Presidente Meloni, per la Libia c'è bisogno di una strategia e non una pioggia di soldi
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Presidente Meloni, per la Libia c'è bisogno di una strategia e non una pioggia di soldi

Meloni vuole imitare Erdogan sulla Libia. Se i turchi sanno cosa fare con i soldi europei, in Libia il rischio è invece che il denaro finisca nelle mani di bande criminali. 

Presidente Meloni, per la Libia c'è bisogno di una strategia e non una pioggia di soldi
Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Novembre 2022 - 17.55


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Presidente Meloni, per la Libia serve una strategia e non caricare di soldi signori della guerra eterodiretti o travestiti da improbabili statisti.

Ma quale “piano Marshall”…

Scrive in proposito Luca Gambardella su Il Foglio: “Mentre il governo italiano rilancia l’idea di un “piano Marshall” per la Libia,in ambito europeo si nutrono parecchi dubbi sull’opportunità di finanziare a pioggia un paese votato all’instabilità. “La Libia non è la Turchia”, fa notare Natalina Cea, funzionaria italiana e direttrice di Eubam Libia, la missione europea che assiste Tripoli nei controlli alle frontiere. Se i turchi sanno cosa fare con i soldi europei, in Libia il rischio è invece che il denaro finisca nelle mani di bande criminali. 

“Sono due contesti completamente diversi”. Eppure oggi, alla riunione del Consiglio dei ministri degli Affari esteri a Bruxelles, Antonio Tajani ha provato a tastare il terreno per rilanciare in via informale la proposta su cui la premier Giorgia Meloni spinge da tempo: “Facciamo come in Turchia”, ha detto Tajani ai colleghi europei. L’idea è di versare più soldi ai paesi africani da cui partono i migranti – nel caso di Ankara la somma totale è stata di 6 miliardi di euro – in cambio di un loro impegno maggiore nell’arginare gli arrivi…”.

Elezioni vo cercando…

Il primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun) della Libia, Abdulhamid Dabaiba, ha annunciato di essere pronto a tenere elezioni entro due mesi, ma non ha ancora deciso se candidarsi alla presidenza della Repubblica. In un’intervista all’emittente radiofonica tunisina “Mosaique Fm”, il politico e imprenditore di Misurata che guida l’esecutivo libico riconosciuto dall’Onu ha spiegato che la sua candidatura alle elezioni presidenziali non è certa. “La decisione non appartiene solo a me”, ha detto Dabaiba, spiegando di voler consultarsi con la sua famiglia prima di fare qualsiasi annuncio al riguardo. Il primo ministro ha sollecitato l’approvazione quanto prima di una costituzione e di leggi elettorali in Libia: “Noi siamo pronti e il ministero dell’Interno può proteggere il voto”, ha detto il premier nominato dal Foro di dialogo politico libico nel febbraio 2021. Dabaiba ha detto che esiste “un solo governo in Libia” in grado di gestire tutto il territorio libico, i comuni, i servizi sicurezza e di intelligence.

Il potere in Libia continua a essere conteso da due coalizioni rivali: da una parte il Governo di unità nazionale del premier ad interim Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento dell’est; dall’altra il Governo di stabilità nazionale designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, già ministro dell’Interno di Tripoli, basato a Sirte. Le elezioni in Libia avrebbero dovuto tenersi il 24 dicembre 2021, ma sono state rimandate “sine die” per le divergenze sulle candidature e sulle leggi elettorali. Lo stesso Dababia aveva annunciato la sua intenzione di concorrere per la presidenza della Repubblica, insieme al generale Khalifa Haftar e a Saif al Islam Gheddafi, secondogenito del defunto dittatore Muhammar Gheddafi.

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Spartizione in fieri

Continuando così la Libia prima o poi si spaccherà. A pensarlo è Abdoulaye Bathily, l’inviato delle Nazioni Unite per la Libia che ha avvertito il Consiglio di Sicurezza che il paese nord africano è ormai a rischio di spartizione, dopo che è passato quasi un anno dal rinvio delle elezioni che si sarebbe dovute tenere il 24 dicembre del 2021.

Bathily ha affermato che alcuni attori istituzionali stanno attivamente ostacolando il progresso verso le elezioni: “La genuina volontà politica di questi attori deve essere messa alla prova contro la realtà, mentre ci avviciniamo al 24 dicembre, il primo anniversario del rinvio delle elezioni e il 7° anniversario della firma dell’accordo politico libico”, ha detto Bathily condividendo la dichiarazione dei libici preoccupati per i ritardi delle tanto attese elezioni in un briefing al Consiglio di sicurezza.

“L’ulteriore prolungamento del periodo di transizione renderà il Paese ancora più vulnerabile all’instabilità politica, economica e di sicurezza e potrebbe mettere il Paese a rischio di spartizione”.

L’inviato del Segretario Generale Guterres in Libia ha esortato i leader libici a lavorare con determinazione per tenere le elezioni il prima possibile.

Bathily ha anche incoraggiato il Consiglio di 15 membri “a inviare un messaggio inequivocabile agli ostruzionisti che le loro azioni non rimarranno senza conseguenze”.

Il sultano dà le carte

Annota Alessandro Scipioni su Agenzia Nova: “La Turchia rafforza l’alleanza militare con il governo libico di Tripoli stringendo un accordo confidenziale per fornire addestramento, armi e droni d’attacco, nonostante la Libia sia ancora sottoposta all’embargo delle Nazioni Unite sulle armi letali. Il premier e ministro della Difesa “ad interim” del Governo di unità nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba, ha firmato a Istanbul due accordi militari con il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar. Il primo accordo riguarda “l’aumento dell’efficienza delle capacità dell’aviazione militare in Libia”, mentre il secondo è un seguito del protocollo d’intesa militare turco-libico firmato nel 2019, secondo quanto si legge in una nota del governo tripolino. Fonti libiche hanno riferito ad “Agenzia Nova” che il primo accordo – il cui contenuto resta segreto – prevede la fornitura di droni, addestramento e armi. Circostanza, quest’ultima, che violerebbe l’embargo su cui vigila l’operazione EuNavFor Med – Irini, comandata dall’ammiraglio italiano Stefano Turchetto.

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Per tre volte la Turchia ha negato quest’anno una richiesta di consenso da parte di Irini per ispezionare le navi battenti bandiera turca nel Mediterraneo centrale, sospettate di trasportare armi in Libia. Per questo motivo l’Unione europea ha congelato i beni della compagnia turca Avrasya Shipping, scatenando le ire di Ankara. Ma gli accordi firmati ieri segnano un nuovo, ulteriore passo in avanti dell’alleanza turco-libica: il governo di Tripoli riceverà nuovi droni e la capacità di pilotarli da remoto, cosa che finora era appannaggio dei soli turchi. Una decisione anche politica di forte sostegno al premier Dabaiba, a discapito del governo parallelo guidato da Fathi Bashagha, sostenuto ormai solo dall’Egitto. “I turchi hanno fatto una scelta di campo e sostengono apertamente Dabaiba. Hanno le elezioni nel 2023 e non vogliono trovarsi in acque tempestose in Libia, giudicando il governo Bashagha sempre più debole”, spiegano a Nova fonti libiche”.

La torta petrolifera

Globalist ne ha scritto a più riprese. Da anni.  Perché da almeno due anni ciò che sta davvero accadendo in Libia è la “Grande spartizione” tra il Sultano e lo Zar, al secolo Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin.  Russi e turchi sono pronti a spartirsi la Libia e a esercitare la loro crescente influenza nel Mediterraneo Occidentale, scrivevamo due anni fa.  E’ questo che dicono le manovre aeronavali turche a largo delle coste libiche e lo schieramento dei jet russi nella base di Jufra che, secondo alcuni, hanno parzialmente sostituito i mercenari della Wagner. Ankara vuole insediarsi in Tripolitania, Mosca punta a farlo in Cirenaica. Dagli equilibri che si raggiungeranno dipende l’assetto della Libia di domani che, ancora una volta, non si deciderà né a Tripoli né a Bengasi, prosegue il documento. Da tempo infatti quella in Libia si è trasformata in una guerra per procura dove sono gli attori esterni, regionali, e globali, ha determinarne gli scenari e i possibili compromessi.

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Un progetto di spartizione della Libia che, secondo indiscrezioni, sarebbe partito allora e finalizzato in un vertice segreto tenutosi a Malta a fine ottobre 2020. La posta in gioco non è solo il controllo degli idrocarburi gestiti dalla Noc (National Oil Corporation) con importanti contratti all’Eni, è in gioco, ma l’intero asse mediterraneo.

Il punto è che undici anni dopo quella sciagurata guerra voluta dalla Francia e subita dall’Italia, non si vuol prendere atto che la Libia del post-Gheddafi è uno Stato fallito, dove a farla da padroni, quelli veri, sono signori della guerra, trafficanti di esseri umani, banditi di vario genere e caratura, improbabili “tecnici” spacciati per leader politici, signor nessuno come era l’ormai dimenticato Fayez al-Sarraj. Il tutto in un Paese in cui operano, direttamente o per procura, attori esterni che ambiscono a mettere le mani sulla torta petrolifera libica. L’elenco è lunghissimo. Solo per citarne i più attivi: Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar. E un po’, ma nemmeno tanto, defilata, la Francia. La verità che si cerca di nascondere è che l’obiettivo praticato da molti di questi attori esterni è quello della spartizione territoriale della Libia, e delle sue ricchezze di gas e petrolio. 

Per riassumere: in Libia sono ancora presenti, stima in difetto, almeno 180 tra milizie e tribù in armi. Sul campo vi sono ancora diverse migliaia di mercenari di tutte le risme, per non parlare dei gruppi criminali che traffico in esseri umani e che controllano, in combutta con le autorità locali, intere aree, soprattutto costiere, del Paese.  

Pensare di superare il caos armato libico con finanziamenti a pioggia, senza uno straccio di strategia, non è solo una fesseria politica. E’ una mossa pericolosa. Avventurismo allo stato puro. 

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