, e poi ne anticipa il contenuto: La guerra in Ucraina ha dispiegato un’onda d’urto i cui effetti si vedranno soprattutto nel Mare Nostrum, ed è qui dove bisogna concentrare l’attenzione. Le crisi in arrivo sono tre: demografica, alimentare ed energetica”.

Così Ricci per la Dire.

Di recente, Minniti, in una intervista a Repubblica, ha illustrato un suo piano per l’Africa che ha come prospettiva il governo dei flussi migratori: “Un piano europeo per l’Africa che sia ambizioso. L’Europa mette sul tavolo, subito e per iniziare, 3 miliardi di euro, la metà di quanto abbiamo dato alla Turchia. Serve un segnale forte per riprendere l’iniziativa politica in quell’area per noi cruciale”, denaro che va “in investimenti in Egitto, Tunisia e gli altri Paesi di partenza, e non per costruire hotspot. Neppure il più autoritario dei governi riuscirà a fermare la legittima aspirazione dei giovani a raggiungere l’Europa. Oltre agli investimenti, gli stati Ue garantiscono corpose quote di ingressi legali, perché c’è bisogno di lavoratori qualificati” ma “il Paese di partenza si impegna al rimpatrio immediato degli arrivi illegali. Toglieremo così linfa vitale ai trafficanti di esseri umani”. 

“Se l’Europa si presenta in Libia con un piano per la stabilità e prosperità – prosegue Minniti – potrà pretendere di avere un interlocutore unico di governo. Sarà quindi un incentivo politico per le classi dirigenti libiche. Il governo libico dovrà garantire poi che i soldi non finiscano nelle mani sbagliate». Questo approccio, gli viene fatto notare, è alla base del contestato Memorandum Italia-Libia: «È tempo di superare anche quel memorandum. Il meccanismo della redistribuzione tra Paesi Ue non è risolutivo, troppo divisivo. Un piano per l’Africa, invece, non lo sarà. Ogni euro investito in Africa è un euro investito in Europa”.

Minniti aggiorna, rilancia, evoca un “piano per l’Africa”. Ma sul passato, il massimo che concede è che quel Memorandum ha fatto il suo tempo. Ma di autocritica per averlo congegnato, neanche l’ombra.

Diritti e cittadinanza

L’altro partecipante al concorso-Globalist. è un prelato che in tasca non ha mai avuto una tessera di partito. Di lui ne parla Amedeo Lorusso su Vatican News: monsignor Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes: Scrive Lomonaco: “Per passare dall’essere cittadini a vivere come fratelli i passi fondamentali, spiega monsignor Perego, sono quelli del “riconoscimento dei diritti di ogni persona”. Questo riconoscimento è legato al tema della cittadinanza perché “non ci possono essere diritti senza riconoscere le persone come cittadini”. L’iter della cittadinanza deve essere visto come un percorso importante per ricostruire le città: “un milione e 400 mila immigrati – ricorda il presidente della Fondazione Migrantes – sono diventati cittadini italiani ma la legge per l’acquisizione della cittadinanza non interpreta il volto nuovo dei migranti, soprattutto dei minori”. Si deve dunque rilanciare “il percorso dello ius culturae e dello Ius Scholae”.

Accogliere e includere

Un altro tassello fondamentale, ricorda monsignor Perego, è quello dell’accoglienza che permette ai migranti di non arrivare in un territorio come estranei, “ma di essere da subito riconosciuti come persone da accompagnare”. Uomini e donne da integrare seguendo il tracciato più volte indicato Papa Francesco: “all’accoglienza deve seguire la tutela di ogni persona, il riconoscimento delle sue capacità e poi l’inclusione”.

Il progetto “Diffusamente”

Un segno concreto di questa accoglienza gestita con umanità è il progetto “Diffusamente”, sostenuto da Acri e dalla Fondazione Migrantes. Una iniziativa nata per rispondere, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, alle necessità dei profughi. In Italia, ricorda monsignor Perego, sono arrivate complessivamente 160 mila persone ma lo Stato italiano non era in grado di accoglierle tutte nelle sue strutture e allora si è sviluppata “questa accoglienza diffusa nelle famiglie e nelle parrocchie”. La Fondazione Migrantes, con il contributo dell’Acri, ha aiutato 1.100 persone (350 nuclei familiari) dislocate sul territorio nazionale, in 18 diocesi e nella comunità di Santa Sofia a Roma.

L’appello di Migrantes al governo italiano

Monsignor Perego ricorda infine i passi che dovrebbero scandire l’agenda politica italiana sul tema dell’immigrazione. “Per quanto riguarda i migranti economici, si devono anzitutto rivedere i meccanismi delle quote che generano irregolarità lavorative, sfruttamento e precariato”. Un secondo elemento importante è il tema della casa: “un lavoratore che arriva in Italia dopo diversi anni compie il passo del ricongiungimento familiare, ma oggi questo momento rischia di essere protratto per anni o di rivelarsi impraticabile per la mancanza di abitazioni e per la difficoltà di riconoscere ai cittadini migranti le stesse condizioni di abitabilità dei cittadini italiani”. Per quanto riguarda i richiedenti asilo, coloro che stanno fuggendo da condizioni di vita drammatiche, si devono predisporre “canali di ingresso regolari che vadano al di là dei corridoi umanitari”. Si devono anche mettere al centro “il soccorso e il riconoscimento della protezione internazionale” sia nelle frontiere del mare ma anche per quelle terrestri”.

A voi, giuria di lettori, spetta l’ultima parola. Tra l’ex ministro piddino e il monsignore, chi è più di sinistra? Ma forse quel “più” è anche troppo. 

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