125 miliardari inquinano il pianeta. Le emissioni annue di CO2 associate agli investimenti in imprese inquinanti da parte di 125 miliardari equivalgono a quelle prodotte in un anno da un paese come la Francia, sono superiori a quelle di cui è responsabile l’Italia.
In media in un anno gli investimenti di ciascuno di questi super ricchi in settori economici inquinanti “producono” una quantità di emissioni 1 milione di volte superiore rispetto a quella di un qualunque cittadino collocato nel 90% più povero della popolazione mondiale: il rapporto è di 3 milioni di tonnellate, contro 2,76 tonnellate di CO2 pro-capite in un anno.
È la denuncia contenuta nel nuovo rapporto, pubblicato da Oxfam alla vigilia della Cop27 di Sharm El-Sheikh.
Il dossier getta luce sull’abnorme quantità di emissioni associate agli investimenti di 125 miliardari in 183 tra le più grandi aziende del mondo, in cui detengono complessivamente una partecipazione azionaria per un controvalore pari a 2.400 miliardi di dollari.
“Il fatto che pochi miliardari siano responsabili di un livello di emissioni pari a quello di interi Paesi descrive un mondo sempre più disuguale, in cui una ristretta élite ha il potere di decidere le sorti del pianeta. – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia – Una responsabilità raramente discussa o presa in considerazione nella definizione delle politiche di contrasto alla crisi climatica. Il livello di emissioni prodotte con il loro stile di vita, fatto di jet e mega yacht privati, è già di per sé migliaia di volte superiore a quello di un normale cittadino, ma quando prendiamo in considerazione gli effetti dei loro investimenti siamo all’incredibile”.
Gli “investimenti inquinanti” dei miliardari
Al contrario di quanto accade per un comune cittadino, quasi il 70% delle emissioni degli individui più ricchi sono riconducibili ai loro investimenti.
L’analisi di Oxfam evidenzia, in particolare, come i miliardari nel campione esaminato abbiano destinato in media il 14% dei loro investimenti in settori inquinanti come il comparto energetico fossile o l’industria del cemento. Si tratta del doppio della media dei loro investimenti nelle società che compongono l’indice Standard and Poor 500.Solo un miliardario nel campione preso in esame nel report ha investito in una società di energia rinnovabile.
“La Cop27 avrà l’enorme responsabilità di smascherare e cambiare le politiche delle grandi aziende e dei loro ricchi investitori, di fronte ai super profitti derivati da attività enormemente inquinanti, che stanno accelerando in modo esponenziale la crisi climatica globale”, aggiunge Petrelli.
Le scelte d’investimento dei miliardari – in settori come le infrastrutture ad alta intensità di carbonio – hanno forti ripercussioni sul futuro della nostra economia e del pianeta. Dai dati di Oxfam emerge che se i miliardari del campione concentrassero i loro investimenti in fondi con standard ambientali e sociali più stringenti, si potrebbe ridurre l’attuale intensità delle loro emissioni fino a quattro volte.
“I governi non possono più ignorare quanto sta accadendo o consentire mere operazioni di greenwashing. – aggiunge Petrelli -È necessario al contrario che affrontino urgentemente questo problema rendendo pubblici i dati sui livelli di emissioni di cui sono responsabili le persone più ricche. Definendo regole chiare per ridurre l’impatto delle emissioni prodotte dalle grandi aziende e tassando gli investimenti nelle società più inquinanti”.
Necessaria una tassazione più incisiva dei più ricchi e degli investimenti inquinanti
Oxfam ha calcolato che un aumento dell’imposizione sui grandi patrimoni consentirebbe di raccogliere fino a 1.400 miliardi di dollari all’anno, risorse vitali che potrebbero in parte contribuire, se appropriatamente veicolate, ad aiutare i Paesi in via di sviluppo – i più colpiti dalla crisi climatica – ad adattarsi ed affrontare perdite e danni da eventi climatici estremi. Secondo l’UNEP i costi di adattamento per i Paesi in via di sviluppo saliranno a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. La sola Africa avrà bisogno di 600 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2030.
Oxfam chiede inoltre che vengano maggiormente tassati i rendimenti degli investimenti più inquinanti allo scopo di scoraggiarli.
L’appello alla Cop 27
Alla vigilia dell’apertura dei lavori di COP27, secondo Oxfam, le seguenti azioni dovrebbero essere intraprese quanto prima:
- i governi devono adottare regolamenti e politiche che obblighino le imprese a monitorare e comunicare pubblicamente i tre tipi di emissioni di gas serra (Scope 1, 2 e 3), a fissare obiettivi climatici basati su dati scientifici con una chiara tabella di marcia per la riduzione delle emissioni e, nel contempo, garantire una giusta transizione dall’economia estrattiva ad alta intensità di CO2, assicurando i futuri mezzi di sussistenza dei lavoratori e delle comunità interessate;
- i governi dovrebbero assoggettare a tassazione i grandi patrimoni e aumentare il prelievo sui rendimenti degli investimenti finanziari in settori inquinanti. Il gettito raccolto potrà contribuire a interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici e al finanziamento del passaggio globale alle energie rinnovabili;
- le multinazionali devono adottare piani di contrasto al cambiamento climatico ambiziosi e vincolati nel tempo, con obiettivi a breve-medio termine in linea con gli obiettivi climatici globali, al fine di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
“Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, l’umanità deve ridurre in modo significativo le emissioni di gas serra, il che richiederà cambiamenti radicali nel modo di produrre e investire”, conclude Petrelli.
L’allarme dell’Unhcr
L’Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi esorta i leader mondiali ad arginare le conseguenze umanitarie più devastanti della crisi climatica e a evitare un futuro catastrofico per milioni di persone costrette a lasciare le loro case.
“La Cop27 deve fornire ai Paesi e alle comunità più esposti alla crisi climatica gli strumenti per prepararsi ai climi estremi, per adattarsi e minimizzare l’impatto dell’emergenza climatica” ha detto Grandi. “Non possiamo lasciare milioni di rifugiati e sfollati e le comunità che li ospitano ad affrontare da soli le conseguenze del cambiamento climatico.”
All’impatto degli choc climatici in tutto il mondo si uniscono i conflitti, la grave insicurezza alimentare, i prezzi in aumento e gli effetti della pandemia di Covid-19; ma coloro che sono meno responsabili della crisi climatica e meno in grado di adattarsi alle sue conseguenze ne subiscono gli effetti più gravi.
La conferenza sul clima dell’Onu di quest’anno avviene sullo sfondo di catastrofi climatiche, dalle alluvioni senza precedenti in Pakistan alla peggiore siccità degli ultimi decenni in tutto il Corno d’Africa.
In Somalia, sono circa un milione le persone costrette a fuggire a causa della siccità e della minaccia della carestia. In Mozambico, cicloni devastanti hanno colpito decine di migliaia di persone già sfollate a causa della violenza, mentre il Sud Sudan e il Sudan lottano per il quarto anno di seguito contro inondazioni senza precedenti. Più di 3,4 milioni di rifugiate e sfollati e le comunità che li ospitano affrontano le conseguenze delle recenti inondazioni catastrofiche in Nigeria, Chad, Camerun e nei paesi centrali del Sahel (Nigeria, Burkina Faso e Mali), una regione che già vive una delle peggiori crisi di migrazioni forzate del mondo.
Nell’Estremo Nord del Camerun è esplosa la violenza intercomunitaria tra allevatori, pescatori e agricoltori a causa delle scarse risorse idriche, poiché il Lago Chad e i suoi affluenti si sono prosciugati a causa della siccità. Negli ultimi mesi dello scorso anno più di 100 persone sono state uccise o ferite, e decine di migliaia hanno lasciato le loro case.
Nel frattempo, la siccità nel Dry Corridor (“corridoio arido”) dell’America Centrale ha costretto i contadini a fuggire nelle città vicine, dove sono esposti alla violenza delle gang di strada. E in altre parti della regione, come in Honduras, il cambiamento climatico è un’ulteriore causa di migrazioni forzate, con uragani sempre più forti e frequenti.
Oltre il 70% dei rifugiati e sfollati del mondo viene dai paesi più vulnerabili ai fenomeni del clima, come l’Afghanistan, la Repubblica democratica del Congo, la Siria e lo Yemen. Per loro la posta in gioco è altissima, ma troppo spesso vengono esclusi dalle discussioni sulla crisi climatica.
Solo un’azione decisa e un massiccio aumento dei finanziamenti per la mitigazione dell’adattamento al clima possono alleviare le conseguenze umanitarie, presenti e future, della crisi climatica per le popolazioni sfollate e le comunità ospitanti. Gli investimenti devono essere collaborativi, inclusivi e cercare soluzioni per i più vulnerabili. I leader mondiali devono guardare a un’azione incisiva, duratura e integrata che coinvolga le comunità locali, i governi e i partner già impegnati nella lotta agli eventi climatici estremi. In alcuni contesti l’adattamento non sarà sufficiente e occorreranno altre risorse finanziarie per l’inevitabile “loss and damage”, di cui un esempio eclatante è la fuga dalle proprie case.
I timori e le soluzioni per le persone rifugiate e sfollate devono trovare posto non solo nei dibattiti come alla Cop 27, ma devono ricevere un sostegno molto maggiore negli “hotspot” climatici.