Correva l’anno 2019. Un’era fa, prima del Covid e prima della guerra in Europa. Donald Trump era ancora (per poco) presidente degli Stati Uniti e Joe Biden era già il suo avversario. Proprio per questo, Trump stava giocando sporco per eliminarlo e si stava attaccando a un’indagine che riguardava il figlio di Biden,
Lo ”scandalo” riguardava l’assunzione di Hunter Biden, figlio di Joe alla Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina (attiva sia su gas che petrolio). Avere nel proprio board un nome di “peso” avrebbe sicuramente portato giovamento al prestigio dell’azienda. Va detto che l’Ucraina, e le sue aziende, sono spesso ricordate per la scarsa trasparenza ma soprattutto l’alta corruttibilità. Hunter Biden viene assunto con uno stipendio di 50mila dollari al mese.
Tutto trasparente, se non fosse che durante quei mesi Joe Biden ha proseguito la politica americana volta a far riprendere il possesso da parte dell’Ucraina di quelle zone del Donbass, adesso al centro delle rivendicazioni russe e giustificazione principale di Putin alla guerra.
La zona di Donetsk è ritenuta ricca di giacimenti di gas non ancora esplorati finite nel mirino della Burisma Holdings. Una politica internazionale intrecciata a quella economica che ha fatto storcere il naso anche ai media americani in quegli anni.
Durante la campagna elettorale del 2020 scoppiò l’Ucrainagate. Donald Trump nel tentativo di screditare il suo avversario fece pressioni sul presidente Volodymyr Zelenskyy affinché aprisse un’inchiesta nei confronti del figlio di Biden e dei rapporti con la Burisma Holdings. Una inchiesta che avrebbe potuto mettere in cattiva luce Biden. Trump in una telefonata con Zelenskyy fece capire che gli aiuti all’Ucraina erano legati all’apertura di questa inchiesta.
E arriviamo al novembre 2019: il Congresso americano deve decidere se procedere con l’impeachment a Trump (cosa che, come sappiamo, non avverrà). Tra i testimoni sentiti dal Congresso c’è Marie Yovanovitch, ex ambasciatrice americana in Ucraina, fatta richiamare in fretta e furia da Trump quando Zelenskyy rifiutò di aprire un’inchiesta sul figlio di Biden.
“Se non fossimo stati un paese con una democrazia consolidata chissà quante leggi illiberali avrebbe portato avanti” disse Yovanovitch, che raccontò di essere stata destituita a maggio su ordine di Trump dopo mesi di quella che ha descritto come una “campagna di denigrazioni” condotta da Giuliani e media di estrema destra.
Gordon Sondland, ambasciatore statunitense presso l’Unione europea, durante quella stessa audizione disse: “Mi opponevo fortemente alla sospensione degli aiuti all’Ucraina erché gli ucraini avevano bisogno di quei fondi per combattere contro l’aggressione russa. Cercai di chiedere perché gli aiuti fossero stati sospesi, ma non ricevetti mai una risposta chiara. In assenza di una spiegazione credibile, cominciai a credere che gli aiuti non sarebbero stati dati fino a un impegno pubblico dell’Ucraina per un’indagine sulle elezioni del 2016 e su Burisma”.
Cosa impariamo da questa storia: che Donald Trump altri non era che un burattino nelle mani di Putin, che infatti ha ricominciato a ringhiare contro l’Ucraina nel momento in cui Biden è diventato presidente e con lui è tornata sulla scena la grande nemica, ossia la Nato, che con Trump era parecchio indebolita.
Inoltre, ricordiamo sempre che i nazionalisti europei, tra cui Salvini e Meloni, per Trump e Putin avevano un’ammirazione smodata. La guerra che sta devastando l’Ucraina ha radici profonde, molto più profonde di Trump, ma le mosse che hanno portato a questa situazione erano sotto gli occhi di tutti. Semplicemente, si è fatto finta di non vedere.
Argomenti: donald trump