Grazie a Maurizio Debanne, capo ufficio stampa di Medici Senza Frontiere, impegnato in prima persona a Catania. Grazie per aver postato due storie che prendono il cuore, scuotono le coscienze e raccontano di come ci rapportiamo alla tragedia del popolo siriano.
Porto di Catania, 8 novembre
Youssouf* è uno dei 214 sopravvissuti rimasti a bordo della Geo Barents a cui non è stato permesso di lasciare la nave di MSF durante lo sbarco selettivo imposto a Catania dalle autorità italiane lo scorso 6 novembre.
“Dopo giorni e giorni su quella nave [Geo Barents] stavo impazzendo. Ho avuto la sensazione che il mio corpo e i miei sogni stessero andando in frantumi. Sono grato per tutta l’assistenza che ho ricevuto a bordo ma non ce la facevo più a sopportare quella situazione” racconta Youssouf*, seduto sulla banchina del porto di Catania dopo essere saltato in acqua dalla Geo Barents.
“Ho lasciato il nord della Siria per offrire una vita più sicura alla mia famiglia. Ho quattro figlie che sono rimaste lì e spero che possano raggiungermi presto in un luogo sicuro, in Europa. La più piccola ha solo sei anni. Negli ultimi anni hanno visto le bombe cadere sulla nostra città e non possono andare a scuola perché la zona continua a non essere sicura. I gruppi armati sono ovunque, rapiscono le persone per chiedere il riscatto, la situazione è fuori controllo e ogni giorno ho paura per la loro vita. Voglio semplicemente trovare un posto dove possano essere libere dalla paura e sentirsi al sicuro. Questo è il mio sogno e non permetterò a nessuno di portarmelo via”.
Ahmed* ha lasciato Damasco, in Siria, un anno fa per fuggire dalla situazione pericolosa e insostenibile nel suo paese, dove non poteva più restare. È andato in Libia e da lì, per sei volte, ha tentato di attraversare il Mar Mediterraneo a bordo di imbarcazioni instabili; è stato intercettato e portato in centri di detenzione in Libia dove ha subito violenze e abusi prolungati. Ci ha raccontato che da allora ha forti dolori alla schiena a causa delle violenze che ha subito.
Sia Youssouf* che Ahmed*, da quando si sono tuffati in mare per protestare contro la decisione delle autorità italiane, hanno trascorso l’intera notte all’aperto in banchina rifiutando da questa mattina cibo e acqua.
Ahmed*, è stato appena portato via in ambulanza. Ha 39 di febbre.
Così dal Porto di Catania.
Un popolo tradito
La Siria “dimenticata” è l’inferno raccontato da Catherine Russell, Direttore Generale dell’Unicef (l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia) nel suo intervento alla VI Conferenza di Bruxelles: “Sostenere il futuro della Siria e della regione”.
Così Russell: “La Siria oggi è uno dei posti più pericolosi al mondo per essere un bambino. Un’intera generazione sta lottando per sopravvivere. Quasi il 90% delle persone in Siria vive in povertà. Più di 6,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza urgente – il maggior numero di bambini siriani in difficoltà dall’inizio del conflitto. Undici anni di conflitto e sanzioni hanno avuto un impatto devastante sull’economia della Siria, riportando lo sviluppo indietro di 25 anni. La maggior parte dei sistemi e dei servizi di base da cui dipendono i bambini – salute, nutrizione, acqua e servizi igienici, istruzione e protezione sociale – sono stati ridotti all’osso. Le famiglie stanno lottando per mettere il cibo in tavola. Tra febbraio e marzo (quest’anno), il prezzo del paniere alimentare standard è aumentato di quasi il 24%. Quasi un terzo di tutti i bambini soffre di malnutrizione cronica. E l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi del cibo sta rendendo una brutta situazione ancora peggiore. Questi sono tempi pericolosi, persino mortali, per essere un bambino in Siria. Gli attacchi alle infrastrutture civili sono diventati comuni. Più di 600 strutture mediche, tra cui ospedali materni e infantili, sono state attaccate. Dall’inizio della guerra, abbiamo potuto verificare che quasi 13.000 bambini sono stati uccisi o feriti – ma sappiamo che la cifra è molto più alta. La guerra non ha segnato solo fisicamente i bambini della Siria. L’anno scorso, un terzo di tutti i bambini in Siria ha mostrato segni di stress psicologico – ferite invisibili che possono durare tutta la vita. Anche i bambini che sono fuggiti dalla guerra in Siria hanno subito un trauma. Circa 2,8 milioni di bambini (siriani) vivono ora in Giordania, Libano, Iraq, Egitto e Turchia. Le vite di questi bambini sono piene di perdite, rischi e incertezze. Come ha detto una bambina di 11 anni a un operatore Unicef, “Non so cosa significhi la parola casa”.
Undici anni di guerra, disordini e sfollamenti hanno anche minacciato l’istruzione di un’intera generazione. Più di 3 milioni di bambini siriani non vanno ancora a scuola. Ma contro ogni previsione, circa 4,5 milioni di bambini siriani hanno accesso a opportunità di apprendimento. Questo grazie ai generosi finanziamenti dei donatori attraverso iniziative come (The) No Lost Generation, co-guidata dall’Unicef. Ma non potrebbe accadere senza i continui sforzi delle comunità locali, degli insegnanti, della società civile e delle organizzazioni internazionali.
Sappiamo che altre crisi che colpiscono i bambini stanno dominando i titoli dei giornali. Ma il mondo non deve dimenticare i bambini della Siria. Le loro vite sono altrettanto preziose e il loro futuro è altrettanto importante. Prima di tutto, hanno bisogno della fine di questa lunga e infruttuosa guerra. Non ci può essere una soluzione militare a questa crisi. Solo la pace può evitare che i bambini della Siria diventino davvero una generazione perduta. Chiediamo anche la fine immediata di tutte le gravi violazioni contro i bambini in Siria, compresi l’uccisione e il ferimento dei bambini. Fino a quando non sarà raggiunta una soluzione sostenibile, l’Unicef e i nostri partner continueranno a fare tutto il possibile per raggiungere ogni bambino, ovunque si trovi”.
La denuncia di Oxfam
“6 siriani su 10 non sanno letteralmente come procurarsi il cibo – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia– Nell’area intorno a Damasco le persone fanno ore e ore di fila per il pane, mentre i bambini cercano qualcosa da mangiare tra i rifiuti. Per sopravvivere molte famiglie si stanno indebitando, o decidono di mandare i figli a lavorare, razionano il numero di pasti. Per avere una bocca in meno da sfamare, fanno sposare le figlie, anche minorenni.Sono questi gli indicibili effetti di un conflitto dimenticato, in un Paese dove il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di disoccupazione è arrivato al 60% e il salario minimo mensile nel settore pubblico è di 26 dollari”.
In questo momento 12,4 milioni di persone in Siria vivono in una condizione di insicurezza alimentare, il lavoro minorile è diffuso nell’84% delle comunità, mentre i matrimoni precoci nel 71%. Il Paese inoltre fino ad oggi ha fatto affidamento sulle importazioni di grano dalla Russia.
Con lo scoppio della crisi in Ucraina, il Governo ha deciso perciò il razionamento delle riserve alimentari e non solo: oltre al grano, zucchero, riso e carburante.
Oxfam ha raccolto diverse testimonianze che raccontano il dramma che in questo momento sta vivendo il popolo siriano.
“Per noi non ha senso pensare al domani, se non sappiamo cosa mettere in tavola oggi per sfamare i nostri figli”, racconta Hala, che vive a Deir-ez-Zor una delle zone più devastate dalla guerra dove Oxfam è al lavoro per soccorrere la popolazione.
“Lavoro 13 ore al giorno per sfamare i miei figli, ma non sembra bastare – continua Majed che vive nel governatorato di Rural Damascus – A volte vorrei che la giornata durasse più di 24 ore per lavorare di più. Sono stanchissimo e non so se riusciremo a sopravvivere.”
“Uno stipendio medio basta appena per le spese essenziali”, aggiunge Moutaz Adam.
“Per quanto scioccante sia, i siriani dicono che vivere sotto le bombe era terribile, ma non aver da mangiare per i figli lo è ancor di più. –conclude Pezzati – A oltre 11 anni dall’inizio della crisi siriana, il dolore e la sofferenza sembrano non avere fine. Per questo lanciamo un appello urgente alla comunità internazionale e ai paesi donatori perché concentrino gli aiuti sul finanziamento di programmi urgenti di risposta alla fame e di protezione sociale per salvare vite e ridare speranza ad un intero popolo”.
Di questo popolo tradito, dimenticato, fanno parte Youssouf* e Ahmed*.