L’Unione Europea riprende i lavori dopo la pausa estiva sotto l’egida della presidenza ceca, che debutta a Praga con l’informale Esteri-Difesa. Il menù è sempre lo stesso: la crisi ucraina, nelle sue varie declinazioni. L’alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, si affanna a ripetere che agli informali «non si decide». Insomma, semmai ci si conta. E sulla più spinosa misura in agenda – ovvero lo stop ai visti turistici per i russi, ormai battezzata come para-sanzione – l’unità manca, con Parigi e Berlino capofila di quei Paesi che reputano la mossa «controproducente».
Alla vigilia del vertice, infatti, i dioscuri dell’Ue hanno fatto circolare un memorandum in cui chiedono sostanzialmente di non chiudere totalmente la porta. «Dobbiamo lottare strategicamente per i `cuori e le menti´ della popolazione russa, almeno per i segmenti non ancora completamente estraniati dall’Occidente», si legge nel documento. Se si facesse come chiede l’alleanza composta da Baltici, Polonia e Finlandia, sostengono le due capitali, si farebbe un regalo alla «narrazione del Cremlino», mentre invece è necessario colpire quella parte di e’lite che sostiene la guerra, anche «inasprendo le sanzioni». Ma il nervo è senz’altro scoperto. Mosca segue la partita da vicino e ha minacciato «ritorsioni» se l’Ue farà scattare il divieto.
Pure il grande ex Dmitry Medvedev, ormai riciclatosi in caustico dichiaratore su Telegram, ha lanciato i suoi strali: «Che introducano rapidamente un divieto totale sull’emissione dei visti, così finalmente tutti si convinceranno di qual è l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dei cittadini russi».
Come sempre c’è pronto un punto di caduta. La soluzione, avanzata a quanto pare dalla Germania, è quella della sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti del 2007. I costi aumenterebbero (per i russi) e i visti turistici sarebbero più complicati da ottenere. La porta, però, resterebbe aperta. O meglio, socchiusa. Perché già ora, dopo l’ondata di espulsioni reciproche di personale diplomatico, l’emissione dei titoli di viaggio in Russia (ricorda un funzionario Ue) «procede molto a rilento».
A Praga però si è discusso di molto altro ancora, in attesa del tempo delle decisioni. Il sostegno incondizionato all’Ucraina non è in dubbio. Anzi. Borrell ha rivelato che nel corso dell’estate gli aiuti militari non sono diminuiti ma aumentati. E ora nell’Ue c’è il desiderio di «strutturare» meglio questo appoggio, sulla base delle richieste illustrate dai colleghi ucraini Dmytro Kuleba (Esteri) e Oleksii Reznikov (Difesa), presenti al vertice. Il ministro Lorenzo Guerini, non a caso, ha sottolineato che «nonostante la crisi di governo» si è riusciti a finalizzare «il quarto decreto di aiuti» a Kiev e «stiamo provvedendo a garantire mirate attività addestrative al personale ucraino per rendere più sicuro l’impiego degli armamenti».
Dunque. L’idea di una grande missione di addestramento Ue sta prendendo corpo e il dicastero guidato da Borrell ora ha ricevuto il compito di presentare una proposta dettagliata (dunque luce verde teorica) in modo che i 27 si possano pronunciare su qualcosa di concreto – processo che, spiega una fonte europea, si dovrebbe concludere «entro settembre». «L’esercito ucraino dovrà combattere molto a lungo, serve un approccio di ampio respiro», ha spiegato Borrell. Che ha lanciato l’allarme sulle conseguenze nefaste della guerra in Ucraina per tutto il mondo, specie nei Paesi emergenti. «È in arrivo una tripla crisi: finanziaria, alimentare ed energetica: dobbiamo essere pronti a reagire, in particolare in Africa», ha messo in guardia. Tant’è che il tema era al primo posto dell’agenda del consiglio. La carne al fuoco, da qui al prossimo summit europeo di metà ottobre, si annuncia abbondante.
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