Chi si ricorda più di quel che si diceva nella fase acuta della pandemia? Stop a questo modello predatorio di sviluppo, basta con la globalizzazione, il consumismo sfrenato, gli allevamenti intensivi, l’inquinamento, i tagli alla sanità e all’istruzione. Che fine hanno fatto il “ne usciremo diversi e migliori”, la svolta europea del Recovery, i duecento e passa miliardi al nostro paese, il “governo dei migliori” per spenderli bene: sviluppo sostenibile, energie rinnovabili,Italia digitale, servizi alla persona, capitale umano, cultura, bellezza? Sono bastati tre mesi per dimenticarcene e tornare al passato. L’invasione dell’Ucraina, l’Occidente in guerra contro la Russia, ed ecco che si torna a riaprire le centrali a carbone, a riattivare le trivelle in Adriatico, a parlare di centrali nucleari, a promettere armi all’India in cambio di grano. “Con le mani, con la testa, con il culo, ciao ciao” alla crisi climatica, alla sostenibilità, alla salute, alla scuola.
Dopo due anni di emergenza Covid, con la sanità in ginocchio, centinaia di migliaia di vite perse, ingenti sacrifici e restrizioni per tutti noi, il governo taglia la spesa sanitaria di quasi un punto di Pil in tre anni. Sei miliardi in meno da qui al 2025 secondo il Def, con il rapporto Sanità-Pil che passa dal 7% del 2022 al 6,2% del 2025. Un taglio di sei miliardi in tre anni. Un risultato persino peggiore a quello pre-pandemia del 2019. Con la sanità territoriale che resta al palo, medici e infermieri “eroi” che gettano la spugna, le liste di attesa che si allungano costringendoci sempre più a rivolgerci ai privati, i Pronto Soccorso al collasso con regioni “gioiello” come l’Emilia-Romagna che per tenerli aperti sono costrette a reclutare dottori all’esterno, dalle cooperative, a mille euro a turno.
Non va meglio per la scuola. Dopo due anni di istruzione in Dad e decenni di edifici fatiscenti o comunque inadeguati, classi pollaio, carenza cronica di insegnanti e personale ausiliario, la spesa passa dal 4 al 3,5% del Pil. Un taglio da quindici miliardi in tre anni, il più consistente dal 2007-2008 della “riforma” Gelmini-Tremonti che produsse centomila cancellazioni di cattedre e altri disastri. La revisione al ribasso prevista dal Def è stata giustificata da Draghi con l’invecchiamento della popolazione previsto nei prossimi anni. Una giustificazione che lascia però il tempo che trova, se ci guardiamo attorno. La media europea della spesa scolastica è del 4,7%, in Germania si aggira tra il 5 e il 6%, e nei paesi scandinavi tra il 6 e il 7% del Pil. Noi restiamo drammaticamente agli ultimi posti in Europa per investimenti in istruzione e ricerca, partendo da livelli qualitativi già molto inferiori. Per non parlare degli stipendi degli insegnanti: in media di 1.550 euro netti per un docente neoassunto in Italia contro i 2890 euro netti della Germania. Altro che “scuola prima di tutto”, come ci ha ricordato lo sciopero di lunedì.
Allo stesso tempo, però, abbiamo deciso di portare la spesa militare al 2% del Pil, pari al 3,5% del bilancio dello Stato, mentre ci stiamo già mangiando una bella fetta dei fondi del Pnrr (i famosi duecento e passa miliardi), che dovevano in parte essere destinati alla sanità e alla scuola, in armamenti per l’Ucraina, approvvigionamento energetico, accoglienza profughi e inflazione. E’ la guerra bellezza! Ma non è solo quella, siatene certi.